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25 aprile

Il 25 aprile al Balbo: il messaggio di Giovanni Tesio e la riflessione di Riccardo Calvo

Il dirigente Riccardo Calvo ha introdotto una riflessione sul significato della Resistenza, visto con gli occhi della contemporaneità nel tempo del Coronavirus

Per introdurre al meglio il 25 aprile, l’anniversario della Liberazione d’Italia, il prof Giovanni Tesio, docente all’Università del Piemonte Orientale in una video registrazione, ha offerto alcune sue considerazioni agli studenti dell’Istituto Superiore Balbo.

“Cari ragazzi, il 25 aprile, al di là del suo significato storico e civile, è una data che reca in me una quantità di rimandi simbolici. L’invito a resistere non è, soltanto, il valore di una dichiarazione di libertà politica, ma è un vero e proprio impegno di vita. Resistere alle mode, resistere ai consumi stolidi, resistere alle sirene del conformismo e alla tentazione del così fan tutti. Salvaguardare un angolo di verità e proteggerlo dai profeti del  vacuo o del nulla. Il 25 aprile è il fiorire di una speranza che non è mai una certezza di qualcosa che finirà bene, ma la fiducia che valga la pena di vivere al di là di ciò che ci potrà capitare o toccare. Coincidendo con il mese più crudele, non ci nasconde le difficoltà e non si consuma nella retorica, ma ci radica nella coscienza attiva della nostra fragilità. Penso, ovviamente, al sacrificio specialmente di quei giovani, che si sono battuti fino alla morte per offrirci un mondo migliore. Come non ricordare le lettere dei condannati a morte della resistenza …, ma penso anche ai troppi tradimenti di cui ci siamo macchiati e continuiamo a macchiarci. Per me il 25 aprile diventa un invito a fare, del nostro cuore e della nostra mente, la migliore palestra di una, fin che si voglia laica, teologia quotidiana. L’occasione per un esame di coscienza e la consegna, sgombri da ogni retorica, di schiena diritta e di umana dignità”. Pochi minuti per comunicare l’essenziale, fuori dai luoghi comuni e con uno sguardo nuovo che, “grazie” a questo presente, assuma valori e stimoli ritrovati.

Anche il Dirigente Scolastico Riccardo Calvo si è unito in una rinnovata riflessione sul significato della Resistenza, visto con gli occhi della contemporaneità nel tempo del Coronavirus.

Il Coronavirus non è una guerra, ma un’emergenza sanitaria complessa, sociale, culturale, economica e di emarginazione di persone. L’uso della parola guerra è un uso strumentale e improprio. In guerra c’è l’emergenza e in guerra si giustificano soluzioni che non sono quelle, invece, gestite e garantite da una democrazia liberale. La guerra ci rende ubbidienti e docili in una prospettiva di vittime designate e i malati diventano perdite di un conflitto e quindi disumanizzati. Penso che usare oggi la parola guerra sia qualcosa di profondamente sbagliato e la celebrazione del 25 aprile vada, invece, nella direzione di un’altra metafora. La parola resistenza, che abbiamo imparato a declinare con una versione che l’approfondisce e l’aggiorna: che è la dimensione della resilienza. Noi dobbiamo resistere in questo momento proprio all’idea di scendere in guerra. Dobbiamo sostituire alla parola guerra la parola cittadinanza”.

Questo, dunque, il messaggio di Calvo per il 25 aprile: “dobbiamo riscoprire una doppia cittadinanza, quella di essere sani e di imparare come garantire salute a noi stessi e agli altri, partecipando ad un processo complesso che è quello della responsabilità civica, intesa come lavoro fatto, non solo dai tecnici, ma anche dai cittadini. Gli anziani e i malati sono persone con le quali dobbiamo avere solidarietà. I giovani della resistenza non hanno guardato dall’altra parte. Potevano nascondersi o limitarsi ad aspettare (l’attendismo del ’44 è forse una delle metafore più interessanti di cosa sta succedendo oggi) invece, hanno preso parte. Come cittadini, oggi, dobbiamo concentrarci sulla necessità di un cambio di passo e di una trasformazione della nostra società. L’emergenza del Coronavirus è solo l’anticipazione di un’altra emergenza che sarà anche più grave: parlo, dell’emergenza climatica. In generale, non deve mancare la visione generale del mondo che, come gli ideali della resistenza, deve essere aperta. Oggi l’Italia deve evitare di fare guerre, pseudo nazionalistiche, agli altri Stati, in nome del Coronavirus. Deve concentrarsi su una psiche collettiva che, come ha detto giustamente il Papa, è malata. Il processo di liberazione da questa malattia è la nuova forma di resistenza. Una resistenza fatta di costanza, di eroismo quotidiano, di più risorse sanitarie e fatta, anche un po’, com’è successo ai giovani della resistenza, di qualche fortuna, che io auguro in vista del 25 aprile”.


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