I consulenti del belga: «Per l'asbestosi 100% di diagnosi incerte»
di Massimiliano Francia
«Per l’asbestosi l’incertezza della diagnosi investe il 100% dei casi».
Lo hanno affermato oggi in aula i consulenti di Louis de Cartier, che con lo svizzero Stephan Schmidheiny è imputato nel Processo Eternit - giunto ieri alla 39ª udienza - per omissione dolosa di norme antinfortunistiche e disastro doloso permanente.
Marcello Canale, professore emerito di Medicina legale, già direttore del dipartimento di medicina legale, Medicina del lavoro, Psicologia e Criminologia dell’università di Genova e Gianpaolo Ivaldi responsabile della Pneumologia interventistica dell’ospedale Villa Sassi di Genova, hanno svolto ieri la propria relazione a cui aveva collaborato anche Giulio Alcozer, primario emerito di Pneumologia del San Martino di Genova, recentemente deceduto.
Anche loro come già i consulenti di Schmidheiny sono tornati a evidenziare la diversità delle diagnosi per differenti finalità, assicurative e medico-legali; anche loro hanno messo in evidenza la «sinergia tra amianto e fumo»; anche loro hanno detto che non bastano i certificati di morte, le diagnosi dell’INAIL perché, per farla breve, non erano fondate sugli esami immunoistochimici, gli unici - sono tornati a ripetere - che possono portare a diagnosi certe.
Peccato che questo tipo di accertamenti siano stati introdotti tra la fine degli anni Ottanta e metà anni Novanta e il «regno» belga si fermi al 1975, quando subentrano gli svizzeri. Sfugge - insomma - la logica con cui è stato sollevato l’argomento.
I certificati di morte
Una relazione al termine della quale il tribunale ha chiesto chiarimenti soprattutto relativamente ai certificati di morte
definiti «inattendibili» dai consulenti «perché chi redige il certificato non dispone di dati precisi per una diagnosi circostanziata...».
Insomma i certificati di morte in pratica non servirebbero a niente - ha chiesto il presidente del tribunale Giuseppe Casalbore - quindi l’ente che ne richiede la compilazione «vuole sapere la causa vera o vuol essere ingannato»?
«Il certificato è un documento ufficiale ma il medico non sa la vera causa di morte...», hanno risposto i consulenti.
«Quindi non sa e la attesta... Lei attestava il falso»?
«No».
«Ma allora - ha incalzato il giudice - quando c’è un certificato di morte possiamo dire che quella patologia non sia la causa di morte?»
«No, non lo possiamo dire...».
Ma secondo il consulente il medico che ha vocazione a svolgere una professione utile alla cura dei pazienti ama poco la compilazione di carte e moduli e quindi finisce per scrivere in modo non documentato o generico (quando non per sentito dire) dal medico curante e forse anche dai parenti.
«Sbaglierò, ma parto dal presupposto che un medico è uno specialista; non posso prevedere che attesti il falso o perché è superficiale o per cortesia...», ha detto il presidente del Tribunale sottolineando che in quel caso è richiesta proprio e specificamente la professionalità del sanitario in quanto solo lui può valutare cosa sia avvenuto e perché sia sopraggiunta la morte.
«Bibliografia internazionale»
Una questione su cui ha insistito anche l’avvocato Davide Petrini, in aula per la tutela delle vittime che ha chiesto se contestando le morti per asbestosi si fosse tenuto conto del grado di gravità della patologia e se fossero in grado di quantificare i casi in cui si era a fronte di una percentuale elevata che giustificava - appunto - la morte per asbestosi.
Risposta negativa da parte dei consulenti che hanno annaspato un po’ cercando di portare un unico caso a titolo di esempio.
Una impostazione non accolta dal Tribunale che ha chiesto conto - sia pur senza entrare nei casi singoli - se fosse stata fatta una valutazione concreta e se fossero in grado di fare stime.
Nessun dato numerico è stato avanzato dai consulenti che hanno anticipato che l’esame è ancora in corso e che consegneranno una relazione in merito, limitandosi a dire che era stata «studiata la bibliografia internazionale».
Contestazioni ai consulenti anche sulla questione Inail la cui finalità sarebbe «assicurativa - hanno detto - per cercare di allargare la copertura assicurativa a soggetti che essendo stati esposti possono avere contratto patologie asbesto correlate».
E qui l’avvocato Nutini dell’INAIL ha ottenuto dagli stessi consulenti l’ammissione che in un certo numero di casi le diagnosi erano fondate su esami effettuati presso «enti di ricerca o istituti di medicina del lavoro».
E anche il Tribunale ha espresso ironicamente qualche perplessità : «L’Inail a quanto pare è l’unico istituto assicuratore che paga anche quando non deve....».
Nella foto i consulenti del belga de Cartier ieri in aula al Processo Eternit