Rabbia dei parenti delle vittime al processo Eternit di Torino per l'ex capo del personale «strafottente»
di Massimiliano Francia
Rabbia e indignazione tra i parenti delle vittime ieri al processo amianto di Torino che vede lo svizzero Stephan Schmidheiny e il barone belga Jean Louis Marie Ghislain de Cartier de la Marchienne accusati dalla Procura di Torino di disastro doloso continuato e inosservanza delle misure di sicurezza sui luoghi di lavoro.
Rabbia per la deposizione di Fabrizio Longone, responsabile amministrativo e del personale di Eternit dal 1979 al 1986. Un atteggiamento percepito come «strafottente», «irrispettoso», una testimonianza piena di «non so» e «non ricordo» e con tante discrepanze rispetto alle affermazioni fatte nel 2006 quando era stato sentito dalla polizia giudiziaria.
Una testimonianza che ha portato più volte il pubblico ministero Gianfranco Colace a rileggergli i passaggi di quelle deposizioni.
Ma una deposizione dalla quale sono emersi comunque alcuni elementi tutt’altro che trascurabili.
Longone si occupava di «paghe contributi, rapporti con i sindacati, poi quando era andato via il dottor Tarantino, che era il mio superiore ho assunto incarichi più ampi».
Ha ricordato un incontro a Napoli «tra tutti i capi del personale a livello mondiale» per esaminare problematiche legate ai costi ma anche allo scambio di personale tecnico tra i vari stabilimenti sparsi in molti Paesi.
Gli emissari di Schmidheiny
E durante gli anni in cui ha lavorato per Eternit ha conosciuto qualcuno dei proprietari?, gli ha poi chiesto il pm.
«Ho conosciuto dei loro emissari, i proprietari erano la famiglia Schmidheiny».
Lo stabilimento più vecchio
Di Casale ha detto che era lo stabilimento «più vecchio e con più problemi» che non era possibile intervenire più di tanto per limitare l’esposizione alle polveri, riferendosi però a un inquinamento a suo modo di dire risalente ad anni precedenti.
E anche per l’inquinamento esterno Longone ha detto che era cosa nota a Casale come a Cavagnolo, ma l’unica alternativa - a Casale, «se non si voleva l’asbestosi» sarebbe stata - ha detto - «chiudere e bonificare.
«E poi non era mica solo un problema dell’azienda, ma anche del Comune...».
E difatti - ha aggiunto - l’azionista decise infine di chiudere lo stabilimento.
Chi era l’azionista?, gli ha chiesto il magistrato.
«La famiglia Schmidheiny».
Le malattie professionali
E per quanto riguarda la malattie professionali?
Sull’argomento Longone ha detto che al momento dell’assunzione dell’incarico nel 1979 non era stato avvisato se non del problema relativo all’asbestosi, e che nulla gli era stato riferito relativamente al cancro.
Conoscenza maturata poi in seguito - all’inizio degli anni Ottanta - per sentito dire.
«All’inizio degli anni ‘80 ho saputo che esisteva la possibilità di incorrere nel mesotelioma della pleura, ma non so da quando e da chi...».
Ma questa conoscenza non ha suscitato la sua curiosità, non ha chiesto quando si è scoperto, da quanto tempo si conosce?, ha domandato Casalbore.
«No, una volta che avevo saputo che era un tumore del polmone che poteva essere causato dall’amianto... abbia pazienza...».
«Con lei ce ne vuole tanta, Longone...», ha detto il presidente del tribunale.
E nonostante fosse capo del personale, incalzato dall’avvocato Sergio Bonetto, uno dei difensori delle vittime, ha dichiarato che nulla sapeva della decisione dell’azienda di negare il sovrappremio-asbesto.
Cosa che produsse anche una lunga vertenza, proprio in quegli anni.
Ma non solo. Longone ha anche detto di non essere a conoscenza del fatto che l’azienda è obbligata dal legislatore a fare la denuncia all’Inail in caso di malattia professionale.
Anche se all’inizio della propria deposizione aveva parlato di costi, perché «quando ci sono incidenti cresce il tasso Inail».
Eternit invece veniva a conoscenza dei casi di asbestosi - ha detto - non dalle visite periodiche che effettuava per legge (come? viene spontaneo da chiedersi) sui lavoratori ma dagli elenchi INAIL.
«Una inversione di ruoli», ha commentato Casalbore.
Tutti i controlli possibili...
Ma Eternit cosa faceva rispetto alle malattie professionali?
«Tutti i controlli possibili e immaginabili sono sempre stati portati avanti»
E interventi ne sono stati fatti?
«Sì», ha detto Longone ma poi ha ammesso - quando gli è stato chiesto di dire quali fossero - di non essere in grado di precisarlo: «Non so, non ho chiesto tanto non avrei capito».
Che senso aveva chiedere informazioni su cose che non capiva?, gli ha domandato il presidente Casalbore, mentre il pm gli ha fatto anche notare che nella prima deposizione aveva detto di «non sapere quanto fosse stato effettivamente realizzato».
E inoltre che era proprio lui a capo del personale che aveva discusso e concordato interventi con le organizzazioni sindacali, additando una cartellina alta dieci centimetri piena di rivendicazioni sindacali.
E poi ancora: le mascherine che erano - unica misura di prevenzione, che si usavano solo «quelle rare volte in cui si doveva fare il taglio di una lastra».
Perché - ha detto - «a Rubiera non c’era amianto che girava. ce n’era di più sulla statale... visto che una volta si facevano i ferodi con l’amianto».
Affermazione perfettamente sovrapponibile a quella del «manuale» e in linea con le comunicazioni standard dei dirigenti.
Come fa a saperlo?, gli è stato chiesto.
«Perché erano stati fatti rilevamenti...»
Come e da chi? Con che frequenza, con che strumenti ?
«Non lo so».
Lo sa perché glielo ha detto Bontempelli?, gli ha chiesto il giudice.
«Esatto!»
«Ma per fare una affermazione così impegnativa - gli ha detto il magistrato - dovrebbe essere certo, se no non la dovrebbe fare...».
I sacchi di carta
E i sacchi utilizzati per il trasporto dell’amianto com’erano?
«Di carta come quella dei sacchi di cemento, un po’ spessa che si lacera con facilità».
Si rompevano?
«No».
Si lacera con facilità, l’ha detto lei... Ha mai visto come avvengono le operazioni di carico e scarico? Non si va mica tanto per il sottile, magari i sacchi li buttano... Se lei dovesse scaricare un sacco come farebbe?
«Io lo appoggerei delicatamente...».
E se si rompeva?
Allora doveva essere «tutto circoscritto, raccolto e rimesso nella macchina». Con che strumenti? «Non so se con scopa e paletta o con un aspiratore».