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Valenza: cento anni di arte

Valenza è una città piccola ma (da tempo non sospetto) con grande tradizione culturale grazie soprattutto a un intelligente lavoro di volontariato sinergico. Martedì, sfidata la nebbia lungo la provinciale per Casale, parcheggiamo a lato Comune (palazzo Pellizzari), entriamo al Centro di cultura (palazzo Valentino, di fronte al Duomo) mentre il direttore Massola e il curatore Carlo Dabene stanno allestendo Valenzart : ‘‘uno spaccato della fantasia e della creatività dei valenzani’’ per dirla con il sindaco Cassano che qui espone due opere (interessante ‘‘Dune’’). Ma l’idea è molto di più: è quella di contestualizzare gli ultimi cento anni d’arte di Valenza. La giriamo a Casale dove si sta facendo (Pizzamiglio) un meritevole lavoro di ‘‘recupero’’ al castello ospitando storici artisti che si rischiava di dimenticare (Scagliotti, Marotto, i Campese..). Per un indispensabile catalogo a Valenza c’è già una buona partenza: la schedatura dei 35 artisti di Paola Bianchi che inizia con Luigi Stanchi (1901 -1991): ‘‘Si occupa di oreficeria, di sbalzo e di cesello e insegna disegno a generazioni di orafi valenzani. Si confronta con gli Impressionisti e Post-Impressionisti francesi e con artisti italiani come Morandi Carena e Casorati...’’ E finisce con un giovanissimo Simone Fontana (1985). ‘‘Dopo il diploma presso l’Istituto d’Arte B. Cellini di Valenza, intraprende un corso di lezioni private di pittura nel laboratorio Arte e Restauro di Giovanni Saldì a Casale dove si confronta con la pittura acrilica e quella a olio. Dal 2010 frequenta lo studio dell’artista Carlo Cane...”. Un’occhiata anche al casoratiano Fernando Dabene (1909-1979) e alle sculture di Luigi Visconti portate dal figlio Leonardo. C’è ancora il tempo per andare a San Bernardino (ne abbiamo seguito il recupero) per ammirare i gioielli della mostra di Giò Pomodoro (un circuito che parte da Alessandria) provengono da collezioni private, musei e gallerie d’arte italiane e dagli eredi dell’artista, con il contributo significativo del Museo Gori e dell’azienda “UnoAErre” di Arezzo. Oltre alle opere di Pomodoro, esposte nel cuore della struttura, troviamo in una saletta gli elaborati eseguiti dagli allievi della scuola di oreficeria For.Al di Valenza. Riaffrontiamo la nebbia per la zona industriale alla casa editrice Novografica dove abbiamo in omaggio il nuovo numero di “Valènsa d’na vòta”. atra inziativa che Casale deve invidiare (abbiamo solo il ricordo di un similare Almanacco monferrino, dovuto al compianto Giovanni Numico) :ValenzArt si inaugura al Centro di cultura venerdì alle 18, aperta fino al 14 gennaio. Orario: lunedì 15-19, martedì 9-12.30 15-18, mercoledì 9-18, giovedì 9-12.30 15-18, venerdì e sabato 9-12,30. :La mostra di Pomodoro in S. Bernardino (Via Lanza) è aperta fino al 29 aprile 2012 tutti i giorni da martedì a domenica dalle ore 15 alle ore 19. Il grande Po nel saggio di Dabene Abbiamo tra le mani il 26° numero di “Valènsa ‘d’na vòta”, collana dedicata alla storia, alla cultura, ai fatti e ai personaggi della città dell’oro. Una pubblicazione che ha saputo mantenere negli anni un elevato livello qualitativo, unito alla ricchezza degli argomenti trattati e al modo disinvolto e appagante di trattarli. Certamente il merito va riconosciuto ad un non comune gruppo di appassionati e di volontari che con competenza storica e con rigore metodologico raccolgono, studiano e distillano una grande massa di materiale per offrire il prezioso frutto del loro lavoro ai cittadini e agli studiosi di varie discipline che operano nel panorama provinciale. Il volume di oltre 200 pagine, che il sindaco Sergio Cassano definisce in prefazione una “sorta di Treccani della città, della sua