Articolo »

Intervista a...

Mons. Francesco Mancinelli: «Difficile essere buoni cristiani. Colpa delle nostre fragilità che saniamo con la preghiera»

Alla vigilia dei suoi primi 40 anni dall’ordinazione

Alla vigilia dei suoi primi 40 anni dall’ordinazione, incontriamo don Francesco Mancinelli, dal 1° ottobre del 2007 rettore del Santuario di Crea. Con lui ripercorriamo le tappe salienti della sua vita personale e cristiana e, attraverso il suo pensiero su argomenti di attualità, cerchiamo di conoscere il sacerdote e l’uomo, in tempi in cui fede e chiesa si dividono tra bisogno di speranza e diffidenza, salvezza e pregiudizio. Ma come spesso succede, sono gli uomini a fare la differenza e, mentre il bisogno di umanità, quella autentica, si fa impellente, manifestarsi oltre ruoli e immagine, accorcia le distanze, crea contatto, dialogo e ascolto, sollecita i sentimenti e rende le persone più umane.

Classe 1949 e figlio unico, Francesco è cresciuto tra calle e canali, arte, storia e cultura veneziana. Il padre, Giuseppe, era stato dipendente del Ministero degli Esteri a Roma; la madre, Adelaide Vittoria, dell’Ambasciata Italiana in Egitto. Al Cairo i suoi genitori si erano conosciuti e, nel 1947, spostati. Già da bambino, Francesco era stato uno spirito vivace e ribelle, insofferente alle regole. Da adolescente era diventato capo falò e animatore al patronato (oratorio) di San Giovanni e Paolo nella città del Doge. In quegli ambienti, per la prima volta, aveva pensato di diventare un frate o un padre missionario. Durante il Liceo Classico Canova a Treviso era stato fidanzato per tre anni con una studentessa, poco più giovane di lui, ma il pensiero del matrimonio non lo convinceva: «era qualcosa di eccessivamente costringente». Nel 1968 si era recato a Roma con sua madrina e, durante la celebrazione dei secondi Vespri di Pasqua a Sant’Anselmo Aventino, aveva sentito forte e chiaro il desiderio di entrare nella vita religiosa. Nel frattempo, alla fine dell’ultimo anno di liceo (1970), aveva perso la madre, appena 53enne, investita da un’auto e la sua insoddisfazione era cresciuta. Il 22 agosto del 1970 aveva così iniziato la vita monastica e, nel novembre dello stesso anno, il noviziato presso il monastero benedettino di Praglia, situato ai piedi dei Colli Euganei. Il 1° agosto del ’73 era stato trasferito in Val Cenischia, dove l’abate di San Giorgio Maggiore di Venezia era stato incaricato di rifondare il monastero benedettino della Novalesa. Dopo un anno, per Francesco, era nuovamente ora di fare le valige e, questa volta, per trasferirsi definitivamente nel Monferrato.

Perché nel Monferrato?

«Non potevo restare a Novalesa: non erano previsti percorsi di studio teologici. La zia, suor Vittorina, ai tempi in servizio a Solonghello, chiese all’allora vescovo monsignor Cavalla se ci fosse qualche possibilità per me a Casale. Da poco avevano riaperto il Seminario. Venni così affiancato a don Josi, don Sandrone, don Leonardo e don Cipriani».

Come fu il suo arrivo nel Monferrato?

«Casale, me la immaginavo in collina. Arrivato alla stazione, volli tornare indietro. Poi, la zia mi portò a Solonghello, dove trascorsi la prima notte; il giorno dopo salimmo al Sacro Monte di Crea, dove padre Isidoro mi presentò don Pacomio e dove conobbi il vescovo Cavalla».

Poi? «Entrai in Seminario il 15 ottobre del ‘74 e venni ordinato sacerdote il 23 giugno del ‘79. Il mio primo incarico fu di vice parroco al Duomo con don Antonio. Nel frattempo insegnai religione nelle scuole; l’11 luglio dell’81, diventai Segretario Vescovile e responsabile dell’Azione Cattolica Giovani. Il 1° luglio del ‘94 rettore del Seminario per la formazione umana, teologica, pastorale, spirituale e culturale dei seminaristi. In 13 anni vidi ordinare 26 sacerdoti. Il 1° ottobre del 2007, l’allora vescovo Zaccheo trasferì tutta l’equipe educativa del Seminario a Crea. Dapprima non ne fui felice, col tempo mi piacque molto. Mi piaceva stare in città: ho conosciuto una Casale che non esiste più; una Casale molto accogliente».

Pensa di essere un buon sacerdote?

«Essere buoni cristiani è difficile, per colpa delle fragilità personali».

Come si sanano?

«Un credente le sana con la preghiera ma, con alcune ferite, bisogna imparare a conviverci».

Qual è la causa più grande delle fragilità umane?

«La libertà, davanti alla quale si ferma anche l’onnipotenza di Dio».

È sempre stato convinto della sua fede?

«In coscienza, anche se con difficoltà, sì. La cosa che non ha senso è la morte. Noi siamo fatti per la vita».

Come si supera la paura della morte?

«Dentro questa realtà c’è passato anche Gesù. Bisogna pensare alla morte come a un tunnel e non come a un abisso».

Cos’altro le fa paura?

«La malattia, la sofferenza, la grettezza e l’ignoranza».

Cosa le dà gioia, invece?

«Le persone e la natura. La vera felicità sta nell’amicizia, che è gratuità assoluta nelle relazioni e bellezza della vita. Tutte le mattine poi, mi dà gioia affacciarmi alla finestra del Santuario e abbracciare, con la vista, dal Monviso al Monte Rosa; gioisco anche quando, a metà collina, si apre un immenso mare fatto di nebbia, lasciando limpido tutto quanto la sovrasta».

Com’è don Francesco?

«Aperto e socievole, talvolta scostante e permaloso».

Non ha mai pensato di diventare vescovo?

«Sono molto pigro. Non ho mai sgomitato e non c’è stata l’occasione. Oggi non rientra nei miei desideri».

Cosa desidera?

«Vedere completate le opere di ristrutturazione del Santuario, almeno in occasione del bicentenario della riapertura al culto del Santuario».

Pensa sia sufficiente ascoltare la tv e leggere per comprendere la società contemporanea?

«Imparo moltissimo nel confessionale. È importante saper ascoltare. Alle volte, ascoltando drammi e vicende umane, mi chiedo come si faccia. Davvero il cuore dell’uomo è un abisso e solo Dio lo può conoscere».

Cosa pensa della crisi di vocazioni?

«Una delle cause è la crisi della famiglia; anche il matrimonio cristiano è una vocazione».

Degli scandali della chiesa?

«Ci sono, ma sono molto amplificati e non vorrei diventassero un alibi».

Ha fatto bene Papa Ratzinger a ritirarsi?

«È stato saggio e intelligente».

Le piace Papa Francesco?

«È una novità».

Darebbe la comunione a una persona divorziata o a una coppia omosessuale?

«Su questo argomento delicato è necessaria una riflessione prolungata».

Quanto è o non è trasparente la chiesa oggi?

«La trasparenza è una sfida continua, soprattutto a livello economico».

Come giudica il gesto del leader della Lega nel baciare il crocifisso?

«Credo che Salvini si aggrappi dove può».

Serve un leader nella chiesa?

«Nella chiesa, l’unica leadership è Gesù Cristo. Un buon sacerdote non è un leader, ma colui che porta verso Gesù».


Profili monferrini

Questa settimana su "Il Monferrato"

Silvio Morando

Silvio Morando
Cerca nell’archivio dei profili dal 1871!