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La testimonianza

La storia di Giovanna: «Convivo con il diabete da ventisette anni»

Il 14 novembre era la Giornata Mondiale dedicata alla malattia

Mercoledì 14 novembre c’è stata la Giornata Mondiale del Diabete organizzata dall’International Diabetes Federation e dell’OMS. A livello nazionale i malati di diabete risultano 3 milioni e 200 mila; sono oltre 300 mila quelli rilevati a livello regionale e più di 6.000 i casi registrati nell’Asl Alessandria, ospedale di Casale Monferrato. Del dato casalese, il 42,5% dei casi riguardano gli over 65, il 57,1% persone tra i 19 e i 65 anni e lo 0,4% i giovani fino a 18 anni. La patologia è maggiormente frequente tra gli uomini che sono il 51,6%, contro il 48.34% delle donne.

La testimonianza

«Avevo 28 anni. Desideravo un figlio che non arrivava. Il medico mi prescrisse i primi esami. I referti non lo convinsero. Venni ricoverata per tre giorni in Medicina a Casale poi, il referto confermò i primi sospetti: glicemia borderline. Non fu certamente quella la causa di una gravidanza che tardava ad arrivare, ma la consapevolezza di una patologia cronica insorgente di quella portata, il diabete di tipo 1, non poteva venire sottovalutata nella ricerca di un figlio».

A raccontarsi è Giovanna, oggi poco più che cinquantenne, monferrina, madre, un diploma e una professione di responsabile d’azienda. «Fu un colpo di fulmine a ciel sereno. Nessun caso in famiglia e, io, una salute di ferro. Tra la confusione e il bombardamento di informazioni, dovetti scegliere: continuare con valori borderline ancora per qualche tempo, senza sottopormi ad alcuna terapia, ma semplicemente seguendo una giusta alimentazione e praticando attività fisica, oppure coronare il sogno di un figlio con il rischio, anzi la certezza, di iniziare a sottopormi ad insulinoterapia per tutta la vita. Già, la gravidanza avrebbe compromesso quella temporanea situazione di stallo, traducendo la mia condizione borderline in un conclamato diabete di tipo 1».

Quali furono i tuoi pensieri? «Volevo un figlio, lo desideravamo entrambi io e mio marito. Ma la scelta fu la mia: scelsi la gravidanza. La scelsi perché preferii intraprenderla in condizioni ancora non patologiche piuttosto che, più avanti nel tempo, quando il diabete sarebbe diventata una patologia cronica».

Giovanna restò incinta qualche mese più avanti e, dopo poche settimane, dovette iniziare la terapia insulinica. Fece una scelta importante: «Il primo pensiero fu sempre quello di un figlio che stava arrivando. Seguii rigorosamente tutte le indicazioni e iniziai quella che diventò una pratica quotidiana: dai 3 ai 5 buchi nelle dita al giorno per misurare i valori glicemici e 4 iniezioni di insulina». Come andò la gravidanza? «Tutto bene. Dovetti accettare il cesareo per precauzione. Nacque una bimba. Tutt’oggi sono rammaricata di non averla vista nascere».

Il tuo diabete? «Oramai era entrato a far parte della mia vita ma, ancora oggi a distanza di oltre 20 anni, non l’ho accettato».

Cosa significa? «Oltre alle raccomandazioni e rassicurazioni che ricevevo periodicamente dai medici che mi avevano in cura, ricevetti tante informazioni a livello trasversale: conoscenti, media, vita sociale. Spesso mi trovai dibattuta tra l’andare alla ricerca di approfondimenti o fermarmi a ciò che sapevo. Avevo il terrore di saperne di più. Vissi anni di angoscia nel pensiero di arti amputati, cecità, problemi cardiaci e anche oncologici. Quante notti a piangere sconsolata e in solitudine, pregando Dio di farmi vivere almeno finché mia figlia non fosse diventata adulta e avesse concluso gli studi universitari. Ancora oggi fatico a convivere con il diabete».

E’ stato faticoso compensare i valori glicemici? «Sì, lo è stato. Sono spesso passata da ipoglicemie e iperglicemie. Una volta persi completamente conoscenza. Se ne accorse mia figlia. Aveva appena 8 anni. Se ne spaventò tantissimo, ma fu in grado di chiamare i miei genitori e farmi accompagnare in ospedale. Presi coscienza dopo ben 3 ore. Mi sentii in colpa. Una colpa che forse neppure mi appartenne».

Come fu e com’è gestire l’alimentazione? «Fu sempre un limite, specialmente quando si usciva a pranzo o a cena. Oggi, fortunatamente, un po’ meno. Mi sono un po’ abituata».

Col senno del poi come vedi questi tuoi 27 anni da diabetica? «Credo che, per i casi di tipo 1 e/o comunque per le fasce giovani, all’efficienza dei diabetologi vada assolutamente affiancata la figura dello psicologo. Il diabete è una patologia importante. Credo che il nostro Paese debba prendere esempio dai modelli d’oltreoceano e anglosassoni, che prevedono figure specializzate in accompagnamento alle patologie croniche, qualsiasi esse siano. I diabetologi sono sempre più alla presa con carenze di organico, spostamenti e grande mole di lavoro. Occorre una figura specializzata che accompagni i malati, prevalentemente i giovani, in questo percorso. Io ne ho sentita tantissimo la mancanza. Mi sono sentita sola, troppo sola. Le mie angosce psicologiche hanno indubbiamente e fortemente condizionato la mia vita sociale e famigliare, nonché la mia serenità. Col senno del poi posso dire che, se fossi stata accompagnata psicologicamente in questo percorso, avrei sicuramente vissuto meglio la mia condizione di diabetica».


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