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  • 10 giugno 2022
  • Casale Monferrato

Processo Eternit-Bis

«Vorrei giustizia, perché ho subito, insieme ad altre migliaia di persone, un torto immenso»

«Sembra una presa in giro sentir parlare del mesotelioma come di un tumore raro»

Alle udienze del processo Eternit bis degli ultimi mesi ho assistito all’interrogatorio dei periti della difesa dell’imputato Schmidheiny: la mia reazione è stata spesso di incredulità e sgomento. Anche leggere sul Monferrato del 31 maggio il resoconto molto dettagliato dell’ultima udienza, cui non avevo potuto essere presente, mi ha creato un certo smarrimento.

Colpisce, anzi, sembra una presa in giro sentir parlare del mesotelioma come di un tumore raro, poco conosciuto, e quindi difficile da diagnosticare. Quando hai la tosse, un dolore al petto o alla schiena, qui la diagnosi te la fai da solo, prima ancora di una visita medica, tanta è la consapevolezza di quanto sia diffuso il mesotelioma.

Certamente, aver paura non equivale ad una verità scientifica, ma i nostri medici negli ultimi decenni sono diventati, loro malgrado, bravissimi a capire, a indirizzare verso gli approfondimenti indispensabili. All’ospedale di Pavia, già più di 40 anni fa, se arrivava un malato con certi sintomi specifici chiedevano: ‘Lei è di Casale?’ e la diagnosi era, ahimè, più semplice da fare. 

Quando mio marito seppe di avere un versamento pleurico, noi neppure osavamo sperare che fosse una pleurite. In quanti casi a Casale Monferrato un versamento è una semplice pleurite? Mi piacerebbe saperlo.

Mio marito ha perso 20 chili in due anni, aveva una spalla vistosamente più bassa dell’altra, e difficoltà respiratorie crescenti, come tutti gli altri malati di mesotelioma. Di che cosa è morto? Pleurite? O anche lui è stato un ‘falso positivo’? Insieme a quanti altri, di grazia? E, come si chiede anche Silvana Mossano nel suo blog, tutti qui a Casale Monferrato? A me sembra molto, molto strano.

L’altra affermazione incredibile è che basti una sola esposizione per ammalarsi di mesotelioma e che l’accumulo delle esposizioni successive non sia rilevante per la formazione del tumore e della sua progressione. 

Già numerosi consulenti dell’accusa in tribunale hanno sostenuto e dimostrato il contrario, inoltre la teoria della ‘prima dose’ è sostenuta solo dal 5% degli scienziati, mentre il 95% sostengono l’opposto, come i suddetti consulenti. È possibile verificare se esistono conflitti di interesse per alcuni scienziati? Non sarebbe la prima volta che la scienza viene piegata ad interessi di parte. L’industria del tabacco, per fare un esempio, ha sostenuto per anni attraverso ricerche scientifiche opportunamente indirizzate, che il tabacco non fosse nocivo. Dopo decenni di menzogne, nessuno più osa affermare una cosa simile. Quanto dobbiamo aspettare perché questo avvenga anche per l’amianto? 

Se la teoria dei consulenti della difesa fosse attendibile, allora in città come Milano, Roma, i mesoteliomi dovrebbero essere centinaia di migliaia e in Italia milioni. Come mai, invece, i mesoteliomi sono purtroppo così numerosi a Casale, Broni, Cavagnolo, Bagnoli, Rubiera, Monfalcone?  È stato inoltre affermato che con la gestione svizzera di Schmidheiny furono attivati parecchi investimenti per la sicurezza ambientale: peccato si siano ‘dimenticati’ di puntualizzare che, proprio in piena gestione Schmidheiny, fu fortemente sviluppata la frantumazione a cielo aperto di migliaia di tonnellate di manufatti (lastre, tubi in Eternit scartati, fallati e quindi non commerciabili), provenienti anche dagli altri stabilimenti italiani. Frantumati ai quattro venti, anche su due turni giornalieri, con un cingolato, e poi trasportati, con mezzi scoperti, nel cortile dello stabilimento per essere inseriti nel mulino Hazemag, polverizzati e quindi riciclati nella produzione. 

Ovviamente il diritto alla difesa va salvaguardato, ma non si può accettare che siano stravolta la scienza, il buon senso e la verità conosciuta, vissuta e subita da intere popolazioni, allo scopo di inserire il dubbio nei giudici, e in tal modo tentare di evitare il conseguente atto di giustizia.

Io vado a Novara alle udienze perché cerco giustizia per una morte troppo prematura, evitabile. Vado alle udienze, anche se spesso mi costa molta fatica ascoltare certe teorie, per l’amore che ho nutrito e che nutro per mio marito, e per una forma di rispetto nei suoi confronti e nei confronti di tutte le altre vittime. 

Vorrei giustizia, perché ho subito, insieme ad altre migliaia di persone, un torto immenso.


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Paolo Pensa

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