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Per "Si apre il sipario"
Maddalena Crippa al Municipale con "Un sogno a Istanbul"
Martedì 12 e mercoledì 13 marzo alle 21
Martedì 12 e mercoledì 13 marzo alle ore 21 il Teatro Municipale di Casale Monferrato ospita lo spettacolo “Un sogno a Istanbul” (biglietti in vendita su VivaTicket e al botteghino del teatro le sere dello spettacolo), di Alberto Bassetti, liberamente tratto dal libro “La Cotogna di Istanbul” di Paolo Rumiz, per la regia Alessio Pizzech, vede in scena Maddalena Crippa, Maximilian Nisi, oltre a Mario Incudine e Adriano Giraldi. “Un sogno a Istanbul” racconta di Max e Maša, e del loro amore.
Maximilian von Altenberg, ingegnere austriaco, viene mandato a Sarajevo per un sopralluogo nell’inverno del ’97. Un amico gli presenta la misteriosa Maša Dizdarević, «occhio tartaro e femori lunghi», austera e selvaggia, splendida e inaccessibile, vedova e divorziata, due figlie che vivono lontane da lei. Scatta qualcosa. Dal best seller di Rumiz, Alberto Bassetti trae un testo teatrale di grande forza e suggestione, «avvolgente come una storia narrata intorno al fuoco». Una ballata per tre uomini e una donna, in cui il ruolo centrale è quello femminile, interpretato da una grande del teatro italiano, Maddalena Crippa.
Si passa da un testo in versi a un testo teatrale. Cosa ci racconta di questo spettacolo?
Il libro di Rumiz da cui è tratta questa ballata è scritto in endecasillabi ed è un testo certamente ricco e variegato. Lo spettacolo ha la forma di una ballata, non è un musical né una commedia con musiche, una forma che mescola diversi generi di materiale poetico ed etico, di racconto e dialogo. In scena ci sono tre uomini e una donna. L’ultima parte narra la storia d’amore tra Masa, donna bosniaca, musulmana, e Maximilian Altenberg, uomo austriaco. La protagonista ha avuto altre due storie con altrettanti uomini, prima di questo grande amore. Mi piace interpretare questo personaggio, perché rappresenta una donna matura, una donna di un’altra cultura e femminilità, con tanta leggerezza e morbidezza tipiche dell’antico galateo di Sarajevo, ma con altrettanta potenza si rapporta con quest’uomo.
Che donna è Maša? Cosa le appartiene di più di questo personaggio?
L’interpretazione di questo personaggio mi appartiene molto, la ritengo una sfida. Mi piace fare cose nuove e diverse. Non voglio viaggiare su un unico binario e come attrice sono poco definibile: prima la tragedia, poi le canzonette. E quando Alessio Pizzech mi propose questo ruolo qualche anno prima del Covid, rimasi affascinata da questo personaggio e l’ho considerato un modo per riappacificarmi come donna. In tanti mi definiscono un’attrice “tosta”, ma devo ammettere che questo ruolo mi ha fatto crescere ulteriormente, in una femminilità affascinante. Quello che noi donne europee, con il rincorrere il modello maschile, abbiamo perso: tutto lo charme che ha l’universo femminile. In scena indosso una parrucca rossa, e ogni giorno mi sottopongo a quasi due ore di trucco per indossare una calotta che mi fa diventare completamente calva, amo questa chioma, ma allo stesso tempo compare il tema della malattia, che non fa scemare il rapporto tra i due protagonisti, anzi, rafforza l’unione tra uomo e donna. Uno spettacolo catartico ed emozionante, si procede per un’ora e mezza, senza far volare una mosca.
Questo racconto contiene un viaggio in luoghi magici, una sorta di rito, scoperta e resurrezione…
Alla fine l’amore va oltre la malattia e la guerra. L’incontro di Maša con Max è destino, accompagnato dalla canzone antica della cotogna d’oro, che lei gli canta, che lo incanta e che si porta nel cuore anche quando Maša non c’è, prima di ritrovarla malata. Il loro è un viaggio struggente e comune, una gialla cotogna cercata per auspicarsi il rinnovo, la vita che torna allo splendore. Ma è il bacio dell’addio, il cercare la propria fine per ritrovare lei e un gesto d’addio, a Dio, ad Allah, le ceneri onorate al vento.
La musica ha un ruolo centrale nella scena?
Mario Incudine ha scritto le musiche e in scena suona fisarmonica e chitarra, il flauto turco, la mandola. L’antica canzone bosniaca, che canto in lingua originale, tratta il tema dell’amore e della morte, racconta la storia di quest’uomo che va alla ricerca della mela cotogna, ma dopo tre anni di ricerca la sua amata muore. La ballata è un risultato del lavoro d’ensemble che migliora replica dopo replica.
Prima di “Un sogno a Istanbul”, “Il compleanno” di Harold Pinter, poi…
A maggio debutteremo con la stessa compagnia con “Crisi di nervi” di Cechov, naturalmente prima devo concludere “Un sogno a Istanbul”. Con Pinter ho scoperto un autore grandissimo ed è stato un vero piacere per me lavorare con Peter Stein, un grande regista al servizio dell’autore. Abbiamo avuto un’attenzione particolare per la traduzione del testo, Pinter ha battute molto corte e Peter, da conoscitore straordinario delle lingue, mi ha aiutato nell’analisi del materiale. Ha reso trasparente il poeta all’uditorio. Un qualcosa che oggi nessuno ti insegna. Per me il teatro è un lavoro di insieme, non amo i monologhi. I miei colleghi sono stati fondamentali in questo, nessuno deve emergere, si gioca la partita nel senso più alto.
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