gente e della sua storia”, presenta in copertina un’immagine d’epoca di Villa Astigliano, rivisitata dall’inedito album di ricordi delle famiglie Ceriana e Badini Confalonieri. Apre la serie assai nutrita di contributi l’interessante saggio di Carlo Dabene, firma storica della pubblicazione, che con l’aiuto delle splendide fotografie aeree di Carlo Lenti ha analizzato lo stretto rapporto tra Valenza e il Po, il grande fiume che ne lambisce i piedi. “La sua funzione nell’antichità è stata fondamentale: era un argine difensivo; dal suo porto antico, appena fuori le mura, partivano traghetti e mezzi di trasporto fluviale; le sue acque ospitavano i mulini natanti ed i pesci che le popolavano, venduti al mercato dai pescatori professionisti, apparivano frequentemente sulle tavole dei nostri antenati. Il fatto che, dopo secoli di questa proficua contiguità, intorno agli anni trenta dell’ottocento, il Po si sia allontanato dall’abitato lasciando il suo letto al torrente Grana, ha nel tempo indebolito solo parzialmente il suo legame con i valenzani”. E non manca il legame con la storia, come attesta la grande litografia su carta telata del corso del Po nel 1859, appartenente al Fondo Dabene dell’Archivio Storico Comunale, che consente di ricostruire quello che ai tempi della seconda guerra d’indipendenza era il percorso della strada che portava verso la Lomellina e Milano. «Percorrendola, aggiunge Carlo Dabene, vediamo che il primo tratto, sotto la Colombina, corrisponde a quello attuale, che supera il ponte sul Grana e punta verso nord. Nella mappa del 1859 la strada raggiunge quello che è indicato come “ponte di Valenza”. Ricordiamo che l’attuale “ponte di Ferro”, costruito due anni prima, era allora solo ferroviario e che il raddoppio per l’aggiunta della sede stradale fu realizzato solo nel 1887. Quello indicato è quindi quasi certamente il ponte di barche costruito nel 1835, la cui utilità, lo si deduce dalla mappa, fu però vanificata dall’ennesima deviazione del corso del fiume, che fece sì che il ponte raccordasse la riva valenzana a quella che praticamente era diventata un’isola. Per questo motivo la mappa evidenzia la prosecuzione della strada verso nord, oltre l’imbocco del ponte, ormai inutile, fino ad un punto in cui il letto del fiume era meno ampio e in cui leggiamo si trovasse il “porto di Valenza”. Qui un traghetto consentiva il raccordo sulla riva lombarda, con quella che è indicata come “strada Provinciale da Valenza a Torre Beretti”, quindi con la via di Milano». Le schede di Valenzart Biografie redatte con la collaborazione di Paola Bianchi Luigi Stanchi (1901 -1991). Si occupa di oreficeria, di sbalzo e di cesello e insegna disegno a generazioni di orafi valenzani. Si confronta con gli Impressionisti e Post-Impressionisti francesi e con artisti italiani come Morandi Carena e Casorati. La sua opera spazia dai ritratti ai famigliari, dalla natura morta all’indagine e alla rappresentazione del paesaggio valenzano. Mario Borio (1907 - 1988). Dipinge la campagna intorno a Valenza con un senso del minuto, del particolare che richiama il suo mestiere di orafo e con l’ampiezza del taglio del quadro e della pennellata disinvolta che gli viene da una formazione figurativa e impressionista. Nei suoi smalti affronta difficoltà tecniche con l’intento di risolvere problemi di pittura e di riecheggiare temi umani. Fernando Dabene (1909 - 1979). Conosciuto a Valenza come orafo, pittore, politico militante negli accesi scontri dei primi anni del secondo dopoguerra e letterato. È stato allievo di Casorati a Torino. L’attaccamento alla sua città si avverte in molte opere pittoriche che ritraggono i luoghi caratteristici della città: piazze, vie, monumenti e i dintorni con le colline, le vallate e le rive del Po. Questo attaccamento