La sentenza della Cassazione sulle morti amianto? Pesce: utile a evidenziare le responsabilità dell'Eternit
di Massimiliano Francia
Morti per l’amianto respirato in fabbrica? La responsabilità penale del datore per omicidio colposo scatta solo se si prova che la lunga esposizione all’amianto accelerò la malattia.
È questo - sommariamente - il significato della sentenza n. 43786/10 della quarta sezione penale della corte di Cassazione intervenuta nella delicata materia delle morti per esposizione ad amianto in fabbrica così come la segnala Giovanni D’Agata, Italia dei Valori, fondatore dello “Sportello dei Diritti”.
«Secondo la Suprema Corte, il datore di lavoro è responsabile di omicidio colposo solo nel caso in cui si dimostri l’esposizione prolungata del lavoratore all’amianto quale causa del tumore che ne ha determinato la morte e che quindi non sia solo una delle possibili cause.
«La potenzialità del fattore non è quindi da sola sufficiente a far scattare la condanna; il giudice di merito ha invece l’obbligo di approfondire la circostanza se la protratta esposizione all’agente patogeno possa agevolare o meno lo sviluppo della malattia».
In ogni caso, secondo gli ermellini, risponde di omicidio colposo l’intero cda della società, laddove si accerti che non sono state poste in essere, per evitare l’evento dannoso, le misure di sicurezza più adeguate rispetto alle conoscenze dell’epoca.
La Cassazione chiede al giudice di merito di accertare se il processo che ha determinato la formazione del cancro sia cominciato per l’esposizione del lavoratore all’amianto e se all’interno della comunità scientifica sia sufficientemente radicata, e su solide basi, la convinzione che la prolungata esposizione all’agente patogeno renda la situazione irreversibile, così come di verificare gli indizi del processo accelerativo.
«Non vi è dubbio anche per il giudice di legittimità però che gli obblighi datoriali in particolare in merito alle misure di sicurezza sono fondamentali ed i membri del consiglio di amministrazione dell’azienda potranno essere condannati per il reato contestato se si dovesse accertare l’esistenza del nesso di causalità fra la violazione della normativa a tutela dei lavoratori e il decesso dell’operaio», evidenzia la nota diffusa da Giovanni D’Agata.
Il commento di Pesce
Una sentenza che secondo Bruno Pesce, coordinatore del Comitato Vertenza Amianto, non può che rendere ancora più chiare le responsabilità di chi ha realmente e concretamente retto le sorti dell’Eternit anche se - avverte - essendo una sentenza recente non c’è stato ancora il tempo per un confronto tecnico-legale approfondito.
«All’Eternit l’uso dell’amianto è stato una costante, in quanto veniva impiegato come materia prima, l’esposizione era continua e massiccia, non si trattava come in altre realtà di quantitativi modesti, ma di quintali, quando non tonnellate, di materiale».
Insomma - secondo Pesce - il dubbio che possano esserci altri fattori concomitanti può forse riguardare altre situazioni, ma non l’Eternit e in particolare lo stabilimento di Casale, che era il più grande d’Italia e d’Europa.
Una fabbrica vetusta - è emerso dalle testimonianze - che del resto la stessa Eternit diceva di voler abbandonare per realizzarne una nuova, progetto sempre annunciato, mai compiuto.
«Insomma questa sentenza credo che tolga ogni dubbio sulle responsabilità, perché all’Eternit, secondo quanto emerso finora non erano garantite neanche le misure più elementari. Per esempio - nelle pulizie - il fatto di evitare l’uso delle scope o che una serie di postazioni non erano soggette ad aspirazione, o che venivano frantumate tonnellate di scarti all’aperto...
«La stessa foto della molazza a ciclo chiuso prodotta dal consulente della difesa a mio modo di vedere è un boomerang: se esistevano quelle attrezzature perché non erano utilizzate a Casale? E i tagliasacchi? Perché venivano tagliati a mano dagli operai fino alla fine, come ricordano gli operai?».
Insomma l’Eternit rientra perfettamente nelle precisazioni della sentenza.
Solo vittime, niente colpevoli?
E - del resto - «se queste condizioni non c’erano a Casale vuol dire che non c’erano in nessun luogo...», aggiunge il coordinatore del Comitato Vertenza Amianto. E allora il capitolo delle morti per l’amianto si potrebbe chiuderlo ancora prima di aprirlo... Con tante, migliaia di vittime e senza nessun colpevole.