Processo amianto: chi era la 'spia' degli svizzeri? La risposta forse lunedì in aula a Torino
di Massimiliano Francia
Chi era la spia degli svizzeri? Che ruolo aveva? Come si comportava alle riunioni delle associazioni che da trent’anni si battono contro l’amianto?
È veramente una cittadina casalese?
Come può una persona che vede morire intorno a sé parenti e amici «tradire» la propria città, la propria storia, estraniarsi dal dolore che l’amianto ha causato e continua a causare da decenni a centinaia, migliaia di persone?
Chi la pagava? E perché veniva retribuita?
Le risposte in aula?
Sono in molti ad attendere risposte a queste domande dall’udienza che si svolgerà lunedì a Torino e durante la quale dovrebbe essere chiamato a testimoniare dalla Procura Bruno Pesce, coordinatore del Comitato Vertenza Amianto.
Che potrebbe essere chiamato a rispondere - tra le altre cose - anche sulla vicenda della spia, la cui identità potrebbe emergere proprio nel dibattimento di Torino.
La deposizione di Pesce avverrà dopo che la difesa degli imputati, lo svizzero Stephan Schmidheiny e il barone belga Jean Louis Marie Ghislain De Cartier De Marchienne indagati dalla Procura di Torino per disastro continuato e inosservanza delle misure di sicurezza sui luoghi di lavoro, avranno controinterrogato Nicola Pondrano, che all’ultima udienza era stato chiamato a testimoniare dalla pubblica accusa.
Il controinterrogatorio
Pondrano ha riferito prima sulla propria esperienza lavorativa all’Eternit, dove entrò nel 1974, poi dell’impegno come sindacalista quando, in seguito, fu distaccato presso la Camera del lavoro di Casale e continuò ad occuparsi dell’Eternit per le tante questioni legate alla polverosità e alle condizioni di lavoro negli stabilimenti di via Oggero.
Una lunghissima deposizione, durata circa tre ore e mezza.
E anche il controesame si preannuncia lungo e minuzioso.
Pesce sarà dunque sentito solo dopo Pondrano e anche la sua deposizione sarà certamente articolata, visto che da ormai 30 anni ha seguito e organizzato passo passo tutte le fasi della lotta all’amianto, che proprio a Casale e proprio per sua iniziativa hanno avuto grande forza e continuità.
Così Casale in un certo senso dopo essere stata capitale della produzione dell’amianto con il più grande stabilimento d’Europa, è poi divenuta capitale della battaglia contro lo polvere killer.
La spia e le indagini
Ma tornando alla spia la questione era emersa alcuni anni fa proprio in seguito alle indagini della Procura di Torino che sostiene che - aveva affermato la pm Sara Panelli in una recente udienza - una società milanese di pubbliche relazioni aveva organizzato una sorta di intelligence per monitorare ogni attività che in Italia riguardasse Schmidheiny.
La società aveva infiltrato anche i sindacati e le nascenti associazioni delle vittime e predisponeva schede su tutto.
Tra i sorvegliati speciali, ovviamente, non poteva mancare l’avanguardia della lotta all’amianto, le associazioni di Casale.
Secondo indiscrezioni la spia avrebbe dichiarato alla Procura che la parte prevalente del proprio reddito (qualcosa come 2000-2500 euro al mese) le derivava proprio dalla società in contatto con gli svizzeri.
Il suo compito sarebbe stato quello di riferire in anticipo le mosse dell’associazione e di avere anche eventuali informazioni riservate.
Lo stesso Bruno Pesce ne aveva ricordato il ruolo nell’assemblea dell’associazione svoltasi i primi di dicembre dello scorso anno, convocata pochi giorni prima l’inizio del processo: «C’era anche una spia pagata per riferire agli svizzeri, per qualche decina di migliaia di euro veniva tutti i giorni a chiedere notizie che poi riferiva... poverina... dico poverina perché era una donna».
E la domanda che sorge spontanea è perché gli svizzeri non abbiano fatto nulla per limitare i danni rimuovendo l’amianto, ma abbiano invece mantenuto in piedi una «sorta di intelligence» per spiare le mosse delle vittime.