è testimoniato anche attraverso la rappresentazione degli eventi storici drammatici o dei momenti celebrativi che hanno visto Valenza protagonista. Giovanni Pallavidini (1911 - 1998). Il soggetto figurativo preferito dall’artista è costituito dai fiori di cui dà un’esecuzione notevolmente espressiva, riuscendo a trasformare ciò che umilmente cresce nei campi, in un’immagine di pura eleganza e purezza. Tra la sua produzione si trovano anche scorci paesaggistici che denotano un profondo attaccamento alla propria terra e la rappresentazione di oggetti appartenenti al passato. Luigi Visconti (1916 - 1996). Diplomato a Brera in scultura, laureato in architettura presso il Politecnico di Milano. Svolge la sua attività come scultore e architetto. Ha insegnato per molti anni presso l’Istituto Professionale Orafo di Valenza e ha partecipato a diverse mostre d’arte in rassegne nazionali ed internazionali. Nelle sue sculture, ritratti biografici maschili e femminili, l’emozione si cala in forme dominate e raccolte e si esprime attraverso il marmo, la terracotta, il bronzo, il metallo e l’argilla. Piercesare Fraccari (1920 - 1987). Elementi importanti nella sua pittura sono il colore, usato per esprimere il rapporto tra l’uomo e il mondo esterno, e la musica presente sia nei quadri figurativi sia in quelli astratti. Il periodo figurativo degli anni ’50 si traduce in figure stilizzate. Negli anni più recenti esprime la realtà con simboli traducendola nella purezza di linee ed essenzialità di sfondi. Saverio Cavalli. (1922). È uno dei più significativi artisti orafi italiani. Dopo una fase iniziale naturalistica, volge la sua indagine verso posizioni vicine allo spazialismo degli anni ’50. Oltre alla pittura, si dedica alla grafica, alla scultura e all’arte orafa: propone una visione astrattista del gioiello legata alla ricerca delle più elaborate tecniche orafe e all’utilizzo di materiali poveri o naturali accostati a quelli preziosi. Piero Porta (1925-1996). Dopo un periodo di pittura da impressioni della natura - canneti sul fiume, il Po di Valenza – si dedica alla pittura degli oggetti del banco dell’orefice arricchendoli della forma metafisica dei globi o inquadrandoli davanti alle finestre e sotto i portici della Valenza vecchia. I suoi quadri sono piccoli monumenti all'arte orafa. Alvaro Dubois (1926 - 2009). Ha frequentato l’Accademia di Brera prestando attenzione all’arte orafa. Inizia il percorso pittorico col figurativo espressionista; tocca l’arte astratta attraverso esperienze metafisiche. Dopo essersi cimentato con la pop-art è approdato, nella maturità, al figurativo, strumento per comunicare le inquietudini umane. Antonio Panelli (1927 - 1986). Lavora come modellista orafo a Valenza. Negli anni ’50 si avvicina al movimento realista. La sua pittura si mantiene sempre su una linea figurativa, approfondendola e sviluppandola tutt’ora con un discorso plastico legato a temi civili e a problemi del nostro tempo. Si ricordano i suoi ritratti di contadini e orefici segno di una partecipazione consapevole e sofferta della condizione umana. Rina Crivelli (1928-1981). Appartenente alla scuola figurativa, ha partecipato a importanti concorsi e a mostre collettive. La natura è da lei raffigurata sempre con toni morbidi e armoniosi utilizzando la pittura ad olio e la tecnica del collages. È stata membro di importanti istituzioni culturali. Luigi Spinolo (1930). Orafo autodidatta, inizia a dipingere nel 1958, legandosi con profonda amicizia ad Antonio Panelli. Aderisce al Gruppo degli Amici dell’Arte di Valenza e al circolo culturale “Rinascita” con partecipazioni a mostre collettive e personali. Nelle sue opere sa raffigurare un pesante disagio sociale con severa lucidità conservando il ciglio crudamente asciutto. Fortunato