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La bagna cauda del priore di Bose e la scoperta della parola "dianetto"

Stavo cercando testimonianze sulla figura della lingera quando mi sono imbattuto in un libro di Enzo Bianchi, “Il pane di ieri”, pubblicato da Einaudi. Il famoso priore della Comunità Monastica di Bose, originario di Castel Boglione, paese monferrino in provincia di Asti, narra la sua vita di bambino e di adolescente nella sua terra, di cui descrive gli usi e i costumi. L’opera sta ottenendo un grande successo di lettori, perché descrive con stile semplice e sapiente un mondo contadino del Monferrato che non esiste più, ma che aveva suoi peculiari valori, rimasti ben radicati nell’autore. In un capitolo intitolato “Il rito della bogna càuda” [da noi si dice bagna càuda, n.d.r.] mi imbatto in un termine a me sconosciuto: “l’intingolo di un bel colore nocciola arriva in tavola, il dianèt – pentola di terracotta che evoca Diana, la dea della caccia – è posto sulla brace e finalmente tutti i commensali possono stendere la mano in quella salsa così semplice e preziosa.” Non avevo mai sentito questo termine e perciò chiedo a Teresio Malpassuto, una vera miniera linguistica, se dalle sue parti (Valcerrina) per caso si usa. La risposta è: “la bagna cauda si faceva nel dian, tegame (e non pentola!) di terracotta smaltata. Il dianèt è riferito ad un recipiente più modesto. Da noi il termine si usa. Il dian è il recipiente in cui si preparava e si mangiava (in comune) la bagna cauda” Mi viene a questo punto la curiosità di conoscere l’origine del nome. Carlo Aletto, appassionato indagatore dei vari aspetti della nostra cultura, mi fa presente: “Dian è forma meno comune di tian, usata in Piemonte, Liguria e Provenza per indicare un tegame di terracotta (ma i derivati di téganon sono diffusi in molti dialetti: es. tianu a Cagliari, tiano ad Alatri). Secondo il canellese Luciano Gibelli (prossimo al paese di origine di Enzo Bianchi) il dianèt sarebbe un tegame di terracotta col manico”. La spiegazione che dà il priore Bianchi (pentola di terracotta che evoca Diana) è un’evidente paretimologia dovuta ad un’assonanza casuale: non si vede, infatti, che cosa possa avere a che fare la dea della caccia con una pentola. Che dian sia forma meno comune di tian, usata in altre parti d’Italia e che sarebbe collegata al greco “téganon”,è quanto credono gli etimologisti: da questa forma deriverebbe l’italiano “tegame”; ma a questa interpretazione osta la fonetica: come si spiega infatti la m di tegame? Sarebbe come pensare che lama e lana fossero la stessa parola. Più probabile invero è che tegame derivi da una forma latina collegata a “tegula”, che vuol dire “teglia,casseruola”: ad esempio tegulamen. Ora, che la forma tian derivi dal greco “téganon” è dimostrato dalla presenza della n. Ma che dian sia forma di tian è ipotesi da scartare: sarebbe come supporre che “tetto” e “detto” siano varianti di una stessa forma. Da dove derivano allora dian e il diminutivo dianèt? In gotico esiste una parola, digan, che significa “argilla” e viene usata nel senso di “vessels of clay, knead,form out of clay” (Lehmann, A Gothic Etymological Dictionary, p.90, D.18). Tanto la fonetica che la semantica ci dimostrano che dian deriva da digan (con la perdita del g intervocalico, come spesso succede). Non deve stupire. Altri termini del nostro dialetto come süppa (che deriva pure dal gotico suppa) e brod (dal germanico brod), che sono stati assunti anche dall’italiano (zuppa, brodo), rimandano alla cucina dei popoli del nord: “La fortuna di brod e di suppa è dovuta al fatto che la cucina latina non conosceva questa minestra caratteristicamente nordica, tuttora poco in uso nel nostro Mezzogiorno” (DEI I p.606). Per concludere: se il termine dianèt è gotico, dobbiamo dire che la bagna cauda ci è pervenuta da questo popolo germanico, che dominò l’Italia dal 498 al 553 d.Cr.? Olimpio Musso Disegno di Laura Rossi -Enzo BIANCHI (Castelboglione, Monferrato, 1943) è fondatore e priore della Comunità Monastica di Bose. Già direttore di «Parola, Spirito e Vita», membro della redazione della rivista internazionale di teologia «Concilium», è autore di numerosi testi sulla spiritualità cristiana e sulla grande tradizione della chiesa, in dialogo con il mondo contemporaneo. Collabora a «La Stampa», «Avvenire» e, in Francia, con il quotidiano «La Croix» e i periodici «Panorama» e «La Vie». Per Einaudi ha curato Poesie di Dio (2005) e Il libro delle preghiere (2005). Nelle «Vele» è uscito La differenza cristiana (2006); nelle «Frontiere» è “Il pane di ieri” (2008). CASTEL BOGLIONE: Dista 36 km. da Asti, è ai confini tra Langhe e Monferrato. Nella sua storia figura come possesso del mitico Aleramo, il fondatore della marca monferrina, nel 967, poi ecco i Del Vasto di Savona. Nel 1203 si sottomise ad Alessandria e poi ai Marchesi del Monferrato e ai Gonzaga. Il termine Boglione si riferisce a una sorgente di acqua calda (latino bullire)

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