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LA RIFLESSIONE Come lo svizzero vorrebbe smarcarsi scaricando il barile sui nostri Comuni

L’obiettivo di Stephan Schmidheiny - imputato del processo Eternit - è con tutta evidenza quello di derubricare la permanenza del reato, che è l’insidia peggiore (dal suo punto di vista), in quanto gli impedisce di mirare all’impunità (anche se ci fossero i presupposti per una condanna) attraverso il «salvagente» della prescrizione. Tutto ciò - evidentemente - in vista dei successivi gradi di giudizio. I Comuni devono pertanto essere consapevoli che - di fatto - firmando la transazione l’effetto pratico è quello di «vendere» a Schmidheiny l’impunità anche dal punto di vista penale. Senza questo «scambio» - infatti - per Stephan Schmidheiny la strada è tutta in salita, perché è incontestabile che l’Eternit era a Casale, perché le testimonianze sulla gestione criminale dell’attività sono copiose, le vittime sono in numero impressionante e il collegamento Stephan Schmidheiny-Eternit è di fatto innegabile: è stato lo stesso fratello Thomas a dire in aula che era proprio Stephan il capo dell’Eternit e di tutto il settore amianto. Insomma una posizione processuale veramente difficile. Lo svizzero non può dettare le condizioni Quindi cominciamo con gli aspetti minori, di «contorno»: lo svizzero non si trova certamente nella condizione di dettare condizioni, del tipo «Prendere o lasciare». Dal canto suo il Comune di Casale ha deciso all’atto della propria costituzione di parte civile di presentare richiesta di risarcimento solamente per le spese «vive», rimandando a una fase successiva quella per i danni non materiali che però sono estremamente consistenti. Si pensi solo al danno d’immagine, al turismo, alla frustrazione del ruolo istituzionale di alcune di figure come quella del sindaco (pro tempore, quindi tutti quelli che si sono succeduti) che rappresenta la massima autorità in campo sanitario. Una trattativa degna di questo nome non può trascurare nessuna voce. Non è il momento giusto per la trattativa Ora è vero che l’esistenza dei vari gradi di giudizio sposterà in avanti nel tempo il problema di una eventuale condanna (o assoluzione) definitiva, ma comporterà anche (se le sentenze fossero di condanna) che la morsa delle (terribili!, per un uomo di comune moralità) responsabilità della strage si stringerà sempre più. Fino a un fatidico (e probabile) mandato di cattura internazionale, che - come minimo - comporterebbe un decadimento gravissimo dell’immagine del «paperone svizzero» e una indubbia restrizione della sua libertà di spostamento. Difficile per un miliardario noto in tutto il mondo viaggiare nell’anonimato... Difficile che il suo business internazionale nel settore dell’ambiente (non dimentichiamo che è stato consigliere per l’ambiente di un ex presidente degli Stati Uniti) non ne risenta. A conti fatti meglio pagare, insomma, una cifra che per lui è decisamente modesta. Ma ai Comuni conviene? Certamente no, proseguendo nei successivi gradi di giudizio la necessità di derubricare la permanenza del reato sarà ancora più impellente per l’imputato e la posizione contrattuale dei Comuni - se di questo punto di vista si vuole tenere conto - sarà certamente più forte. Quindi: anche se si volesse fare una trattativa è meglio aspettare. Senza contare che se solo Schmidheiny fosse condannato (e De Cartier assolto) i Comuni si troverebbero completamente estromessi dal processo. Il grande scaribarile: chi si piglia la patata bollente? Il processo di Torino è stato in fondo (dal punto di vita difensivo) un grande e banale scaricabarile: il belga ha accusato chi ha gestito Eternit prima di lui: il disastro, ha detto, è avvenuto negli anni Venti e Trenta, quando si lavorava senza cautele. Schema classico, insomma, dare la colpa ai morti non più punibili... Metodo identico da parte dello svizzero: «Prima di noi (durante la gestione belga!, ndr) la situazione era catastrofale», hanno sostenuto senza mezzi termini. Ma il vero capolavoro da questo punto di vista potrebbe essere proprio la transazione con i Comuni. Il giorno dopo lo svizzero potrebbe infatti dire: «Io le risorse per le bonifiche le ho messe a disposizione, se poi sono state usate per fare altro... o anche se non sono bastate per bonificare tutto quanto... non prendetevela con me, era una libera trattativa...». Del resto lo ha già fatto, è proprio lo schema usato in aula dalla difesa di Schmidheiny nei confronti della procedura fallimentare di Eternit per rintuzzare l’accusa di avere abbandonato gli stabilimenti pieni di materiale pericoloso: «Le risorse per ripulire gli stabilimenti dalle polveri di amianto c’erano, se poi il fallimento ha fatto altro...». E il reato «permanente» che fine fa? Ma c’è un punto ancora più spinoso: se il tribunale infatti decide che sussiste la permanenza del reato (cioè l’attualità del rischio) per Stephan Schmidheiny, quella stessa permanenza del reato - coerentemente - potrà essere cancellata solo eliminando il rischio. In altre parole: se l’omissione dello svizzero è un reato che consiste anche e soprattutto nel non avere fatto ciò che era in suo potere per risanare l’ambiente che aveva inquinato, quella responsabilità su chi passerà? Verosimilmente su chi incamererà le risorse per le bonifiche. La «condotta omissiva» (penalmente rilevante) rischia dunque di essere trasferita su coloro che non dovessero sollecitamente, con le risorse di cui hanno disponibilità, fare tutto il possibile per eliminare quel rischio. Perché nessuno oggi - dopo tanti, troppi morti - può dire che non sia noto al di là di ogni ragionevole dubbio che finché c’è amianto nell’ambiente c’è il rischio di ammalarsi di malattie che altrimenti non sapremmo neppure come si chiamano, perché - forse - semplicemente, non esisterebbero... E se ci sono le risorse economiche, se ci sono le conoscenze tecniche, se ci sono la posizione e il ruolo che consentono di fare le bonifiche... be’... o si fa oppure si diventa «omissivi». Come Schmidheiny secondo l’accusa della Procura di Torino. Due noccioline per... Insomma il miliardario svizzero si getterà alle spalle - con due noccioline (lui che dona un miliardo di dollari per fiumi e alberi) - la strage più grande della storia perpetrata in nome del profitto attraverso quella che un libro ha definito senza mezzi termini «impresa criminale». Venti milioni di euro. Più o meno l’indennizzo per venti vittime, come dimostrano alcune sentenze recenti (basta cercare con Google...) che hanno condannato a risarcire le morti per la polvere assassina con 1,2 milioni di euro. Venti milioni di euro per comprare un’assoluzione. Venti milioni di euro per ripulire la propria immagine da un disastro orribile, senza pari, che non sarà concluso chissà fino a quando. E passare la palla alla città di Casale, che sarà avvelenata oltre che con la polvere assassina anche nelle coscienze. E a farla da padrone - in questa indicibile vicenda - saranno ancora... e sempre... e solo... i SOLDI.

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Stefania Lingua

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