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Chiarezza, trasparenza e sicurezza sullo smantellamento del nucleare

«Noi francesi prendiamo un po’ in giro gli italiani dicendo che tanto in Italia tutto è possibile» ha dichiarato Roland Desbordes, presidente della CRIIRAD (Commissione di Ricerca e d’Informazione Indipendente sulla Radioattività, composta da esperti e riconosciuta a livello europeo che ha iniziato ad operare dopo il caso Chernobyl, con un inventario sulle ricadute del fenomeno), invitato martedì a Trino per la serata informativa promossa da Legambiente sulle questioni del nucleare. Un “tutto possibile” che, evidentemente, non solo non è sinonimo di libertà ma, al contrario, nuoce alla libertà stessa quando ne pregiudica la sicurezza per la persona e per l’ambiente. Un “tutto possibile” che, alla luce delle controverse vicende intercorse negli ultimi decenni relativamente ai siti di Trino e Saluggia (dov’è detenuto il 90% del “magazzino radioattivo nazionale”), parrebbe certo un malcelata verità, piuttosto che una sentenza provocatoria. Un “tutto possibile” che Legambiente, istituzioni e cittadini non sono disposti a tollerare: oggi più che mai chiedono: “chiarezza, trasparenza e garanzie”. «Troppe volte sono stata chiuse le porte della stalla, come si suole dire, quando i buoni sono scappati» ha detto Rosanna Vallino (Legambiente regionale) relativamente ad un atteggiamento tutto italiano che non deve più appartenere a cittadini responsabili, che hanno il diritto di usufruire dei diritti ed il dovere di assolvere ai propri doveri: due facce della stessa medaglia che sono appunto: “chiarezza, trasparenza e garanzia”. I siti nucleari e la loro dismissione dunque, l’argomento centrale dell’incontro per informare e sensibilizzare opinione pubblica e amministratori rispetto ad un fatto che non si può e non si deve subire passivamente e che, seppur nel rispetto delle regole, va condiviso nella trasparenza delle informazioni. Tante le domande negli anni, rispetto alle quali, le risposte, sono state talvolta poco rassicuranti, altre volte errate e troppe volte imprecise. Troppi i dubbi rispetto al gestore Sogin, deputato, in una “visione fideistica ed acritica”, a decretare le sorti dei territori interessati, nonché a fornirne informazioni senza la presenza di un organo terzo costante e puntale che ne costituisca il contraddittorio ed il controllo. Le uniche verifiche garantite da soggetti terzi, quali Enea, Ispra e Arpa, vengono fatte all’occorrenza, «facendo i conti con le difficoltà economiche e di personale». Fausto Cognasso di Legambiente, è tornato a domandare: «Trino ha già fatto da cavia in occasione dell’installazione della prima centrale nucleare italiana, ora lo farà per la prima disattivazione? Ma come mai tanta fretta?» Domanda alla quale si è risposto da solo ipotizzando: «Non sarà in ragione degli enormi interessi dati dal mercato mondiale del decommissioning? (400 siti nucleari nel mondo; Sogin corre forse in tale direzione auspicando di inserire nel proprio curriculum la disattivazione di un impianto, quello di Trino per esempio, al fine di acquisire un plus rispetto alla concorrenza?)». «Smantellare in fretta - ha precisato Desbordes - significa gestire una più alta radioattività. Aspettare ulteriori 15/20 anni invece, significherebbe abbassare notevolmente la radioattività e la contaminazione anche per i lavoratori impegnati nello smantellamento, fermi restando i potenziali rischi dell’impianto stesso lasciato in attesa. In ogni caso - ha aggiunto - qualsiasi soluzione si scelga, oggi il problema più o meno resta. Nessuno aveva previsto lo smantellamento delle centrali nucleari, quando sono state costruite (50 anni fa). Ogni centrale è diversa dalle altre, quelle Italiane poi, hanno addirittura 3 tipi di reattori (1 in Francia)». Inoltre, per fare lo smantellamento, occorre un deposito che, ad oggi, non è presente e, chissà mai se lo sarà. Negativa anche la soluzione di riciclare la scorie: «Attenzione - ha sottolineato Desbordes - riciclare non significa eliminare il problema, ma trasferirlo altrove, in altri materiali da costruzione, per esempio. Il riciclo a bassa radioattività inoltre, arreca guadagni anziché costi, e la tentazione può diventare alta e, pertanto, pericolosa». Venendo poi al Trizio H3 rilasciato “legalmente” nell’aria e nell’acqua («nessun inquinamento dell’ambiente dovrebbe essere legale» ha precisato l’ospite), le previsioni di rilascio pari a 70 miliardi entro la fine dello smantellamento, rappresentano un altro problema dal carattere epidemiologico sul quale viene richiamata fortemente l’attenzione. In Francia la gente ha capito che è importante avere scienziati indipendenti che possano discutere con i gestori e controllarne le attività. E in Italia? Come detto non ci sono soldi per intervenire periodicamente in maniera costante e puntuale attraverso i soggetti terzi competenti mentre, stranamente, non si parla dell’impiego delle ingenti somme trasferite ai Comuni (dati del 2010 a Saluggia 1 milione 896 mila euro e a Trino 1 milione 196 mila euro) ed alla Provincia di Vercelli relative alle compensazioni per la presenza del nucleare. Questo punto sarà certamente un elemento importante nella scelta del candidato a sindaco alle prossime elezioni di fine mese (servizio a pag. 18). “Nessun impatto radiologico nell’ultimo trasporto di scorie” Intanto con una nota diramata nei giorni scorsi, l’assessore regionale all’ambiente Roberto Ravello ha fatto sapere che «nessun impatto radiologico significativo su ambiente e popolazione del Piemonte è arrivato dal trasporto di scorie nucleari». Il riferimento è ai dati riportati nella relazione dell’Arpa in merito al quinto trasporto di combustibile - dello scorso mese di marzo - dal deposito di Saluggia all’impianto di le Havre in Francia.

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Cristina Bargero

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