Andreose (1931). Valenzano d’adozione, per tutta la vita ha coltivato la propria passione per l’arte, affinando e migliorando la propria tecnica. Ha partecipato a diverse mostre personali e collettive. Nelle sue opere traspare il continuo dialogo con la natura e le stagioni in un realismo ricco di poesia che si percepisce nei suoi dipinti delle amate colline di Pecetto. Con una pittura ispirata al vero, egli sa ricreare un’atmosfera pulsante di vita e non artificiale. Mario Maioli (1931). Laureato in Architettura al Politecnico di Milano. È stato responsabile del Coordinamento Stile delle marche Lancia, Autobianchi e poi Fiat Auto. È entrato a far parte del Consiglio d’Amministrazione della Ferrari Engineering. I suoi dipinti sottendono la grande lezione di Mondrian, sono sostenuti da una forte struttura compositiva, da un rigoroso ordine segreto che li riconduce ad un essenziale progetto percettivo ed emotivo affidato all’impiego del colore acrilico. Luciano Agliotti (1932). I suoi smalti testimoniano l’amore ed il meticoloso impegno nella ricerca e nella rappresentazione di luoghi e ambienti oggi scomparsi: le case, le cascine, i vecchi portici, la campagna, la collina, le risaie, immagini che evocano un’atmosfera di magia e di arcano mistero, atmosfera che si ritrova anche nella serie dei “Tarocchi” che rivela la sua attenzione alla realtà ma anche il suo essere affascinato da tutto ciò che non può essere razionalmente spiegato. Ninni Verga (1932). I suoi quadri sono esposti ovunque: dopo l’esperienza della ceramica, ha curato essenzialmente la tecnica dell’olio, passando ad altre varie esperienze pittoriche, senza tralasciare lo studio dell’incisione e di tutti i tipi di stampa. Valenza è entrata nel cuore dell’artista che, nelle sue opere, traduce la cultura orafa, l’amore per le lamine d’oro e d’argento, le pietre preziose e i diamanti. Romano Amisano (1932-2009). Un artista che riproduce le grandi opere della pittura: Caravaggio, Tiepolo, Vermeer, grandi e piccole tele che parlano lo stesso linguaggio espressivo, volti che tornano intatti all’originale. Una ricerca ossessiva del particolare, una risposta alla sua insofferenza verso la mediocrità. Un pensiero filosofico di vita, luci e tenebre raccontate dai suoi pensieri per immagini, un cammino di solitudine nella bellezza calma delle profonde emozioni. Pier Massimo Stanchi (1933). Figlio del pittore Luigi Stanchi. Architetto, non si è mai considerato un pittore. Utilizza la pittura per trarre utili riflessioni o verifiche sull’evoluzione formale del progetto e sul suo aspetto culturale; oppure per ricercare il fil rouge sommerso che, secondo il parere dell’artista, lega tappe apparentemente distanti della storia dell’arte. Anna Scaia (1934 – 2010). Per anni infermiera al Mauriziano, negli anni ’90 si trasferisce in campagna a Palazzolo dove si dedica alla decorazione della ceramica, utilizza e lavora le terre e crea effetti cromatici naturali sorprendenti. La decorazione si trasforma in pittura sul supporto ceramico ed esprime la concezione estetica dell’artista. Gian Piero Accatino (1934 - 2003). Ha lavorato nel settore grafico per aziende orafe o enti locali e per periodici specializzati di diffusione nazionale. Appassionato di storia locale, si interessa soprattutto al mondo della montagna, in particolare della Valle d’Aosta ove negli anni ’90 si è presentato al pubblico in alcune mostre personali e collettive. Con tratto a volte lieve come quello dell’acquarello, a volte ruvido e aspro come un graffio di Forattini, miscela in sé il sogno della primavera che rinasce, il rimpianto del sole che tramonta, la nostalgia delle nebbie autunnali. Franco Scarabelli (1937). Ha dedicato l’esistenza alla professione medica, ma ha sempre riservato un’attenzione particolare