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  • 06 maggio 2017
  • Casale Monferrato

Il disciplinare dell’IGP “Valle del Po”: la “tracciabilità” è la tutela del riso

La salvaguardia va bene ma difficilmente sarà la risposta ai problemi dei risicoltori. In un mercato globale dove l’importazione del riso, soprattutto dai paesi dell’Oriente, negli ultimi 10 anni è cresciuta esponenzialmente, servono altri strumenti come la tracciabilità, la promozione, la valorizzazione del riso di qualità. Ad intervenire sulla questione è Andrea Desana, presidente del Comitato Casale Capitale della Doc, già direttore di Coldiretti Vercelli e profondo conoscitore del settore del riso: «Ho seguito da vicino il dibattito sulla Clausola di Salvaguardia, che si vuole istituire a livello europeo. Un’iniziativa giusta per svariati motivi ma difficilissima da ottenere se non si sarebbe verificato un incremento del 400 per cento negli ultimi 10 anni di importazione a dazio zero dai cosiddetti PMA, Paesi Meno Avanzati. Ripeto è un’azione giusta anche per difendere il prodotto italiano, per avere un maggiore controllo sui prodotti importati, ma di fronte a questi grandi numeri, a livello globale, servono altre misure». A cosa sta pensando? «Sicuramente a nulla di nuovo. Anzi a dire il vero già quindici anni fa si era tentata una simile proposta. Mi spiego meglio: come per altri prodotti in primis il vino, ma adesso anche nel latte, e poi l’olio, ci deve essere la tracciabilità. Nel riso non esiste, con la conseguenza che si parla di riso italiano anche se questo viene importato». Ma è un discorso vecchio. Lo diciamo sempre: per promuovere bisogna puntare sull’indicazione geografica... «È vero ma per il riso è stato diverso. Prima di tutto perché è stato considerato una commodity e non un prodotto del territorio». Insomma un cane che si morde la coda... «Già. Se poi a questo ci aggiungiamo la mancanza di volontà politica, la situazione precipita. Perché è da tanti anni che registriamo sofferenze in questo settore e ora i risicoltori non ce la fanno più». Ma una soluzione esiste: «Quindici anni fa, quando ero direttore della Coldiretti di Vercelli, avevamo studiato e registrato il disciplinare di produzione del “Riso Valle del Po”, un’Indicazione Geografica Protetta. Era stato sottoscritto da oltre venti associazioni ed enti territoriali di Piemonte e Lombardia, registrato da un notaio, inviato al Ministero delle Politiche Agricole». E cosa successe? «Il documento è ancora lì. Mai stato bocciato ma nemmeno approvato. Allora ci fu detto che era un problema di storicizzazione: nessuna aveva mai utilizzato la denominazione “Riso Valle del Po” e quindi difficilmente poteva dar seguito all’IGP». Niente altro... ma le iniziative non si fermarono tanto che l’Associazione Risicoltori Piemontesi con sede a Vercelli (con allora presidente Silvano Saviolo - era il 2004/2005) confezionò la scatola del riso “Sorriso del Piemonte”, prodromica all’IGP “Riso della Valle del Po”: «Adesso non ci possono dire che la storicizzazione non esiste. Anche se, a dire il vero, la storicizzazione, tanto allora come adesso, pare sia un alibi per non proseguire sulla strada della tracciabilità e della promozione. Eppure tracciabilità e promozione, molto più che la Clausola di Salvaguardia, sono le armi più efficaci per tutelare il nostro riso e con esso il lavoro dei nostri risicoltori. Non voglio polemizzare con nessuno, ci mancherebbe, ma di fronte ad un mercato, quello risicolo, dove l’Italia, e l’Europa, gioca un ruolo molto piccolo, la sola arma della salvaguardia non basta. Forse nel breve termine ha qualche efficacia ma col tempo non risolverà i problemi. La tracciabilità e la promozione, insomma l’IGP, è la risposta migliore sul lungo periodo per tutelare e valorizzare il riso italiano». Nel disciplinare redatto quindici anni fa, all’articolo 3 si delimitava l’area di coltivazione, trasformazione e confezionamento: «L’intero circuito di produzione - si legge - deve avere luogo nella zona geografica delimitata onde garantire un completo adattamento alle condizioni fisiografiche specifiche di questa zona geografica e garantire inoltre l’igiene e la sicurezza del prodotto, impedire qualsiasi contaminazione dei raccolti e delle attrezzature tramite agenti biologici, chimici e microbiologici, escludere il riso di provenienza diversa e assicurare la tracciabilità completa fino all’agricoltore. Inoltre va considerata l’importanza che assume presso molti consumatori la qualità della lavorazione del granello, che deve tenere conto della materia prima utilizzata, a sua volta dipendente dalla zona di produzione. Pertanto, al fine di giungere ad un prodotto finale omogeneo e di qualità superiore, è fondamentale mantenere il legame tra area di coltivazione e di condizionamento, attività entrambe connesse culturalmente al territorio». A seguire sono individuati i territori dei Comuni dove si coltiva il riso tra Piemonte e Lombardia nelle province di Alessandria, Vercelli, Novara, Lodi, Milano, Pavia. E nell’articolo 4 (origine del prodotto) si dice: «Ogni fase del processo produttivo deve essere monitorata documentando per ognuna gli input (prodotti in entrata) e gli output (prodotti in uscita). In questo modo e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dall’organismo di controllo, dei produttori è garantita la tracciabilità e la rintracciabilità (da valle a monte della filiera di produzione) del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte dell’organismo di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Qualora l’organismo di controllo verifichi delle non conformità, rispetto a quanto stabilito dal presente disciplinare, il prodotto non potrà essere commercializzato con la denominazione IGP “Riso Valle del Po”».

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Emanuela Pastorelli

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