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RICERCA 2 / Mesotelioma: L’ormone che fa vivere di più le donne

«Identificare nuovi bersagli molecolari, con lo scopo ultimo di sviluppare terapie personalizzate sulla base delle caratteristiche di ciascun paziente e ridurre gli effetti collaterali associati alle attuali terapie». È l’obiettivo di fondo delle ricerche condotte dal gruppo diretto dalla professoressa Laura Moro, docente di Biologia Applicata, che dirige un laboratorio di ricerca di Biologia Cellulare e Molecolare presso il Dipartimento di Scienze del Farmaco, dell’Università degli Studi del Piemonte Orientale con sede a Novara. Il gruppo opera nella rete sostenuta dalla Fondazione Buzzi, e la ricerca è focalizzata, sul mesotelioma pleurico. Dottoressa Moro, perché la «rete»? E cosa significa lavorare in rete? Occorre ottimizzare i risultati delle ricerche e raggiungere gli obiettivi in tempi rapidi, per questo il gruppo opera all’interno di un sistema di collaborazioni - definita convenzionalmente rete - tra laboratori di ricerca e centri clinici sia europei che statunitensi. I ritmi della ricerca impongono oggi che si lavori localmente, ma che ci si relazioni a livello internazionale per poter avere accesso a dati e tecnologie avanzate concentrate in alcuni centri specializzati, è inoltre fondamentale che ci sia un’attiva collaborazione tra che studia la patologia in laboratorio, gli specialisti che ne conoscono le caratteristiche cliniche al fine di motivare le aziende farmaceutiche ad investire in questo ambito. Che ricerche state svolgendo? Studi rivolti a capire il ruolo di proteine coinvolte nel controllo della proliferazione cellulare e nella progressione della malattia e testare nuovi farmaci, utilizzando sia modelli cellulari che animali validati per lo studio di questa patologia. Un po’ più nel dettaglio? Un primo progetto riguarda un particolare recettore ormonale, che agisce come soppressore della proliferazione cellulare in diverse patologie tumorali e che il gruppo per primo ha dimostrato essere coinvolto nella progressione del mesotelioma. Gli studi sono iniziati dall’osservazione clinica che le donne affette da mesotelioma hanno una prognosi e sopravvivenza migliori. Sì è constatato che chi esprime questo tipo di recettore nelle cellule tumorali vive più a lungo e che stimolando la sua attività il tumore cresce molto più lentamente. Questa intuizione ha dato frutto? Sì. I risultati - pubblicati su due prestigiose riviste internazionali - sono stati notati da una azienda farmaceutica svedese, leader mondiale nello sviluppo di farmaci rivolti contro recettori ormonali e che, alla luce dei dati ottenuti, sta investendo in maniera consistente per portare una molecola che agisce solo su questo recettore al più presto in clinica. Quanto tempo occorrerà per avere un riscontro terapeutico? Realisticamente 2-3 anni, poiché una volta che il farmaco è uscito dal laboratorio occorre valutarne per la prima volta la tossicità nell’uomo e stimare la dose soglia oltre la quale è meglio non andare. Se la molecola ottiene la «patente di sicurezza» occorre testarne l’efficacia contro la malattia e quindi confrontarla alla terapia standard già esistente. Ma in cosa consiste esattamente il meccanismo che avete osservato? Gli studi fino ad ora condotti hanno dimostrato che le cellule trattate con questo agonista hanno difetti nella produzione di energia, quindi proliferano più lentamente, e che in modelli animali i tumori risultano avere dimensioni significativamente ridotte ed essere più sensibili alla chemioterapia. E quali sono i vantaggi? La sperimentazione ha dimostrato che il trattamento delle cavie con il solo agonista dà risultati analoghi all’attuale chemioterapia, ma che il farmaco in combinazione con i trattamenti standard dà luogo ad una risposta molto più efficace, riducendone anche gli effetti collaterali. I lavori volti a chiarire i meccanismi base del funzionamento di questa molecola verranno a breve pubblicati su prestigiose riviste mediche internazionali e sono stati presentati in diverse sessioni al convegno internazionale IMIG (International Mesotelioma Interest Group) che si è tenuto la settimana scorsa a Boston e che ha riunito oltre 500 studiosi provenienti dai più importanti gruppi di ricerca e clinici che si occupano di questa patologia a livello mondiale. Avete portato altro a Boston? Un altro farmaco oggetto di studi recentemente pubblicati e che appaiono nella prima pagina del sito web dell’IMIG è la Perifosina, un farmaco già sperimentato su altre patologie, che ha come bersaglio una proteina implicata nella resistenza a farmaci antitumorali e anche in questo caso sembra aumentare la sensibilità al cisplatino, chemioterapico attualmente impiegato per il mesotelioma. Il farmaco è già stato testato negli Stati Uniti su un piccolo gruppo di pazienti e ha dimostrato di bloccare la progressione della malattia ma, ora, si tratterebbe di organizzare il trial di «Fase 1» in associazione con un chemioterapico al fine di potenziarne gli effetti. Proprio a questo riguardo sono in corso incontri con l’azienda farmaceutica presso la sedi di NewYork. So che lavorate anche sul DNA, come avevano spiegato le sue collaboratrici tempo fa in un incontro con gli studenti qui a Casale. Il gruppo sta testando un farmaco sviluppato da un’azienda californiana, che agisce bloccando una proteina coinvolta nel riparo dei danni indotti al DNA, che anche in questo caso potenzia l’effetto di alcuni chemioterapici, impedendo che le cellule tumorali si auto-riparino. I risultati di questo lavoro sono attualmente in fase di pubblicazione. Su Youtube il filmato sull'attività dell'equipe della professoressa Moro: guarda il video Nella foto: Gabriella Manente, Laura Moro e Giulia PInton al convegno IMIG svoltosi a Boston di metà settembre

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Marco Imarisio

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