all’espressione par images grafico-cromatiche, studiando e interpretando quanto attraversava la sua mente, rivelando una felice dimestichezza con il colore. La confluenza di linee curve, spezzate, diagonali, con frammentazioni figurali visitate da interventi di corpi sferici trasforma le sue opere in un’allegoria di una realtà trasfigurata e riproposta secondo i filtri della logica e della razionalità. Antonio Gié (1938). Ha conseguito il diploma di Maestro d’Arte all’Istituto Cellini di Valenza. Creativo nel settore orafo ed in altre espressioni d’arte. Da anni lavora alla realizzazione di un’opera dedicata alla musica e composta da ottantatre pezzi in legno di colori e spessori diversi. Silvio Pino (1943 – 1994). I primi protagonisti delle sue tele sono paesaggi e volti. Negli anni ’60 sperimenta diversi materiali dedicandosi ad una pittura astratta. La materia ridondante, cinerea, intesa come un lungo grido, o un buio, abissale baratro, in cui gettare gli enigmi e le brutture della propria esistenza, diventa mezzo di espressione. Negli anni ’80 compie alcuni viaggi in India e cerca di trasmettere, attraverso le sue tele, il racconto di una libertà finalmente conquistata da parte del popolo indiano. Si avvicina alla Pop art, usa la tecnica del puzzle e utilizza il colore come strumento di denuncia di episodi di violenza. Pier Paolo Prandi (1945). Da sempre, nella sua pittura limpida, nell’esaltazione delle scale cromatiche, traspare una visione onirica della realtà, accostata ad un’intensa presenza dell’elemento fantastico che sovente confluisce nei contrasti della finzione e nella forza dirompente dei simboli. Il suo profondo legame con la terra e le proprie radici lo induce ad una narrazione che aspira ad una perduta e vagheggiata età dell’oro della quale Prandi può considerarsi l’ultimo cantastorie. Sergio Cassano (1946). Dopo esperienze figurative è passato al surrealismo e ha avuto contatti con le tendenze spazialiste. Il suo surrealismo ha accenti persino onirici che si presentano in una pittura di denuncia che esprime il dolore dell’umanità nella giungla della violenza e della sopraffazione ai danni della natura che egli ama e vorrebbe conservata alla purezza e alla genuina vitalità dell’origine. Il surrealismo di Cassano è mirabilmente tormentato dai problemi ecologici, sottolineando così un importante aspetto critico della società contemporanea. Marco Dabene (1949). Si laurea in Architettura presso il Politecnico di Torino. Espone nelle edizioni delle mostre dei Giovani Artisti organizzate dalla città di Torino negli anni ‘70. A 22 anni abbandona la pittura per dedicarsi al cinema militante e alla nascente televisione via cavo. Dopo il 1975 lascia ogni attività artistica autonoma per dedicarsi alla grafica applicata e all’editoria, sia come editore, sia come socio fondatore di una società di fotocomposizione e stampa. Ezio Campese (1949). Dal 1964 al ’67 ha frequentato la “Scuola di Design di Novara” (ora Scuola Politecnica di Design Milano). Ex dell’Armando Testa Spa, da sempre freelance grafico e attivo nelle varie prassi dell’arte. Dal 1964 si presenta al pubblico con mostre (pittura), dal ’70 mail art, filmati, gioielli (collection con De Lucchi, Mangiarotti, Sottsass), poesie e molte altre cose. Carlo Cane (1951). Si è formato artisticamente alla scuola privata di Giulia Pace Zelaschi. In seguito ha frequentato lo studio del pittore Gian Paolo Cavalli affinando la propria tecnica coloristica. Miniaturista e artigiano orafo per diversi anni. Nel 1994 inaugura la sua prima e significativa personale a Casale Monferrato, cui fanno seguito esposizioni collettive e personali. Loredana Marcarini (1953). Nata in provincia di Cremona, vive e lavora a Valenza. Autodidatta in pittura, ha sempre vissuto la passione