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Viaggio d'autore a... San Domenico, un cantiere da tre milioni di euro

Martedì è stato presentato il restauro di una parte dei seicenteschi armadi della sacrestia di San Domenico, pannelli in legno finemente scolpito. Erano presenti il parroco mons. Antonio Gennaro, don Renato Dalla Costa, responsabile dei beni culturali diocesani, l’arch. Raffaella Rolfo responsabile dei restauri della chiesa e l’arch. Carlo Zanella, torinese a cui erano stati affidati i lavori. Carlo Zanella ha nel curriculum lunghi restauri a Venaria Reale e a Lucedio sempre seguito da Giorgio Careddu della Soprintendenza. Zanella ci spiega la difficoltà dell’intervento casalese: l’armadio stava cadendo, la struttura si era staccata dal muro; smontato, il legno è stato trovato consumato dagli insetti xilofagi (“abbiamo impiegato 50 litri di prodotti anti-tarme”), poi la pulizia e il non facile rimontaggio. Il materiale originale è stato integrato da resine. Due importanti ritrovamenti: la data dell’esecuzione, segnata in alto sopra la bussola: 1694 e il cassone posteriore eseguito con vecchi stalli lignei dell’antico coro dei monaci: “un legno di cento anni anteriore a quello dell’armadio”. Campionature hanno rilevato che sotto l’armadione si trovava uno strato di carbone anti umidità, un pavimento in coccio pesto e uno di cotto variegato sotto a quello attuale di inizio Novecento. Legni utilizzati: noce, pioppo selvatico (essenza ora scomparsa), rovere. Ignoto l’autore. Questo intervento, costato 21 mila euro a totale carico della parrocchia, riguarda quasi la metà del coro; è urgente, aggiungiamo, il completamento dei lavori (30 mila euro) per evitare una recrudescenza insettivora. Certo che San Domenico rimane un grande cantiere: ultimata la facciata, il chiostro, i paliotti (ne manca solo uno), i dipinti (e son volati quasi tre milioni di euro) bisogna ripassare i tetti, l’illuminazione, tinteggiare l’interno, studiare la staticità del grande campanile. Il parroco spera sempre “nell’aiuto di tante persone, dei cultori di arte e storia”. (l.a.) -Esiste un conto bancario dedicato pro restauri San Domenico; per informazioni telefono 3387845120, 0142452747. Armadioni coi legni del più antico coro La sacrestia della chiesa di San Domenico è formata da due vani in successione separati da colonne in stile corinzio. Il primo ambiente con volta a crociera appartiene alla sacrestia fatta costruire nel 1494, contemporaneamente al complesso conventuale, dai fratelli Facino e Franco Bazzani di antica famiglia casalese. Le sue pareti sono coperte da grandi mobili da sacrestia forse realizzati nel corso dei lavori del 1693, ma con pannelli ad intarsio e materiale ligneo più antico. Unite da una elegante porta di ingresso con bussola, le credenze sono appoggiate su una bassa predella e suddivise orizzontalmente in due registri: quello superiore, arretrato rispetto al basamento, con alti armadi a doppia anta e pannelli intagliati; quello inferiore con una fascia di piccoli scomparti, bassi cassetti e un piano d’appoggio continuo. L’imponente e pregevole lavoro è opera di un ignoto ed abile artigiano che ha intagliato le volute floreali con volti di cherubini delle lesene divisorie e le eleganti cimase traforate nella parte alte dei guardaroba destinati a custodire oggetti di culto, paramenti dell’altare e reliquiari. Il secondo spazio, coperto da una volta a botte e arredato con mobili semplici che provengono dalla demolita chiesa di Santa Maria di Piazza, probabilmente venne interessato dall’ampliamento progettato da Francesco Ottavio Magnocavalli, che negli anni tra il 1748 e il 1753 realizzò un vasto intervento di ristrutturazione della chiesa affidata ai padri domenicani. I lavori di rinnovamento del presbiterio comportarono la demolizione della cappella marchionale dedicata a San Giovanni Battista, la perdita degli affreschi spanzottiani e dell’antico coro ligneo intarsiato, sostituito da quello settecentesco, come ricorda il manoscritto del contemporaneo padre Pio Guglielmo Cavalli, priore del convento dal 1748 al 1752. “Fu dalla liberalità di Guglielmo I fabbricato il coro di noce del 1481… e tale coro era uno dei più illustri che si vedeva nella nostra città ed era composto di sedie superiori N. 32 e di inferiori N. 20, tutto lavorato a rimesse rappresentando diverse immagini, fiori e cose simili”. Un antico e prezioso esempio di arte del legno, che forse non sarebbe sopravvissuto a causa del pessimo stato di conservazione denunciato dallo stesso priore: “E perché il coro di noce non solo per l’antichità era logoro, ma anche rovinato dalla soldatesca [nel 1745 la chiesa era stata trasformata in ospedale per le truppe, ndr.], s’è fatto tutto intiero parimenti di noce nuovo con sedie N. 27 superiori e N. 18 inferiori. L’artefice di questo [e anche del bellissimo pulpito, ndr.] è stato un nostro religioso converso F. Giovanni Battista Gasparini Veneziano, figlio del convento d’Udine, e con tale perfezione è stato lavorato, che ha attirato l’applauso universale non tanto della città, quanto di qualunque forestiero è concorso e concorre a rimirare una sì bella opera”.

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