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Eternit: rilevazioni truccate per risparmiare sul «sovrappremio asbestosi» da versare all’INAIL

La «chiave di lettura» delle rilevazioni del SIL, il servizio interno di Eternit che faceva le rilevazioni sui livelli di inquinamento negli stabilimenti? Va ricercata nel pagamento del «sovrappremio asbestosi», perché presentando valori bassi la multinazionale dell’amianto avrebbe contenuto in modo significativo l’esborso, passando a versare da 216mila euro nel 1976 (anno di costituzione del SIL) ai circa 42mila del 1981. È la tesi conclusiva del dottor Stefano Silvestri, dell’Epidemiologia Ambientale Occupazionale (Istituto per lo Studio e la prevenzione Oncologica Asl di Firenze) sentito ieri al processo Eternit di Torino come consulente della Procura di Torino. Una consulenza che gli avvocati della difesa degli imputati lo svizzero Stephan Schmidheiny e il barone belga Jean Louis Marie Ghislain de Cartier de la Marchienne accusati dalla Procura di Torino per disastro doloso permanente e inosservanza delle misure di sicurezza sui luoghi di lavoro - in particolare quelli dello svizzero - hanno cercato di stoppare sul nascere sostenendo che trattava aspetti già affrontati, ma il Tribunale ha ritenuto che il perito dovesse continuare la propria illustrazione mirata a dimostrare la pericolosità dell’amianto in relazione alle lavorazioni oggetto del processo. La relazione di Silvestri ha impegnato la seconda parte della trentesina udienza, dopo che Barry Castleman, l’esperto americano è stato sentito per il controesame (vedi servizio a fianco). Il manuale del 1898 Silvestri ha svolto un lunga relazione, prendendo le mosse da un manuale di igiene industriale edito nel 1898 e pubblicato in Italia in traduzione da Vallardi dove si raccomandavano - per esempio - cautele relativamente alle polveri inalabili. Non solo, si parlava «espressamente dell’amianto come polvere che può avere effetti dannosi; di non mischiare abiti da lavoro con quelli utilizzati per tornare a casa», ha aggiunto il consulente, perché già era noto che anche i familiari potevano essere danneggiati. E già si sottolineava che occorreva intervenire evitando la diffusione delle polveri piuttosto che proteggendo i singoli lavoratori, in quanto c’era la consapevolezza che l’uso prolungato di mascherine non era proponibile. «E già 110 anni fa si sottolineava che le mascherine più efficienti erano quelle con il bordo in caucciù che aderivano al volto perché la protezione fosse efficiente...». Un altro testo di igiene industriale del 1908 aggiunge uno schema ben progettato di aspirazione dell’aria, con particolare attenzione all’efficienza e ai costi «perché si rendono conto che gli investimenti per la tutela della salute non rendono, economicamente... Proposte valide ancora oggi». Silvestri ha poi mostrato una foto di una molazza degli Anni Trenta dotata di un carter protettivo, con funzione antifortunista ma anche di contenimento delle polveri. E nel 1910 un altro autore disegna uno schema in legno (simile a una grossa botte) sempre per la protezione della molazza e proporne un sistema di aspirazione (simile a un aspirapolvere) per la pulizia degli ambienti. Si parla anche della esigenza di proteggere l’ambiente esterno attraverso la filtrazione «prima di immettere aria nell’ambiente esterno». I monitoraggi Silvestri ha poi affrontato la parte più interessante, quella relativa ai monitoraggi. E qui per esempio - contrariamente a quanto affermato dagli altri periti, soprattutto della difesa - è emerso che sarebbe possibilissimo fare un campionamento per l’intero turno di lavoro e che uno dei periti nominati dal tribunale, Occella, che ha svolto un lavoro per certi versi ben documentato - ha detto Silvestri - ha fondato tutti i campionamenti su un presupposto che il perito ha giudicato molto discutibile: quello di portare lui stesso il campionatore, con il risultato che non ci sono veri e proprio rilevamenti relativi alle postazioni di lavoro, ma solo quelli realizzati da una persona che «passava nei vari reparti». Campionamenti a confronto Silvestri ha preso in esame tutti i campionamenti svolti in Eternit su cui esiste documentazione: quelli del SIL (il Servizio igiene del lavoro istituito dalla stessa Eternit nel 1976) così come quelli dell’Inail e dell’Università di Pavia. Quelli dell’università di Pavia sono molto bassi (valori che si attestano circa sul 50% di quelli del