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Ed Eternit chiese: «Niente etichette sui rischi per i prodotti che contengono amianto»

È stato sentito dal Tribunale nell’ambito del processo Eternit il noto studioso americano Barry Castleman, consulente del Governo degli Stati Uniti per materie relative alla protezione e alla tutela della salute e dell’ambiente, per la tutela dei consumatori e per il Dipartimento di Giustizia, oltreché per le organizzazioni del lavoratori e l’OMS. Negli ultimi 35 anni è stato impegnato in particolare sulle questioni relative all’amianto e ha testimoniato in circa 400 processi. Lo avevamo incontrato sabato per una intervista nella sede dell’Associazione Familiari Vittime Amianto e ci aveva esposto alcune delle informazioni che nella sua ricerca ha raccolto sulla vicenda amianto che sembra ripetersi con modalità analoghe ovunque nel mondo. Una realtà inquietante, perché emerge che chi produce conosce benissimo - da decenni - la nocività dell’amianto, ma sfrutta la scarsa consapevolezza del rischio per fare profitti, infischiandosene del fatto che per centinaia, migliaia di persone questo possa coincidere con la morte provocata da molte neoplasie alle vie respiratorie ma non solo; con malattie gravemente invalidanti come l’asbestosi o con l’angoscia legata alla consapevolezza di essere esposti a un rischio mortale. Primo risarcimento: 1927 Negli Stati Uniti la consapevolezza dei produttori risale addirittura alla fine degli anni Venti del XX secolo, perché nel 1927 ci fu il primo caso di risarcimento in Massachusetts. Ne poi seguirono molti altri. E le ditte che pagavano gli indennizzi sapevano bene, evidentemente, per quale motivo dovevano mettere mano alla borsa. Nel 1939 il tumore al polmone fu diagnosticato in Germania, e fu messo in relazione alla esposizione da amianto nel 1943. Già negli Anni Trenta nelle fabbriche in cui venivano realizzati freni per auto venivano adottati armadietti con scomparti divisi per gli abiti da lavoro e gli abiti «civili», proprio allo scopo di limitare la contaminazione. Precauzione che per esempio alla Eternit di Casale non risulta sia mai stata adottata. A metà Anni Sessanta fu evidente che venivano colpiti anche i familiari, proprio per le fibre che venivano introdotte nell’ambiente domestico attraverso gli abiti da lavoro, così come coloro che vivevano nei pressi di stabilimenti e miniere. Una data di svolta fu il 1964-65 quando il medico americano Irving Selikoff organizza un convegno in cui rende note le proprie ricerche sui danni legati all’amianto e dice praticamente tutto: che i limiti di esposizione valgono solo per l’asbestosi e non per il cancro, che l’amianto è responsabile di tumori al polmone, alla pleura, al peritoneo, allo stomaco, all’intestino. Che non è necessario lavorare l’amianto direttamente per essere colpiti ma che è sufficiente una esposizione ambientale. Che colpisce senza scampo anche a distanza di decenni. Da quella data mondo scientifico e produttivo non possono più dire di non sapere ed esplode inoltre il numero delle cause di risarcimento. E la risposta dei grandi gruppi che lavoravano l’amianto quale fu? «Erano in competizione finanziaria ma collaboravano alla cospirazione per nascondere le conoscenze sui danni provocati dall’amianto», dice Castleman. Vi fu una grande riunione a livello mondiale che si svolse nel 1971 a Londra e alla quale partecipò anche Eternit. L’amianto, un cancro esteso Riunione che aveva lo scopo di confrontarsi sulla legislazione dei vari Paesi, sul grado di «anticorpi» che in ogni realtà del mondo si stavano producendo rispetto a quel cancro esteso che era la lavorazione dell’amianto. Ma che per le aziende era solo business. Uno degli elementi che emerse fu la disorganizzazione sul fronte della propaganda e nel giro di due anni da una sola agenzia per la promozione dell’immagine dell’amianto si passò a ben undici. «La conclusione operativa - evidenzia Sergio Bonetto, avvocato che patrocina le vittime - è quella di assumere iniziative di propaganda, finanziare film, fare lobby per far passare l’idea che si può produrre con l’amianto in modo sicuro». Una strategia che è tutt’uno con la lavorazione dell’amianto. Nel 1934 - per esempio - uno studio su amianto e cancro è in corso di pubblicazione su una rivista scientifica americana. Interviene l’avvocato della Johns Manville Corporation, il più grande produttore di amianto degli USA che impone con una lettera delle modifiche sostanziali. Lo studio viene modificato e pubblicato come da richieste del produttore. Oggi tutto ciò si può riscontrare grazie al confronto fra le due versioni dello studio e la lettera dello studio legale. Ser Doll abiura? Nel 1955 Ser Doll, un medico inglese con cui Barry Castleman ha parlato personalmente, mette in relazione il tumore al polmone con l’amianto. È uno studio commissionato da una grande impresa che «restò sconvolta dai risultati: emergeva - tra i lavorastori - una incidenza 10 volte superiore alla popolazione non esposta». Doll raccontò in seguito a Castleman che «l’impresa gli disse chiaramente che non doveva pubblicare i risultati e non se ne fece nulla! Pubblicò lo studio in seguito, nel 1975, ma affermando che la situazione era riconducibile a prima del 1933, quando erano entrate in vigore nuove normative su lavoro». John Manville alla fine - proprio a causa delle moltissime richieste di risarcimento - fallì. E Max Schmidheiny che lo ospitava a casa sua in Svizzera , «dove adesso vive il figlio Stephan, imputato in questo processo - precisa l’avvocato Bonetto - non poteva non sapere...». Eternit osteggiò negli anni Cinquanta anche l’apposizione di etichette che avvertivano, sia pur blandamente («...forse può far male») del rischio-amianto. sui prodotti importati in Europa. Un modo per autotutelarsi adottato dai produttori americani, agli occhi della legge esperti dei prodotti che mettono in commercio e quindi responsabili degli eventuali danni che possono provocare. E nel 1986 si oppose alla messa al bando e alle limitazioni nell’uso dell’asbesto negli USA. Negli stessi anni in Italia l’ingegner Emilio Costa magnificava pubblicamente le doti dell’asbesto e anticipava in una intervista rilasciata proprio al nostro giornale che l’UE non intendeva - secondo indiscrezioni - mettere al bando nemmeno l’amianto blu.

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Monica Quirino

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