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Aveva aperto lo studio in un alloggio in paese. Condanna a 10 mesi per il falso dentista

Non solo non era dentista, ma non era neppure abilitato alla professione di odontotecnico. Tuttavia esercitava come medico odontoiatra in uno studio che aveva aperto a Cerrina, dove praticava estrazioni, prendeva impronte per l’applicazioni di protesi, prescriveva medicinali, effettuava la pulizia dei denti, eseguiva interventi di frenulectomia, anestesia e altro. Protagonista il 64enne Sergio Baratta, torinese d’origine, residente a Cerrina in via Nazionale, rinviato a giudizio con l’accusa di esercizio abusivo della professione medica. È stato condannato in Tribunale a 10 mesi di reclusione, senza condizionale. Il processo nei suoi confronti si è concluso mercoledì, dopo che davanti ai giudici hanno testimoniato due pazienti. Secondo l’accusa Baratta, utilizzando come prestanome un dentista, aveva preso in affitto un alloggio in via Are a Cerrina, destinando alcuni locali dell’appartamento a studio dentistico. Ma quello non era l’unico posto dove Baratta esercitava la professione di odontoiatra, come ha spiegato la prima delle due testimoni citate nel procedimento penale. La donna ha spiegato al presidente Antonio Marozzo, giudice del processo e al p.m. Maria Alaimo, di avere lavorato per conto di Baratta e di essere stata al tempo stesso, sua paziente. «Per qualche tempo avevo fatto le pulizie nello studio e quando ne ho avuto bisogno mi sono rivolto a lui per un lavoro - ha raccontato la donna nel corso della sua deposizione - In una villetta nella zona di Castelnuovo Don Bosco, dove lo stesso Baratta mi aveva accompagnata in auto e dove aveva allestito una sorta di studio in una stanza, mi aveva praticato nove estrazione, tra denti e radici, tutte in una sola seduta, dopo avermi fatto l’anestesia. Quindi mi aveva applicato dei punti di sutura, rimossi qualche giorno dopo, nella cucina dell’alloggio di via Nazionale che lui occupava a Cerrina. Successivamente mi aveva preso le impronte per l’applicazione di protesi». La teste ha spiegato che non era al corrente che Baratta non fosse un medico, in quanto tutti lo chiamavano il dentista. Inoltre le aveva fatto un buon prezzo. «Mi aveva fatto un preventivo di 2mila euro, ma poi alla fine me ne aveva chiesti solo mille. E mi aveva detto che ci saremmo accordati, nel senso che gli avrei dato solo la differenza dei soldi che lui doveva a me per il lavoro svolto come donna delle pulizie». La donna ha anche raccontato che dopo l’estrazione Baratta le aveva prescritto, «su un foglietto di carta», gli antibiotici che avrebbe dovuto assumere. Molto simile la situazione di un’altra paziente, chiamata anche lei a deporre. «Mi aveva indirizzata al dentista, di cui non conoscevo neppure il nome, il mio ex compagno - ha spiegato la donna, una 37enne originaria di Casale che abita in un paese della Val Cerrina - Avevo portato anche mia figlia, alla quale il dentista aveva messo l’apparecchio per i denti. Le aveva anche fatto l’anestesia e tagliato il frenulo con il laser». La donna ha anche raccontato della presenza, come assistente di poltrone di Baratta, prima di una ragazza marocchina e poi di una donna rumena. Baratta - ammesso al gratuito patrocinio e assistito da un avvocato torinese pagato dallo Stato - è stato processato in contumacia: nelle varie udienze non si è mai visto. A suo carico figurano altri precedenti specifici, per cui era già stato condannato, e per altri reati.

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Enea Morotti

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