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Inchiesta

Religiosità in continuo calo: fedeli “stagionati” e pochi sacerdoti nella diocesi casalese

I dati del recente sondaggio dell’istituto Doxa sulla situazione nel nostro Paese

È stato da pochi giorni reso noto un sondaggio dell’istituto Doxa sulla religiosità in Italia. Ebbene, dopo un’iniziale “luna di miele” del pontificato di Jorge Mario Bergoglio, negli ultimi 5 anni la religiosità degli italiani sarebbe scesa di oltre il 7%. Quello della secolarizzazione dell’Occidente è un tema complesso e articolato sul quale si confrontano, da anni, gli studiosi. È, però, anche qualcosa di estremamente tangibile frequentando anche le chiese della nostra diocesi e della nostra città. Ed è proprio da qui che parte la nostra inchiesta. È domenica mattina e facciamo un piccolo tour di alcune parrocchie durante le messe di punta.

Fatta salva la premessa che non può esserci scientificità (non possiamo considerare quanti, ad esempio, frequentano altre parrocchie e non la loro o addirittura altri paesi o città), nessuna chiesa può considerarsi strapiena: i banchi vuoti spiccano anche nelle chiese più grandi e anche negli orari più frequentati. Proviamo a testare la situazione con alcuni fedeli: di tutti quelli che sentiamo, poco più della metà si dice frequentatore domenicale della messa e a livello di “primavere”, fatte salve le parrocchie con un oratorio rodato e frequentato, l’età media tra i banchi è al di sopra di quello che Dante avrebbe definito il “mezzo del cammin di nostra vita”. Se si estende lo sguardo alla diocesi intera, la fotografia è non è rosea: 115 parrocchie gestite, in totale, da 59 sacerdoti (dei quali solo 5 sono al di sotto dei 40 anni).

Delle 115 parrocchie, solamente 40 hanno il parroco residente: tutte le altre, invece, godono del servizio pastorale di parroci o amministratori parrocchiali non residenti. Restringendo lo sguardo alla città, invece, le parrocchie casalesi sono 9 (più due chiese non parrocchie) per i circa 28mila cittadini: la più popolosa è la parrocchia del Valentino (poco più di 5700 abitanti), la più piccola quella di S. Stefano (749 parrocchiani).

Questa situazione generale è nota tanto a Roma (è di gennaio la proposta di Papa Francesco di cedere alcune chiese perché ormai inutilizzate) quanto a livello locale. Ed ha anche una dirimente conseguenza: la crisi delle vocazioni e il calo del clero. Il vescovo Gianni Sacchi, proprio a “Il Monferrato”, individua le cause proprio nella «scristianizzazione e la forte crescita dell’indifferenza religiosa». «Tra 10/20 anni il clero sarà dimezzato: sarà allora che diventerà impossibile illudersi di portare avanti una pastorale parrocchiale così come vissuta finora».

Per il vicario generale mons. Giampio Devasini, la fotografia di civiltà scristianizzata non è un fulmine a ciel sereno: «I dati emersi non hanno sorpreso chi, come ad esempio noi parroci, ha il polso della situazione. Si tratta di dati che ci provocano ad approfondire ulteriormente la riflessione sull’oblio di Dio nell’Occidente: fenomeno dalle radici antiche, in continua crescita e le cui motivazioni risultano essere molteplici e complesse. Questa riflessione è una delle condizioni fondamentali per poter far fronte, nel modo meno inadeguato possibile, ad una sfida che interpella l’intera comunità credente».

Per il prof. don Cesare Silva, storico della Chiesa, invece, le ragioni di questa china sono ben individuabili: «Al ritorno da ogni sessione del Concilio Vaticano II - racconta don Silva, che è stato anche ex parroco di Breme e Sartirana Lomellina - il vescovo di Vigevano mons. Luigi Barbero era solito intrattenere i chierici del seminario della sua diocesi con un resoconto ordinato e preciso del dibattito e un commento dei documenti approvati man mano. Chi era presente ricorda l’entusiasmo del presule che sembrava convinto che l’aggiornamento avrebbe realmente rinnovato la Chiesa, che sarebbe uscita ringiovanita e rafforzata. Era un pastore intransigente nella disciplina, autoritario nei modi, anticomunista viscerale, tipica espressione del modello di prete formato in un seminario piemontese nella prima metà del ’900 nel segno dell’intransigentismo di quel periodo. Presentò la riforma liturgica come la sorgente di una fioritura vocazionale: era convinto che avrebbe stabilito un legame autentico tra i fedeli e il sacro. Non poteva fare una previsione più errata».

Per don Silva, però, le cause del tramonto della religiosità occidentale hanno quell’origine: «Il ’68 aveva accelerato e acclarato un processo di trasformazione dell’identità ecclesiale che doveva essere iniziato tempo prima e che avrebbe raggiunto un punto di non ritorno proprio con la nuova messa. La modernizzazione fu segnata da episodi di iconoclastia ben oltre il sacrilegio» (e chi scrive ha raccolto varie testimonianze di roghi postconciliari di paramenti e arredi sacri ormai aboliti). Tutto questo, segnò «uno scollamento sempre più grande tra la gente e la chiesa. L’adeguamento alle mode non avvicinò i giovani e amareggiò i vecchi. Il clero ha subito nei trent’anni successivi al concilio il suo dimezzamento numerico e la vita religiosa si e praticamente azzerata».

Per il sociologo palazzolese, ed esperto del tema, Franco Ferrarotti, invece, la secolarizzazione può essere vista anche con un’accezione positiva: la religione «organizzata», nella sua visione, risulta «dissacrante» in quanto «l’esperienza pura del sacro, anche nel suo rapporto con il divino, è bloccata, invece che aiutata, dalla ierocrazia religiosa». In quest’ottica, dunque, «la crisi che attraversa le chiese non tocca, ma paradossalmente stimola, l’emergere di nuove forme di associazione di base che consentono di riscoprire in profondità l’esperienza religiosa come “irruzione della grazia”. Il sacro non è solo ciò che è determinato e amministrato dalla gerarchia ecclesiale, ma la riscoperta del mistero di Dio, del servizio all’uomo e della tensione collettiva verso un progetto».

E l’invito a non drammatizzare è, infine, anche il succo del messaggio di speranza che lancia mons. Devasini: «Una deriva da evitare è quella di cadere nel catastrofismo, fasciarsi la testa, andare in depressione, chiudere i battenti. No! No perché sulla barca di Pietro, sballottata dal mare in tempesta, si trova Cristo Gesù, il Figlio del Padre: naufragio non ci sarà! La presenza di Lui, morto e risorto, la si può sperimentare, tra l’altro, nelle realtà, familiari e comunitarie, che si impegnano a vivere seriamente e gioiosamente il Vangelo e cioè ad accogliere, annunciare e testimoniare l’amore di Dio. Queste realtà sono la più efficace risposta al fenomeno della scristianizzazione: si tratta di semi sparsi qua e là, semi certo piccoli e però semi forieri di nuove primavere dello Spirito».


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