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L'intervista

Il Comune di Milano ha conferito a Cristina Cattaneo l'Ambrogino d'Oro

«Diritti umani: il valore dell’apporto scientifico»

"Impegno civico". Il sindaco di Milano Beppe Sala consegna alla professoressa Cattaneo il prestigioso riconoscimento

C’è anche lo specialista di Medicina Legale di origini monferrine Cristina Cattaneo tra i 15 destinatari dell’Ambrogino d’Oro, la prestigiosa onorificenza civica del Comune di Milano conferita lo scorso dicembre a Palazzo Marino. Una benemerenza che premia l’impegno civico e lo spirito di servizio di singole persone o associazioni che si siano particolarmente distinte nell’ambito della società e/o delle professioni. 

Nata a Casale Monferrato e originaria di Pontestura, la Cattaneo è medico, antropologo, professore ordinario di Medicina Legale all’Università degli Studi di Milano e cofondatrice, direttore nonché responsabile scientifico di Labanof, il Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense dell’Università degli Studi di Milano.

Come e quando ha appreso del riconoscimento?
Il giorno stesso che è uscita la notizia. Ho ricevuto la telefonata di un collega della Comunità di Sant’Egidio. Una bella notizia colta con molto stupore.

Dagli studi alla professione la sua carriera è stata un crescendo. Quale il “segreto”?
Da bambina sognavo di diventare ballerina, astronoma e parrucchiera. Il vero grande amore, poi, è arrivato crescendo, sebbene dibattuta tra l’ambito umanistico-archeologico e l’ambito biomedico-scientifico. Finito il liceo, papà mi iscrisse alla Facoltà di Biologia in Canada, poi, mi disse che sarei potuta tornare in Italia per frequentare Medicina. Mi presi una pausa. Il mio sogno nel cassetto era il settore delle neuroscienze, soprattutto, per poter studiare e dimostrare come il cervello degli animali può percepire e soffrire come quello umano. Frequentai il Master e, in seguito, ottenni il dottorato di antropologia sotto Dipartimento di Archeologia in Inghilterra. Mi iscrissi così a Medicina e, con la specializzazione di medicina legale, incontrai il punto di incontro con la mia passione. Fondando il Laboratorio fu poi un crescendo di convincimento che quella fosse la strada giusta. Una professione eclettica al punto giusto e multidisciplinare in grado di aiutare le categoria vulnerabili. Sono in questo ambiente oramai da 30 anni. Prima era solo giustizia; da circa un decennio, con le emergenze immigratorie, si sono aperti scenari e sfide nuove, ampliando l’ambito di applicazione: non solo giustizia ma diritti umani. Non ci sono segreti, ma l’alternanza di successi e fallimenti. Penso, tra gli altri, alle tante persone perse e all’impossibilità di far costantemente crescere Labanof per mancanza di fondi, ma penso anche al grande lavoro svolto negli anni, incluse le ripetute lotte per raggiungere risultati come, tra gli altri, l’identificazione dei migranti, la creazione di strutture a Milano per visitare minori non accompagnati o vittime di violenze. 

A 4 anni dalla pubblicazione di “Naufraghi senza volto” cos’è cambiato?
Dal punto di vista culturale, per quel che riguarda la sensibilità verso la nostra disciplina, la situazione è peggiorata.Sempre meno fondi e, anche, meno autopsie. Le responsabilità stanno un po’ di mezzo tra la nostra categoria (non sempre capace di far comprendere l’importanza della professione) e la magistratura (non sempre provvida ad approfondire).Nel frattempo, stiamo perdendo bravi giovani e potenziali di crescita e sviluppo. In Italia, gli Istituti di Medicina Legale sono appena una dozzina.La Medicina Legale è importante per i morti, ma anche per i vivi. Mi riferisco, tra gli altri, ai casi di elettrocuzione, di iniezioni sottocutanee di lime e peperoncino praticate nell’Africa Subsahariana. Sono torture atroci rispetto alle quale non ci si può girare dall’altra parte. Poi, c’è l’aspetto umano e c’è la fiducia da conquistare rispetto ai famigliari delle vittime o alle vittime stesse. Nessuno ti insegna come gestire il parente di un morto o la vittima di una tortura. 

Quali le nuove sfide?
Occorre una riforma della medicina legale per i morti e per i vivi come hanno fatto i francesi; occorrono battaglie per i migranti, per le uguaglianze e per l’identificazione delle persone, per la prevenzione e la tutela dei vulnerabili.

Ha mai pensato o è stata invitata a lavorare all’estero?
Dopo il dottorato sono stata invitata a lavorare in Inghilterra; in seguito ho lavorato in Francia per due anni, ma poi sono sempre tornata a casa. Anche se ci sono pochissimi fondi, l’Italia ha un potenziale enorme.

Su cosa sta lavorando ora?
Sulla prossima apertura (giugno) del museo Musa dedicato alle Scienze per i Diritti Umani presso la Città degli Studi di Milano.  Si tratta di un percorso storico, del crime e umanitario con una sezione dedicata anche al Campus Estivo di Labanof a Pontestura che, pandemia piacendo, speriamo di replicare quest’anno con interessanti novità.

Cos’è per lei il Monferrato?
E’ l’infanzia… è casa, mentre Franco Berra rimane il mio sindaco del “cuore”.

Il suo sogno nel cassetto?
Riuscire a costruire un grande centro che includa museo, educazione e parte universitaria, ma anche la narrazione al grande pubblico delle battaglie e di come le scienze forensi possano intervenire per fronteggiare le grandi sfide anche nei diritti umani. Un Centro che contempli la Terza Missione e arrivi oltre la specie umana. C’è ancora tanto da fare, ma invecchiare ha il vantaggio di avere maggiore autorevolezza.


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Marco Imarisio

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