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  • 24 marzo 2024
  • Casale Monferrato

Si apre il sipario

Tullio Solenghi è il "clone" di Govi ne "I maneggi per maritare una figlia"

Lunedì 25 marzo tutto esaurito al Municipale

Tullio Solenghi. Visto da Max Ramezzana

Lunedì 25 marzo alle ore 21 il Teatro Municipale di Casale Monferrato ospita, in un tutto esaurito, la commedia di Niccolò Bacigalupo “I maneggi per maritare una figlia”, opera portata al successo grazie a una straordinaria interpretazione di Gilberto Govi. 

“Clone” di Govi, come ci dice nell’intervista, sarà un immenso Tullio Solenghi (anche nella veste di regista), che condivide il palcoscenico con una colonna della prosa italiana, Elisabetta Pozzi. Per una produzione Teatro Nazionale di Genova, Teatro Sociale Camogli, Centro Teatrale Bresciano, in scena ci saranno anche Roberto Alinghieri, Isabella Maria Loi, Pier Luigi Pasino, Stefania Pepe, Laura Repetto, Matteo Traverso, Aleph Viola. 

Genova, anni ’50, Steva è un uomo semplice e mite, continuamente vessato dai rimbrotti dell’acida moglie Giggia. I due coniugi, non più giovanissimi, sono impegnati nella scrupolosa ricerca di un “buon partito” per maritare la loro unica figlia Metilde. La sgangherata selezione ha inizio, in un continuo andirivieni di candidati più o meno papabili che genera un crescente vortice di intrighi, malintesi, gag, battibecchi e risate.

Quando nasce l’amore per Gilberto Govi?
L’amore per Govi nasce mezzo secolo fa, scherzo. Direi da ragazzino, perché le star della televisione di quell’epoca erano Mike Bongiorno con il “Lascia o raddoppia?” e Gilberto Govi con le sue commedie. Poi c’è stato un incontro ravvicinato del terzo tipo: sul cucuzzolo della collina di Sant’Ilario c’era il celebre ristorante Lillo e mentre giocavo con gli altri ragazzini, si sparse la voce che ci fosse Govi lì a pranzo. E da nonno affettuoso ci fece l’autografo sul tovagliolo bianco del ristorante, da allora mi rimase questa idea di vedermelo comparire nella genovesità, nella nostra terra e con il desiderio immenso di portarlo in scena. Finalmente ci sono riuscito.

Lei ed Elisabetta Pozzi condividete il palcoscenico con giovani attori. La commedia di Govi diventa intergenerazionale?
Lo sdoganamento del dialetto che ha fatto Govi ha permesso che anche le nuove generazioni di attori si affacciassero a questo tipo di commedia, nonostante il genovese sia tremendamente ostico come linguaggio. Ammetto che il napoletano sarebbe stato più semplice e avvicinabile alla gente, ma molti amici di Palermo mi chiedono quando andremo in scena in Sicilia. Ho scelto una compagnia all’altezza, con una ciliegina sulla torta come la grande Elisabetta Pozzi che interpreta Giggia, che veniva personificata da Rina Gaioni, moglie di Govi. Il dialetto porta atmosfere inedite, è difficile ascoltare lo slang genovese in tante parti d’Italia, ma ovunque andiamo il teatro è sold-out,e quindi non c’è modo migliore per portare la nostra identità in tutte le regioni. 

Che impatto ha sugli spettatori il trucco che utilizza per interpretare la “maschera” di Govi?
Mi sottopongo tutte le sere a un’ora di trucco. L’impatto che ha il mio personaggio quando entro in scena è incredibile. Sento un’atmosfera emozionante, sembra quasi che il pubblico si domandi se sia resuscitato Govi, poi chiaramente l’accento è differente, ma ho studiato nei minimi dettagli questo grande attore. Govi deve essere assunto all’importanza di una maschera: se interpreti Arlecchino, devi farlo perfetto altrimenti non rende. Ho scelto così di essere il clone di Govi per restituire al pubblico di oggi l’emozione che aveva il pubblico di 60 anni fa. Tutto il mio viso sarà una maschera e il trucco in questo senso aiuta, ha un che di clownesco, in senso nobile: tutti i muscoli facciali restituiranno qualcosa di particolare.

Il suo spettacolo fa parte di un importante progetto televisivo, come la stessa commedia rese celebre Govi al piccolo schermo. Tv e teatro possono andare d’accordo?
Il teatro va visto a teatro. La ripresa televisiva rende meno. Certo, le immagini di Govi rimangono eterne e veri reperti storici. Il bello del rituale teatrale va vissuto al buio e dal vivo, entrando in contatto con qualcosa di magico, che viene vissuto tutte le volte che si entra in questo luogo meraviglioso!

Le scenografie e i costumi riportano agli Anni ’60, all’apice del successo della commedia di Govi.
Con Davide Livermore, direttore del Teatro Nazionale di Genova e coproduttore di questo spettacolo insieme al Teatro di Camogli, abbiamo pensato in termini di restituzione di quelle emozioni del passato e anche la scenografia ripete il bianco e nero dell’epoca, come i costumi. Tutto diventa un ripercorrere l’intensità e la magia che quella commedia restituiva al pubblico di allora per ridarla agli spettatori di oggi. 

Cosa rappresenta per lei la comicità?
Riuscire a cogliere della realtà un aspetto che di solito le persone non afferrano: la realtà offre esempi di comicità. Guardare la realtà con l’occhio strabico della comicità rende questa esistenza più ironica e leggera, senza dimenticare che è in grado di diventare anche un’arte scenica, che, alla fine, è quella degli attori comici. 


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