L'esperto del ministro: «Sulla ricerca niente da dire». Stentano a decollare gli studi scientifici in ambito pubblico
di Massimiliano Francia
Chi si aspettava di sentire che la ricerca è partita (non arrivata), che ci sono idee sulla strada (scientifica, clinica) da percorrere per giungere in tempi - se non brevi o brevissimi almeno medi - a terapie più efficaci se n’è tornato a casa - mercoledì - certamente con un po’ più tristezza nel cuore.
Il messaggio venuto dagli esperti invitati all’assemblea sugli scenari della ricerca scientifica dopo Venezia e convocata mercoledì al Salone Tartara da AFEVA e sindacati e a cui ha preso parte tanta gente (ma anche sindaci, amministratori e medici) è più o meno quello già sentito lo scorso settembre in occasione della presentazione del Quaderno del Ministero della Salute sull’amianto: le decadi (allora erano cinque!) che dovranno trascorrere prima di avere risultati concreti non sono state elencate, ma di speranze per avere terapie più efficaci ne sono state lasciate poche.
Il relatore - professor Giorgio Scagliotti, responsabile dell’Oncologia dell’Università piemontese - ha detto che i «ricercatori seri» fanno così, che «quando non hanno niente da dire stanno zitti», e lo ha fatto (a scanso di equivoci ) rispondendo alla domanda di Bruno Pesce, coordinatore del Comitato Vertenza Amianto, che gli ha chiesto esplicitamente se era possibile ipotizzare che «in tempi più ravvicinati possibile», partissero nuovi protocolli di cura.
«La soluzione dietro l’angolo non c’è. I fondi allocati dal ministero per la costituzione della rete» - ha affermato Scagliotti - saranno utili affinché gli addetti possano «contribuire ad aumentare il livello di conoscenza e progettare studi».
E nel raccomandare prudenza ha invitato a «non lanciare informazioni preliminari come se fossero verità...». Sacrosanto!
Insomma la risposta alla domanda di Pesce pare sia un «no»: niente trial a breve termine a Casale e in Piemonte.
Così la legittima curiosità sul fatto che si faccia o non si faccia qualcosa (non - ovviamente - se è stata trovata la cura risolutiva... Chi meglio della nostra comunità può sapere che non è così?), quale tipo di studi si stiano conducendo (se ne stanno conducendo) è rimasta - per ora - senza risposta.
Il «modello organizzativo»
Scagliotti ha infatti tenuto a parlare di «un modello organizzativo e non di un nuovo trattamento o di nuove tecniche diagnostiche», cioè della struttura alla base di quella rete per la ricerca a cui si sta lavorando con lo scopo anche e proprio di diffondere le conoscenze. Ha parlato dell’esigenza di garantire omogeneità di trattamenti e «l’interazione fra i partecipanti» (per questo l’ASL e l’ASO di Alessandria hanno costituito - già da alcuni anni - il GIC, Gruppo Interdisciplinare Cure) per evitare la «migrazione dei pazienti».
Tutte cose preziosissime e condivisibili che riguardano le prestazioni e l’organizzazione sanitaria, la qualità dei servizi erogati a pazienti che hanno diritto alla massima attenzione e alle cure migliori, e per i quali il rischio di essere trattati in modo - diciamo così - «imperfetto» è più elevato che per altri, a causa del fatto che si tratta di patologie rare, e quindi - fatalmente - poco conosciute anche ai medici.
Cose - verrebbe da dire - che dovrebbero essere ordinarie e non hanno molto che fare con la ricerca, che deve portare qualche concreto progresso nell’efficacia delle cure.
Un modello organizzativo che costa «denari» - ha specificato Scagliotti e uno dei compiti delle rete (che gode di un primo stanziamento ministeriale) è anche cercare fondi. A tale scopo Scagliotti ha invitato la rete (creatasi nei lunghi anni di lotta) delle associazioni che si battono contro l’amianto a chiedere impegno alle Regioni per favorire questo processo finanziando progetti specifici.
Il 14 gennaio - ha detto - è stato presentato un progetto alla Regione Piemonte sul mesotelioma pleurico. Che tipo di progetto e con quali finalità? Purtroppo non c’è stato il tempo di parlarne.
Ma questo «modello organizzativo» - viene spontaneo chiedersi - sarà davvero la strada giusta? La risposta - è evidente - la darà solo il tempo...
Certo il timore di trovarsi a un italico molosso burocratico, che si stia costruendo - cioè - un Titanic e che la «carpenteria» finisca per assorbire tutte le risorse, è difficile non averlo.
Resteranno i soldi per «fare il pieno» e lasciare (prima o poi...) il porto? Speriamo...
E speriamo anche che nel frattempo continui a salpare, per conto di qualche intraprendente e coraggioso armatore, anche qualche caravella.
E che un avventuroso e avveduto capitano e il suo equipaggio scoprano... l’America.