SIL) mentre quelli della perizia Occella sono in linea con quelli del servizio interno dell’Eternit. In particolare per quelli relativi al SIL Silvestri osserva che la strumentazione è di buon livello, che l’andamento della polverosità è congruente rispetto alle fasi di lavorazione (i reparti più polverosi hanno i valori più elevati, almeno a Casale) e che i dati tendono a scemare via via, dando atto di un progressivo miglioramento. Ma oltre al fatto di essere sovrapponibile a quelli di Occella (che utilizzava il metodo di campionamento che si è detto) quelli del SIL sono carenti da molti punti di vista. Carenze dei campionamenti «Non vengono descritte le operazioni svolte al momento del rilevamento; non si indica numero di addetti e se utilizzano sistemi di protezione individuale; non si danno indicazioni su microclima e apertura chiusura di porte e finestre; non ci sono dati su volumi di aria e durata dei tempi di campionamento; l’accuratezza non verificabile perché non ci sono esami comparabili di altri laboratori; nessun monitoraggio effettuato in spogliatoi, mensa e durante operazioni di manutenzione; nessuna misurazione per «incidenti» come la rottura di sacchi o intasamenti di filtri, o durante la frantumazione degli scarti con la pala meccanica, né durante le pulizie o durante il lavoro notturno quando sicuramente c’era meno vigilanza». Il perito Silvestri ha dunque espresso forti perplessità definendo i dati «scarsamente utilizzabili per un confronto per valutare la pericolosità», ed evidenziando che i valori sono «generalmente bassi rispetto a quelli riportati in letteratura; forse perché alcune situazioni, quelle più critiche che avrebbero portato in alto i valori, non sono mai stati monitorate»? Gli altri punti deboli Carenze poi dal punto di vista della istruzione del personale (Eternit ha sempre negato e occultato il rischio, lo ha ribadito anche Castleman nella stessa udienza di ieri). «Non c’è documentazione sulla formazione dei lavoratori. Quanto si è speso per una lavanderia industriale per la decontaminazione degli indumenti di lavoro? «Gli armadietti a doppio scomparto sono prescritti dall’Asl negli anni ‘80 a Rubiera». Tutte domande a cui gli ex lavoratori hanno le risposte be chiare in mente: non c’era formazione sul rischio, non c’era lavanderia e le tute le lavavano le mogli che sono state in molti casi anche loro vittime dell’Eternit, e gli armadietti a doppio scomparto, come le docce, erano di fatto assenti e estremamente carenti. «Non ci sono documenti su una organizzazione del lavoro idonea a ridurre l’esposizione dei lavoratori», ha continuato il perito. «Per esempio Enel produce nel 1977 documento sulle procedure da seguire per le coibentazioni. E il Sil già operava... «L’unico documento relativo alla formazione invita espressamente a dissociarsi dalla posizioni del dottor Selikoff». Valori bassi e... asbestosi La conclusione è che l’inquinamento era molto più elevato di quanto non rappresentassero i dati, anche perché con quel quadro ambientale non si sarebbero sviluppate tutte le patologie - soprattutto asbestosi, malattie da accumulo e tumori al polmone - che poi sono emerse, ha sottolineato il perito. «A Casale e Bagnoli c’è stata una esposizione importante perdurata per tutto il tempo di produzione», ha detto Silvestri, che ha parlato anche di «impiego scellerato dell’amianto blu per la fabbricazione delle condotte». Ma perché Eternit presentava dati così bassi? La «chiave» Silvestri l’ha fornita in chiusura: «Nel 1975 la legge 780 modifica i criteri di conteggio del sovrappremio che si riflette in un aumento considerevole ma gli addetti ai lavori sapevano che l’Inail avrebbe preteso il pagamento del premio solo se la concentrazione superava certi limiti». E dimostrando che sta sotto ai limiti, Eternit passa dai 216mila euro, circa, del 1976 ai 42mila circa del 1981. Ministro pensaci tu... E ancora nel 1978 la proposta ENPI di normare i limiti di esposizione per l’amianto e altre sostanze trova la ferma ostilità dei produttori. E in una riunione avvenuta nel 1978 a Roma nella sede di Assocemento i partecipanti - tra cui Emilio Costa dell’Eternit - esprimono preoccupazione per l’iniziativa di ENPI e chiedono a Confindustria di intervenire sulle alte sfere dell’Enpi stesso, su su fino al ministero, per ritardare la normativa sui limiti.

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Monica Quirino

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