"Sono malata di mesotelioma da quattro anni e reagisco alle cure. Ma Casale dovrebbe collaborare di più con altri medici" - Emerge un dato nuovo: sono abbastanza numerosi i casi di sopravvivenza lunga
«Sono malata di mesotelioma da quattro anni, sono in cura dai medici Mutti e Fassi, con Gemcitabima e Gleevec, e mi sono trovata molto bene. A gennaio mi è stata riscontrata una diminuzione della malattia del 73%. Mi chiedo perché a Casale non si dà spazio a certe sperimentazioni, anzi c’è astio e rancore nei confronti di alcuni medici, invece che collaborare tutti insieme per dare più speranza ai pazienti, puntando anche su chemioterapia diversa da quella tradizionale e sulla ricerca sulle staminali». La drammatica testimonianza di una giovane donna monferrina ha scosso la platea al dibattito dedicato proprio alla ricerca sul mesotelioma promosso dalla Provincia di Alessandria nell’ambito della Mostra di San Giuseppe.
Le ha risposto il primario di Oncologia del Santo Spirito Mario Botta: «Non è vero che non c’è collaborazione. La stessa sperimentazione è in corso anche a Casale, è il protocollo Porta, e riguarda attualmente sette pazienti. Non siamo stati i primi ad adottarla, ma adesso ci siamo anche noi. E siamo tra i centri che maggiormente si prestano a testare nuove terapie».
Ma dal prolungato botta e risposta fra la donna e il tavolo dei relatori è emerso anche un dato estremamente interessante, nuovo almeno per i non addetti ai lavori. «C’è un 10% di pazienti lungo-sopravviventi al mesotelioma», ha detto Pier Giacomo Betta, anatomopatologo e ricercatore (primario prima a Casale ed ora ad Alessandria).
«Questo aspetto emerge anche dalle statistiche e nei pazienti giovani la percentuale di coloro che sopravvivono a lungo sale al 18%», ha confermato Benedetto Terracini, epidemiologo e coordinatore del Comitato Tecnico - Scientifico del Centro per la ricerca, sorveglianza e prevenzione dei rischi da amianto istituito da pochi mesi dalla Regione Piemonte proprio a Casale.
E Ezio Piccolini, primario di Pneumologia a Casale, reparto dove negli anni sono stati diagnosticati già 520 casi di mesotelioma (la terribile media ora è salita a uno a settimana), ha a sua volta aggiunto di essere a conoscenza di due pazienti che sottoposti circa nove anni fa a una terapia iniziale - per tantissimi altri inefficace - hanno reagito in modo ottimale e sono tuttora in buone condizioni. «Il mio compito si ferma alla diagnosi - ha spiegato lo stesso Piccolini - ma posso dire che a Casale ci sono le cure migliori e che non si sottovalutano i meriti di nessuno. La collaborazione sui protocolli c’è, ma i risultati delle terapie vanno verificati su numeri statisticamente significativi. Sono lieto che la signora a cui io stesso diagnosticai questa malattia stia bene e sia qui oggi. Ma non possiamo certo dire se questo sia da attribuire alla terapia o al fatto che appartenga a quella percentuale di persone che, nella sfortuna, sono più fortunate».
Ma, mentre il dato generale di sopravvivenza nell’arco degli ultimi decenni si è allungato appena da otto mesi e mezzo a dieci («Risultato modesto ma comunque positivo», ha commentato il prof. Terracini), l’esistenza di 200 casi in Piemonte di lunga sopravvivenza al mesotelioma è comunque un dato che - almeno agli occhi dell’opinione pubblica - può incoraggiare nella battaglia contro una malattia davvero temibile.
Contro la quale la strada della ricerca - il dibattito di oggi con i suoi autorevoli relatori lo ha confermato - si annuncia ancora lunga e difficile. I progressi sono lenti ma - ha detto sempre Piccolini - sperare si può.