per l’arte affiancandola alla propria vita professionale in azienda. Dipinge da molti anni, spinta dalla volontà di trasferire le proprie emozioni e sensazioni sulla tela attraverso un moto spontaneo e libero. Ha esposto in varie mostre nazionali ottenendo successi di pubblico e di critica. Danilo Seregni (1961). Dal 1983 si occupa di comunicazione come art director. L'incontro con la città di Valenza gli ha permesso di focalizzare il back-ground del sistema moda per intervenire nel settore dell'alta gamma e gioiello. Numerosi gli interventi di comunicazione istituzionale sul territorio: dalla campagna di riapertura del Teatro all'immagine di eventi culturali e mostre (Piero Porta, Saverio Cavalli). Docente presso Naba (Milano) sta collaborando con Institute of Higer Education (Montreux), Santa Fe University of Art and Design (New Mexico) e Foral (Valenza). La ricerca artistica si concentra sui temi del simbolismo sacro inteso come personale via d'uscita al superamento del paradigma moderno. Licia Pagano (1961). Laureata presso l'Accademia di Belle Arti di Bologna. Attualmente insegna discipline pittoriche presso il Liceo Artistico Statale "C. Carrà" di Valenza. Nel corso degli anni ha affiancato all'attività di docente, un'intensa attività artistica (esplorando tra l'altro il rapporto tra visione e percezione) e di scenografa teatrale per laboratori e spettacoli. Ha partecipato a numerosi Laboratori Artistici e a Corsi di specializzazione sulle problematiche della visione. Oltre ai corsi di formazione per gli Asili Nido, Scuole per l'Infanzia e Scuole Elementari, ha svolto attività formative in aziende private tra le quali va segnalata Bulgari Spa. Sonia Vaccari (1967). Laureata in Psicologia delle Arti a Bologna, trasforma la realtà con l'attenzione di un designer e la libertà espressiva di un artista. Esplora le Avanguardie del '900 fino ai Movimenti Contemporanei confrontandosi con un linguaggio forte nei contrasti e nella matericità. Privilegia gli smalti nella ricerca sia stilistica che tecnica. Stefania Magnani (1970). Si diploma all’Accademia di Belle Arti di Torino nella sezione pittura. La componente scenico-teatrale domina parte della produzione dell’artista. I personaggi-attori sono disposti in un’arena di situazioni quasi sempre conflittuali. La cifra cromatica dilata, spezza e torce l’incarnato dei corpi che sfuggono l’inquadratura convenzionale per far liberare e "dubitare" circa la verità narrativa dell’opera. Le azioni congelate mostrano la catastrofe o il miracolo, segni di una primitiva necessità universale: essere. Antonio De Luca (1977). Con una pittura che sconfina tra astrazione e figurazione costruisce sulla superficie del quadro un universo al cui centro è il corpo ora monco, ora inquietante feticcio oggetto di segni e manomissioni, oppure richiamato con elementi allusivi come le scarpe e i guanti. Protagonista è un colore mulinante che si fa segno grafico, sommerge la linea e diventa veicolo di storie esprimendo una tensione espressionista sottilmente allarmante che appare più radicale per la sua capacità di essere portatrice di un’incalzante sensorialità. Simone Fontana (1985). Dopo il diploma presso l’Istituto d’Arte B. Cellini di Valenza, intraprende un corso di lezioni private di pittura nel laboratorio “Arte e Restauro” di Giovanni Saldì a Casale M.to dove si confronta con la pittura acrilica e quella a olio. Dal 2010 frequenta lo studio dell’artista Carlo Cane, affinando le capacità espressive e ampliando la conoscenza della pittura contemporanea. Nelle sue nature morte che rappresentano i rifiuti, vuole raffigurare la società odierna che egli definisce “usa e getta”.

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Marco Imarisio

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