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  • 29 novembre 2020
  • Casale Monferrato

Intervista

Un monferrino a Las Vegas: un piano, i casinò e la crisi degli show

Mirko Barbesino negli Usa da cinque anni

Las Vegas: basterebbe questo per dirvi che la puntata di quaranta in quarantena di oggi è speciale. E' qui che vive e lavora Mirko Barbesino: casalese e musicista. Ogni sera si siede al piano di uno di quei casinò che noi al massimo sogniamo di rapinare insieme agli attori di Ocean's Eleven.

E' una mattina di sole nel Nevada quando Mirko risponde alle mie domande, una notte di nebbia e coprifuoco a Casale. Spegnamo la TV e ascoltiamo la sua voce per due ore narrarci una storia incredibile: la sua. Potremmo portarla alla Warner o alla Universal e farci i soldi, invece la restituiamo alla sua città.

«Vivo in America da 5 anni. Non vedo Casale da quando mio padre ci ha lasciati a causa del mesotelioma, due anni fa. In Italia però il mio lavoro principale non era il musicista, ma il tecnico del suono per cinema e tv. Dopo gli studi a Milano, ho girato molte città e molti set, per 3 anni mi sono occupato di “Vivere” e per 9 di “Centovetrine”.

Ma in Italia le prospettive non erano esaltanti: dopo 17 anni di esperienza mi sono accorto che il professionismo non viene riconosciuto né a livello di contratti, né di pagamenti e con la musica è persino peggio. Il viaggio a Los Angeles, doveva essere solo una vacanza in un momento in cui la produzione di Centovetrine era ferma. Grazie a mia sorella Laura all'età di 5 anni mi sono avvicinato al pianoforte e sono cresciuto suonando Jerry Lee Lewis, Fats Domino e il blues e poi volevo vedere Hollywood eppure appena atterrato ho avuto la sensazione di avere “un polmone in più”, respiravo, mi sentivo libero. La California ha una grande apertura mentale. Da buon piemontese mi sembrava strano che qualcuno volesse attaccare discorso sedendosi vicino a me al bar, ma qui è normale e porta a delle connessioni incredibili.

A Santa Barbara sono entrato in un locale e c'era un magnifico Steinway, non ho resistito: ho chiesto di provarlo. Il posto ha cominciato a riempirsi e il proprietario ha messo una boccia di vetro sul piano chiedendomi di continuare a suonare. Dopo un'ora tantissima gente voleva i miei contatti o i miei CD. Nella boccia c'erano 230 dollari, in Italia avrei fatto fatica a racimolarli con la mia band in una intera serata, ma in USA non importa se sei famoso o da dove vieni, conta cosa fai. Quella sera ho capito che avrei potuto vivere qui.

Da Los Angeles mi sono spostato a suonare per visitatori delle Wineries di Temecula nella Wine County, la provincia del vino. Da Monferrino mi sentivo a casa tra quelle colline con la terra appena più rossa della nostra. Il passo successivo è stato Las Vegas: una città tosta, chi viene qui vuole portare all'estremo sesso, droga e gioco e attorno alla strip dei casinò c'è una città immensa che vive di questi business, però mi affascinava la quantità di palchi su cui suonare o lavorare come fonico. Un mercato competitivo in cui sono riuscito a farmi conoscere velocemente fino a diventare pianista residente di tre casinò tra i più importanti, cosa che tanti musicisti locali non sono mai riusciti a fare. Poi all'apice di questo risultato è arrivato il Mr Covid.

Qui inizialmente il virus è stato sottovalutato: mia sorella è volontaria nella Crocerossa da 16 anni e mi ha avvertito subito che sarebbe stata una cosa seria. Mi sono procurato una mascherina con i filtri e guanti, ma alle famiglie che e incontravo facendo la spesa facevo l'effetto di un appestato. C'è voluto il lockdown per fargli capire la gravità della situazione e hanno cominciato a fare le code nelle armerie, come si aspettassero l'apocalisse zombie. Poi l'emergenza si è sovrapposta a un momento di grande tensione sociale e alle elezioni e quelle armi sono diventate molto più “calde”.

Anche a Las Vegas il lockdown è stata una tragedia, basti pensare che Le Cirque du Soleil aveva 6 spettacoli differenti in altrettanti casinò. Sono bastate due settimane perchè dichiarasse bancarotta e lasciasse a casa migliaia di persone. Anche per me non c'è stato modo di lavorare per tre mesi, ma non volevo spostarmi: qui ho la mia casa e il mio studio. Ho passato il lockdown a comporre e a preparare gli spettacoli per quando sarei tornato.

L'amico e cantautore casalese Andrea Benzi mi ha convinto a lavorare sul mio primo album che dovrebbe uscire per Natale e ho anche potuto dedicare a Casale, in segno di solidarietà, una mia versione di “Nel blu dipinto di blu” (la trovate su www.mirkobarbesino.com/pianist). Per fortuna il 5 giugno il bar di un casinò dove suonavo ha riaperto. Certo, meno posti a sedere, meno mance e devo cantare con la mascherina, in più e adesso è tornata la paura, ma spero che Las Vegas non chiuda di nuovo, altrimenti un’intera città resterebbe disoccupata con il fallire dei casinò»

Nella notte di Casale Mirko continua a parlarci degli USA, del razzismo, delle “luci e ombre” di Las Vegas, del suo lavoro. Lo ascoltiamo sapendo già che nemmeno un'edizione straordinaria potrebbe contenere tutto. Ma gli dobbiamo un ultimo ricordo della sua Casale. «Essere andato via presto ha avuto un prezzo: la maggior parte della mia vita l'ho passata guardando le foto della mia città o cercando di recuperare una scatola di Krumiri Rossi, cosa che è diventata difficile con le spedizioni bloccate dal Covid. Quando me l'ha portati un amico è stata una carezza al cuore. Lì ci sono i miei amici e la mia famiglia. Chiamo due volte al giorno e la differenza di fuso orario fa sì che ogni sera dia a mia madre il buongiorno e ogni mattina la buonanotte. Sono stato fortunato ad avere avuto genitori che hanno sempre appoggiato le mie scelte e ancora oggi in queste giornate difficili mia mamma e mia sorella sono le mie prime fans. Non c'è sera in cui non dedichi la mia musica a loro e mio padre che, sono sicuro, guarda Las Vegas da lassù».


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