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Quattro casse spedite dal Cairo con piccole antichità

In una breve lettera indirizzata al marchese Domenico Balestrino, spedita dal Cairo il 7 agosto 1820, il viaggiatore casalese Carlo Vidua scriveva: “Quattro casse contenenti pietrificazioni [legno pietrificato trovato nei pressi del Cairo, ndr.] ed altri oggetti di curiosità, come due lapidi, qualche libro, qualche piccola antichità Egizia e delle armi degli abitanti dell’interno dell’Affrica, ti saranno consegnate dalla casa Baracco di Genova. Ti prego di inviarle a Torino a mio Padre, il quale ti rimborserà delle spese di trasporto ed altre, che mi farai piacere di pagare alla suddetta casa Baracco”. Le lapidi ricordate nella lettera sono due stele cristiane con iscrizioni sepolcrali provenienti dalla Nubia, oggi conservate nel Museo Egizio di Torino, mentre le “piccole antichità” costituiscono il nucleo della preziosa raccolta, frutto del viaggio in Egitto effettuato dal viaggiatore casalese negli anni venti dell’Ottocento. Lasciato il freddo delle terre del Nord e della Russia, Carlo Vidua raggiunge Costantinopoli, poi passando per Smirne e Rodi sbarca il 27 dicembre 1819 ad Alessandria d’Egitto. Una settimana di sosta per la visita della città e per un breve soggiorno ad Abukir e a Rosetta (dove fu trovata la celebre stele bilingue decifrata da Champollion), poi è al Cairo, ospite di Bernardino Drovetti che lo informa della collezione già spedita a Livorno e che, proprio grazie all’interessamento del Vidua, avrebbe costituito il nucleo originario del Museo Egizio di Torino. Dopo aver visitato le piramidi, il 21 gennaio 1821 egli lascia il Cairo per risalire su una “nave comodissima” il corso del Nilo alla ricerca dei più antichi monumenti. Il 20 febbraio è ad Assuan, poi si imbarca su un piccolo battello per raggiungere Abu Simbel, come ricorda in “Carlo Vidua e l’Egitto” Roberto Coaloa. “Vidua visitò i templi, facendone per primo una puntuale descrizione degli esterni e soprattutto degli interni. I suoi taccuini di viaggio conservati all’Accademia delle Scienze di Torino, inediti, raccontano quell’incredibile avventura ad Abu Simbel… Vidua eseguì disegni esterni di notte, alla luce della luna, per difendersi dal caldo e fece lunghe visite all’interno del tempio”. Alla fine di aprile ritorna ad Assuan e a metà giugno è nuovamente al Cairo, dove resta fino al 10 agosto, quando parte per la Terra Santa, poi visita la Grecia e infine ritorna in patria nel 1822. Nel viaggio in Egitto il curioso turista casalese trascrive le iscrizioni, descrive gli edifici visitati (alcuni poi andati perduti come l’arco di trionfo di Adriano ad Antinoe) e disegna le piante di molti templi, come egli stesso osserva nella lettera spedita dal Cairo il 15 luglio 1820, indirizzata al cav. Cesare Saluzzo: “Spiacemi non aver avuto meco un pittore; ma ritrovandomi nel paese il più ricco in monumenti antichi mi sentii risorgere la passione, che altre volte avevo avuta per l’architettura, onde mi occupai molto in prendere i piani e l’alzato di gran parte di questi templi. Il piacere di veder sì belli oggetti mi fece sopportare il calore estremo, che al mese di marzo era abitualmente a 28, e 30 gradi all’ombra, e trovandomi alla gran cataratta cioè passato il tropico tra il 23 ed il 22 grado di latitudine salì un giorno fin a quaranta nove gradi al sole”. Dall'Egitto reperti Vidua, per il Museo una collezione di valore "Piccola ma di inestimabile pregio con oggetti di grande valore”. Siamo al Museo Civico per la collezione egizia di Carlo Vidua con Fabrizio Scagliotti (responsabile del Museo casalese), Alessandra Montanera (conservatore) Elena Varvelli (Ufficio museo) e Sabina Malgora, egittologa casalese che ci fa “da consulente privata” (a lei si deve la citazione d'apertura). Una trentina di pezzi di cui prima studiamo le foto e poi ammiramo de visu mentre vengono estratti dai loro contenitori con esclamazioni di gioia da parte della nostra Malgora che come noi (nessuno è profeta in patria) li vede per la prima volta:“Mi sento come i bambini a Natale sotto l’albero”. Qualche esempio: iniziamo con due statuette in bronzo massiccio raffigurano il dio Osiride riprodotte ad uso votivo con corona bianca, barba rituale, braccia incrociate sul petto e le mani che impugnano il bastone pastorale e il flagello. La base presenta un frammento del perno che serviva a fissare il bronzetto. Ammirazione davanti a sei ushabty (spiega Malgora: “statuine magiche che nel corredo funebre sostuiscono il defunto nei lavori dell’aldilà”) del faraone Sethi I (XIX dinastia, 1294-1279 aC) sono rappresentati con la parrucca tripartita e hanno le braccia incrociate sul petto con le mani che recano gli strumenti agricoli. Nella zona delle gambe sono incise linee di geroglifici che riportano il VI capitolo del Libro dei Morti, che fa appunto riferimento alla possibilità di queste statuette di animarsi e rispondere al defunto che le evoca per aiutarlo nei lavori agricoli. La tomba di questo faraone fu trovata depredata da Giovanni Belzoni. Dice la Malgora: “In origine dovevano essere una statuina per ogni giorno dell’anno, ora in tutto il mondo ne sono rimasti una trentina e Casale ne ha ben sei, eccezionale”. Spicca poi (fayence azzurra e pigmento nero, la fayence è ''argilla colorata, invetriata'') l’ Ushabty di Padiamon con l’orecchie che ci ricordano il dottor Spock di Star Trek, sulle gambe geroglifici recitano: “l’Osiride, padre del dio, Padiamon giustificato”. Il proprietario di questo ushabty, conosciuto da altri monumenti, rivestiva cariche importanti nell’ambito del clero tebano durante la XXI dinastia. Ecco una statuetta in bronzo di un doppio dio Amon e quello itifallico Min. Quasi una Malgora-lezione sull’egida (collare) del dio Khnum. Ci piace un amuleto che rappresenta il dio Horus in forma di falco, le piume sono state realizzate con leggere incisioni. Nel settore scaccia malocchio non manca in varie versioni l’occhio udjat, o occhio lunare di Horus (quello che ancora oggi ti vendono se passi, turista, da queste parti). Udjat significa completo. Poi quattro scarabei (con testi incisi) e due amuleti a forma di babbuino (riproducono Toth, dio della scienza e della saggezza). Da ammirare una situla contenitore per acqua lustrale e latte con on rilievo raffigurazioni mitologiche: cani che trainano la barca solare, rappresentazione del viaggio del sole. Simbologia della rigenerazione. Da una scatoletta verde sbuca il Dio di Elefantina, che proteggeva dalle esondazioni del Nilo, veniva messo sulla prora delle navi. Ultimo: un reperto simbolicoanello a forma di rana con in bocca un serpente segno di fertilità. E’ bello essere privilegiati in loco di tanta bellezza, ma forse con due vetrine al Museo (che ringraziamo per la disponibilità ndr) non saremmo più i soli... Certo tutto (ormai) cozza col problema di fondi... Cercasi sponsor

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Veronica Spinoglio

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