«Acque risicole: regimazione utile per la difesa ambientale»
Andrea Cisnetti, da 51 anni mediatore di riso di Palazzolo Vercellese, è una sorta di memoria storica del comparto. Lo abbiamo intervistato affrontando diverse tematiche riguardanti il pianeta del riso riallacciandoci all’importante convegno di Vercelli, alla fine degli anni Novanta, incentrato sulla previsione del Distretto Agroindustriale.
Che cosa le sta più a cuore? Andiamo a ritroso nel tempo cercando di sviluppare alcune riflessioni per poi tornare all’attualità e alle problematiche che affliggono il settore.
Certamente la campagna antinucleare condotta a metà degli anni Ottanta soprattutto con il supporto del comitato per l’informazione sorto all’epoca spontaneamente fra cittadini e agricoltori.
C’è qualche legame con le vicende di allora?
Sì, pur trattandosi di vicende oggettivamente diverse, sono equivalenti nelle conseguenze. La disattivazione di almeno alcune decine di migliaia di ettari di risaia allora a causa della concorrenza nell’impiego dell’acqua (12 metri cubi al secondo servivano per il normale funzionamento della mega centrale quando il Po intero per diversi mesi l’anno aveva una portata di molto inferiore) oggi a causa della concorrenza legale ma sleale dei risi importati dai PMA (Paesi Meno Avvantaggiati).
Cosa significa la sigla PMA?
PMA è un concetto volutamente adattabile praticamente a tutti i paesi del terzo mondo: quindi non vi sono solo quelli che nel concreto oggi spediscono derrate alimentari in Italia ed Europa. Le multinazionali, una volta ottenuta la norma WTO, sono poi andate a caccia di potenziali collaboratori, scegliendo popolazioni ‘docili’, regimi dittatoriali, condizioni pedoclimatiche ideali. La condizione di PMA è adattabile a qualunque paese del terzo mondo.
Veniamo all’attualità italiana: cosa dovremo attenderci?
La situazione è drammatica, ma il fatto che non lo fosse per nulla l’estate scorsa quando tutte le condizioni esterne erano già queste, la dice lunga su come ci abbiamo messo del nostro negli ultimi tempi, soprattutto per negligenza ed incompetenza.
Esempi?
Il più eclatante è l’abbandono della coltivazione dei risoni del gruppo Indica e poi c’è il legame e rapporto tra l’euro e il dollaro.
Che tipo di interventi occorre mettere in atto per correggere le storture e raddrizzare il volano del comparto risicolo?
Il comitato risponde solo alla logica del ‘meglio tardi che mai’, la politica e le istituzioni fanno solo dei teatrini... L’ultimo tentativo utile fu quello del 1996 del prof. Dario Casati al convegno di Vercelli e la successiva relazione del 1997 incentrata sul Distretto Agroindustriale. Casati, all’epoca, era preside della facoltà di Agraria della Statale di Milano, oggi è docente allo stesso ateneo. La logica basata sulle inarrestabili decisioni che stavano per essere assunte nel giro di qualche anno, con il WTO, con l’organizzazione almeno di una sorta di difesa in modo da attenuare le conseguenze, si sarebbero rivelate prediche nel deserto. Sarebbe invece auspicabile la nuova nascita di un comitato per l’informazione poichè la politica dei twitter con la semplificazione dei messaggi ne fa un’informazione sovente fuorviante. Giova ricordare che la documentazione fornita ad una riunione organizzata dalla Regione nel 1998 era costituita da alcune centinaia di pagine scientificamente valide ma di problematica comprensione per gli addetti ai lavori.
Nel marzo del 1999, Vercelli ospitò un importante convegno avente per tema il Distretto del Riso: la proposta degli esperti per rivitalizzare il sistema produttivo territoriale di fronte alla crisi di mercato.
Il prof. Casati, illustre luminare in materia, fu tra i protagonisti del convegno vercellese del 1997 con la proposta del Distretto Agroindustriale. L’ha ancora sentito, vi siete confrontati di recente?
No, recentemente ho appurato che scrive ancora importanti articoli di fondo ne ‘Il Risicoltore’: a gennaio è stato autore di un articolo sulla teoria della decrescita felice e, a maggio, un altro sulle conseguenze dell’eventuale uscita dell’Italia dall’Europa.
Sui problemi attuali della risicoltura, non ho invece letto nulla; auspico altri autorevoli suoi interventi.
In definitiva, quali sono le sue proposte?
In molti stanno evidenziando la difesa ambientale che può derivare dalla regimazione delle acque ‘risicole’ che fu peraltro messa in evidenza da Casati nel 1997. Unica lacuna fu quella di non aver evidenziato i vantaggi in termini di protezione civile ma c’è da dire che una ventina di anni fa le modifiche climatiche non erano ancora state individuate, non c’era ancora la presa di coscienza attuale.
Cosa ne pensa della proposta di allagare le risaie in inverno per ragioni agronomiche avanzata recentemente?
Recentemente si è ipotizzato l’allagamento invernale delle risaie per ragioni agronomiche. Qualora ciò accadesse, le precipitazioni invernali sarebbero immagazzinate nelle falde freatiche recando vantaggi nei 200.000 ettari della regione risicola ma anche negli altri 300.000 ettari a valle, senza dighe e colate di cemento. Se si abbandonasse la gestione delle acque superficiali dell’area risicola piemontese-lombarda, si tornerebbe allo spauracchio dell’economista inglese del Settecento Artur Young che descriveva la misera situazione vercellese con queste parole: «Triste paese, tanto noioso quanto malsano: il cadavere di un ladro sospeso ad un albero è in armonia con l’aspetto cupo e pestilenziale di questa regione».
Un quadro desolante, grave ed impietoso. Cisnetti, in una relazione del 1988, sottolineava che qualora il mondo ambientalista fosse uscito sconfitto dalla campagna del vercellese, la terra, con o senza il nucleare, avrebbe potuto essere descritta con la lugubre definizione utilizzata dall’economista inglese, ma con un’unica variante: che invece dei cadaveri dei ladri appesi troveremmo i loro monumenti (dighe, mega-centrali, autostrade, cavalcaferrovie, discariche) disseminate perpetuamente sul territorio.