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Giovedì e venerdì
"Every Brilliant Thing" chiude la stagione al Teatro Municipale
Per la nostra rubrica "Si apre il sipario"
Every Brilliant Thing (in chiusura della stagione cittadina), in scena giovedì 27 e venerdì 28 aprile alle ore 21 al Municipale (biglietti su VivaTicket e al botteghino le sere dello spettacolo), è un’opera teatrale di Duncan Macmillan scritta nel 2013 assieme a Jonny Donahoe (che ne è stato anche il primo interprete). Nel 2021 viene messo in scena in Italia, nella traduzione di Michele Panella con la regia a quattro mani di Fabrizio Arcuri e Filippo Nigro.
Filippo Nigro, uno dei più interessanti attori del cinema e del teatro italiano, porta in scena un racconto scandito da “liste di cose per cui vale la pena vivere”, nel tentativo di fornire suggerimenti utili a rendere bella l’esistenza.
Con la complicità di alcuni spettatori - chiamati a dare un piccolo contributo per far sì che i ricordi del passato prendano vita - e attraverso una scrittura dal ritmo sempre serrato e divertente, Every Brilliant Thing riesce a toccare con sensibilità e con una non superficiale leggerezza un tema delicato e complesso come la depressione. Dopo una lunga attesa all’uscita di scuola, il Narratore, un bambino che va alla scuola elementare, si ritrova in macchina con il padre. Il viaggio è segnato da un lungo silenzio che termina all’ospedale, dove la madre è ricoverata dopo il suo primo, fallimentare, tentativo di suicidio…
Nigro, con il suo spettacolo il teatro ha un efficace ruolo educativo?
Soprattutto per me! Un testo che mi ha migliorato come persona. Essendo un’opera senza filtri mi permette di dire ogni sera “che bello confrontarsi e avere avuto rapporti con le persone”. Questo è un racconto che lascia liberi pensieri e sensazioni agli spettatori, che ci lasciano feedback positivi, ci mandano le loro “liste” di cose per cui vale la pena vivere, al termine dello spettacolo. Esistono anche momenti di riflessione, che chi è in sala percepisce.
Come ha scoperto questo testo?
Un caso fortunato. Era la fine del lockdown e tra i testi anglosassoni che volevo leggere c’era questo libro. E da lì presi una decisione rapidissima, cosa molto strana perché elucubro parecchio sulle proposte che mi arrivano. Dopo la lettura ho riso e mi sono anche commosso, ebbi subito l’idea di portare in scena il testo. Quando sei disteso su un letto e hai queste reazioni è sempre un buon segno! Quando lo leggevo mi rimaneva impressa ogni parola e forse tre o quattro anni prima una decisione così sullo stesso testo non l’avrei mai presa! Questo è un “monologo interattivo” e ho cercato dunque di portare in scena cose che non ho mai fatto.
Non crede che un pizzico di psicologia in più possa essere utile al fine dei rapporti umani?
Il senso del percorso della vita è la relazione con gli altri. Nello spettacolo, il confronto è alla base di tutto, anche se si fonda su qualcosa di per sé banale come una lista di cose per cui vale la pena vivere, che diventa successivamente un mantra, scritta da un bambino. Gli spettatori diventano personaggi attivi, pur rimanendo loro stessi, e sono il cuore del teatro partecipativo.
Come funziona la scelta degli spettatori che interverranno?
Mi trovano all’ingresso insieme al regista Fabrizio Arcuri. E subito comprendono che succederà qualcosa… a loro daremo un numero o un oggetto… lo spettacolo inizia in un galleggiamento strano. A volte il pubblico si chiede “Come? Dobbiamo parlare noi?”. Poi parte la bellezza dello show. Nessuno verrà utilizzato come una marionetta, ma il racconto, a luci accese, deve andare in una direzione. Stabilisco un contatto visivo con loro e poi inizio lo spettacolo. A volte poi lo spettatore ribalta il testo… si crea una confidenza e un’ottima alchimia.
Stando a contatto con gli italiani, cosa ha compreso?
Ho capito che “saltano” i luoghi comuni. Non ho mai trovato spettatori restii ad agire in un certo modo… Nessuna platea l’ho trovata fredda, nemmeno a Bolzano, ma allo stesso tempo devo ammettere che a Napoli ci sono state delle repliche esilaranti. E poi le persone si confidano anche con me, come se fossimo vecchi amici a spettacolo iniziato. Tutti si trovano dentro la storia e viene commentata in continuazione!
Un mondo che corre troppo veloce molto spesso si dimentica delle persone che soffrono di depressione…
La depressione è sempre appartenuta ai tempi dell’uomo. Non so dire se la nostra società dimentichi queste persone, ma credo che la solitudine a volte possa fare bene alla mente e all’anima. Tutti si sentono connessi con gli altri, ma vivono uno stato di solitudine interiore perenne. Nel testo Macmillan esprime al meglio questo concetto: “Se vivi abbastanza a lungo, senza esserti mai sentito depresso, forse non sei stato molto attento”. E poi Macmillan non dà neanche un nome al mio personaggio, lo definisce genericamente Narratore, quindi è una storia che può essere vissuta da tutti.
Se si traduce letteralmente il titolo “Every Brilliant Thing” diventa “ogni cosa che brilla”. Secondo lei cosa deve “brillare” nella vita?
Le cose importanti sono la famiglia, i rapporti, le persone… Un titolo che ha un’ironia, io ci leggo anche una negazione, non tutto è brillante nella vita. Potrebbe esserci un punto interrogativo, allora quali sono queste cose meravigliose? Un manuale di sopravvivenza che serve alla persona. Quello che resta è la relazione, un po’ come dicevano i Beatles “With a little help from my friends”. In teatro creiamo una comunità e la magia si ricrea ogni sera.
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