E' ripartito il processo Eternit: «Anche in Italia decideva Schmidheiny»
Per l’accusa da cui muove il processo è uno snodo fondamentale. Dimostrare il collegamento fra gli imputati, l’anziano barone belga Louis de Cartier e il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny, e il disastro della polvere d’amianto. E’ il tema-chiave intorno al quale ha ruotato la ventunesima udienza del maxiprocesso Eternit, la prima dopo la pausa estiva, celebratasi al Tribunale di Torino. Presente in aula, ancora una volta, un folto gruppo di casalesi, partiti come al solito all’alba da piazza Castello con due pullman.
Esaurita a luglio la serie dei testi dell’accusa e delle parti civili, ieri si è aperto il capitolo dei consulenti.
Il Tribunale ha ascoltato il commercialista torinese Paolo Rivella, perito che - su incarico del pubblico ministero Raffaele Guariniello - ha ricostruito, con la collaborazione di Elena Pizzotti, le vicende societarie della Eternit italiana, a partire addirittura dalla fondazione.
Un lavoro complesso, che è scaturito in una relazione che ha portato via tutte le cinque ore dell’udienza, e che proseguirà lunedì prossimo. Lavoro condotto attraverso una paziente indagine che ha preso in considerazione lettere e documenti dalla quale sostanzialmente emerge soprattutto per il periodo svizzero una partecipazione alle vicende di Eternit Italia non solo finanziaria, perché - è stato detto - fra il 1972 e il 1986 (data del fallimento) la scelta dei dirigenti, dei tecnici, del marketing, delle materie prime dipendevano dalla casa madre svizzera.
Il perito ha citato lettere, verbali, rapporti mensili dall’Italia alla Svizzera, ha parlato anche di contatti ad alto livello con il sindacato italiano dalla casa madre svizzera, ha spiegato il fatto che Schmidheiny non abbia mai fatto parte del Cda italiano con la considerazione che non ce n’era bisogno, in quanto l’Eternit italiana veniva considerata niente più che una filiale. A partire da un incontro del 1972 tenutosi a Bruxelles che - dopo una ricapitalizzazione - sanciva il passaggio dalla gestione belga a quella svizzera.
La difesa: solo deduzioni
La difesa ha ribattuto argomentando a più riprese che la ricostruzione si poggerrebbe in molti punti su deduzioni del perito, piuttosto che su fatti accertati. Il consulente peraltro ha citato lettere, documenti, ha parlato anche dello studio sulle ricadute d’immagine che dalla Svizzera è stato disposto sulle vicende italiane di Eternit, fin agli Anni Ottanta.
Pondrano: fatti documentati
E, a nome del Comitato Vertenza Amianto, il sindacalista casalese Nicola Pondrano parla di un passaggio certamente significativo: «La deposizione del dottor Rivella è stata molto articolata e la giudico sicuramente positiva, perché ne viene fuori in modo inequivocabile - checché provi a dirne la difesa - che Schmidheiny non solo era l’azionista di riferimento dell’Eternit italiana, ma ne determinava le politiche ambientali e industriali: direttive tecniche e investimenti, tutto è stato ribadito. Sono emerse documentazioni probanti di comunicazioni intercorse tra l’amministratore delegato Giannitrapani e Schmidheiny».
Sul periodo precedente, il perito ha ricostruito l’esistenza di una sorta di cartello europeo prima (e mondiale poi, dal 1930) fra le aziende che avevano acquistato il brevetto: in Belgio quella degli Emsens (poi De Cartier), in Svizzera quella degli Schmidheiny. Cartello che di fatto coordinava tutte le attività del settore. In Italia, dal 1952 il fondatore Adolfo Mazza, che prima deteneva il 51% delle quote, aveva ceduto la maggioranza ai belgi, passati a loro volta in minoranza dopo la crisi di inizio Anni Settanta che venne affrontata con l’iniezione di nuovi capitali da parte della famiglia Schmidheiny. «Ma è emerso anche - sottolinea Pondrano - che de Cartier ha avuto un ruolo come azionista di minoranza fino al 1975, mentre pensavamo che fosse uscito già nel 1972».