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  • 14 aprile 2011
  • Casale Monferrato

In Nepal, alla ricerca della montagna dove morirono quattro monferrini nel 1992

La tragedia dell’aria si consumò il 28 settembre 1992 nei cieli del Nepal, a 40 chilometri dalla capitale Katmandu. Il velivolo, un airbus “A-300” della compagnia di bandiera pakistana Pia (Pakistan International Airways) con a bordo 155 passeggeri e 12 membri dell’equipaggio, in volo da Karachi a Katmandu, precipitò durante le fasi che precedono l’atterraggio. L’aereo andò a schiantarsi contro la montagna Bhatte Danda, a 2500 metri di altezza. In quel momento (erano le 14,40 ora locale, le 8,40 in Italia) nella zona della sciagura gravava una fitta coltre di nubi; pare che l’airbus volasse 500 metri più basso rispetto alla quota stabilita. Non si salvò nessuno: tra i dieci italiani morti, anche Marco Ballerini, 40enne medico ginecologo casalese; i trinesi Anselmo Rosso, 59 anni, e Tiziana Celoria, 39 anni, e la vercellese Anna Maria Marcone, 40 anni. Medico, specializzato in ginecologia, Marco Ballerini - che lavorava all’ospedale Sant’Andrea di Vercelli, ed era titolare di uno studio medico in via Vigliani a Casale - amava viaggiare e aveva l’hobby della fotografia. Girava tutto il mondo ma ogni due anni tornava in Tibet; l’ultimo viaggio gli era stato fatale. I suoi resti - come quelli della maggior parte delle vittime - non furono mai ritrovati. A distanza di 19 anni da quella immane tragedia, un gruppo composto da quattro casalesi - Paolo Corradino, grande amico di Ballerini, Ivaldo Carelli, Gabriella Fiora e Fernanda Pessina - durante un viaggio in Nepal, è recentemente tornato sul luogo della disgrazia visitando il mausoleo Lele Memorial Park Pia eretto a ricordo del disastro aereo. «Della tragedia nessuno ricorda nulla, è stata completamente rimossa anche perché la cultura nepalese prevede la cremazione con dispersione delle ceneri per la reincarnazione ed i familiari si sottopongono ad un mese di lutto stretto; dopodichè riprendono le normali attività - spiegano - È stato complicato organizzare l’escursione fortemente contrariata dalla guida locale che considerava la zona impervia e neppure frequentata dai nepalesi sebbene a soli 20 chilometri da Katmandu. Dopo molte insistenze abbiamo noleggiato un auto con autista che in circa 2 ore e mezza ha raggiunto la zona sconosciuta». La zona dove è stato eretto il mausoleo è collegato da una sola strada-pista in terra battuta che costeggia il pendio di una montagna tra boschi di media altezza. È scarsamente abitata e la meta è stata raggiunta percorrendo un ultimo tratto a piedi in quanto non praticabile con le auto. «Nella totale desolazione, della zona è stato creato, dalla compagnia aerea Pia, un parco cintato molto ben tenuto con prato rasato e pulito con piantumazione di molti alberi da giardino e cespugli fioriti ben curati. Un angolo che contrasta con il paesaggio circostante; ci sono gazebo frequentati dai ragazzi delle zona - raccontano i quattro casalesi - Sono disponibili servizi e c’è l’abitazione del custode che gestisce la manutenzione e gli orari di apertura del mausoleo. Un sentiero si inerpica sul versante scosceso della montagna per circa 200 metri fino ad una piazzetta centrale con intorno un anfiteatro semicircolare con delle nicchie foderate di marmo sui quali sono incisi i nomi delle vittime suddivise per nazionalità. Abbiamo individuato quelli degli italiani ed il primo nome è proprio quello di Marco Ballerini seguito da quello dei compagni trinesi e vercellesi e pochi altri». Sono stati momenti di vera e profonda commozione quelli vissuti da Carelli e compagni, i quali hanno deposto - forse per la prima volta dopo 19 anni - un mazzo di rododendri rossi, acquistati poco prima da un ragazzo comparso all’improvviso su una strada polverosa, che forse era andato in alta montagna a raccogliere quei particolari fiori non presenti nella zona. Al mausoleo sono state applicate due targhe ricordo con i nomi degli amici e le date, in aggiunta ad un’altra targa posta 18 anni fa da un amico medico di Trino, ora però danneggiata. C’è stato un momento di silenzioso raccoglimento e di preghiera recitata nel ricordo degli amici scomparsi. All’uscita il custode, stupito della piccola comitiva di visitatori stranieri, si è informato dall’autista ed è andato a prelevare il registro delle dediche: «Vi abbiamo apposto un pensiero e firmato indicando nazionalità e data al numero 57 cronologico dei visitatori: era il primo ricordo scritto per gli italiani morti - sottolinea Ivaldo Carelli - Il custode ci ha poi indicato l’esatta posizione dell’impatto dell’aereo sulla cima della montagna antistante il mausoleo, costruito più a valle in una stretta gola, presumibilmente perché più accessibile». Un luogo bello e curato in netta contrapposizione con quanto lo circonda. Un luogo difficilmente accessibile ma il cui ricordo rimarrà per sempre indelebile nel cuore e nella mente dei quattro casalesi.

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Roberto De Alessi

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