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L'intervista
Lanati: «È il tempo di impressionare...ma anche di fare attenzione alle furbizie»
Le parole di Donato Lanati, enologo

A proposito di bicchiere mezzo pieno…
Nel tempo della pandemia, il sommo dell’enologia Donato Lanati coniuga scienza, filosofia e intuizioni per scatenare, nel suo calice sempre mezzo pieno, sentori e opportunità nuove. Ma, avverte: attenzione alle furberie...
Pandemia: limiti e restrizioni. Qual è il suo concetto di libertà?
La libertà è qualcosa di incommensurabile che supera lo spazio fisico. Come un diamante, la sua bellezza prende vigore dalle plurime sfaccettature che lo irradiano. In questi giorni, sto scoprendo volti nuovi della libertà. Sto completando ricerche che avevo ritardato, perché sopraffatto da quell’iperattivismo che mi pareva irrefrenabile.
Ho ritrovato un tempo nuovo e, in lui, la beltà di sconfinati spazi, in cui la mente si muove libera e incontenibile.
Qual è la differenza di essere italiani?
L’Italia ripartirà prima di altri Paesi, ma qualcosa cambierà. Si ridurranno i grandi assembramenti e il modo di gestire gli eventi. Anche i ristoratori avranno nuove regole d’igiene come, probabilmente, la riduzione dei coperti per garantire il distanziamento sociale. Dovremo pensare ad un servizio di consegna al domicilio, contraddistinto dal carattere culturale e identitario della nostra terra. Contestualmente, ridisegnare gli spazi comuni e inventarci modi nuovi di lavorare.
La tecnologia, poi, ci sta insegnando ad ottimizzare il tempo, a ridurre gli spostamenti, facendoci risparmiare energie fisiche ed economiche, e a rispettare l’ambiente. E’ un’occasione per scrollarci di dosso impostazioni viziate e faticose.
È giunto il tempo di reinventarci e riscoprirci italiani. Mi riferisco a quel tocco di estro e genialità che è scritto nel nostro Dna.
E, per il vino?
Nelle avventure e nelle disavventure, il vino accompagna l’uomo da 8000 anni. La viticoltura è andata avanti per l’amore degli uomini. Nessun grappolo dovrà restare appeso alla vite. E’ giunto il tempo di puntare tutto sulla qualità, senza se e senza ma. E’ la nostra grande occasione.
Cosa pensa del ricorso alla distillazione per ridurre le eccedenze in cantina?
È una fantastica autorete d’immagine. Sento odore di furbizia; penso che porti vantaggio solo ai furbi per sbarazzarsi dei vini invenduti, perché di bassa qualità.
Certo, occorre gestire le giacenze dei vini che hanno ciclo annuale, come Prosecco, Pinot grigio e Moscato d’Asti anche se, con adeguate tecnologie, i vini possono rimanere giovani. Non comprendo, invece, la distillazione per i vini rossi che, notoriamente, hanno una spiccata predisposizione alla maturità anagrafica e dei sapori. Per i rossi, la quantità si potrà distribuire nel tempo.
Cosa pensa, invece, della Vendemmia Verde?
Lasciando i grappoli appesi alla vite, in cambio di un contributo esiguo agli agricoltori, il vigneto verrebbe coltivato al minimo e ne soffrirebbe. Un’anomalia che si ripercuoterebbe sulla prossima stagione, anche a livello parassitario. La vite è una pianta intelligente: è la vita che parla e si perpetua.
La vendemmia verde sarebbe la soluzione ideale se corrispondesse al significato vero della parola; se ai produttori venisse concesso un contributo in cambio di un impegno concreto al diradamento. Per intenderci, togliere grappoli all’invaiatura, ricavando non più di 35/40 quintali di uva per ettaro. Così, otterremmo un vino duraturo capace di esprimere il suo territorio.
Cos’altro?
Il mio amico Walter Massa, per esempio, ha pensato di fare aceto in azienda. Oggi, la legge non lo consente, ma le condizioni igienico sanitarie sono cambiate. Credo che nelle cantine si possa anche produrre una buona qualità di aceto del territorio.
Rispetto al vino e alla vite, la pandemia è scoppiata in un momento in cui abbiamo vino buono in cantina e tutto il tempo per poter progettare una vendemmia, magari ridotta, ma di qualità e per studiare vini che durino nel tempo. Ci sono varietà maggiormente predisposte; ogni vigneto va analizzato a sé. Questa è una grande opportunità, per puntare tutto sulla qualità.
E ….?
E investire nella comunicazione. Ce lo insegnano bene i nostri cugini francesi. Attraverso la giusta comunicazione deve uscire il cuore della nostra terra e delle cultura italiana. Dobbiamo parlare di territorio, nel nostro caso di Monferrato, e non di singoli prodotti.
Non ripartiremo da dove tutto è stato interrotto, ma da qualcosa di nuovo. Diamoci da fare. Non c’è tempo per lamentarci. L’Italia, con i suoi prodotti, ha sempre emozionato. Ora, occorre uno sforzo in più: dobbiamo impressionare!!!
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