Disastro doloso: processo ai vertici Eternit per le morti causate dall'amianto
di Massimiliano Francia
Il procuratore aggiunto della Repubblica di Torino Raffaele Guariniello ha firmato venerdì la richiesta di rinvio a giudizio per i padroni dell’Eternit, la multinazionale dell’amianto che ha realmente gestito e diretto gli stabilimenti in Italia e all’estero. E che lo ha fatto - secondo l’accusa e secondo tante testimonianze - trascurando gravemente (quando non del tutto) i rischi che ciò comportava per i lavoratori e per gli abitanti dei luoghi in cui venivano realizzate le lavorazioni.
Duecentoventimila pagine di indagine in 175 faldoni per dimostrare che dietro a quel marchio - l’Eternit - c’erano persone reali e che a loro vanno attribuite le responsabilità per i danni causati dall’amianto.
Migliaia di persone uccise, una strage che secondo gli epidemiologi continuerà ancora a lungo, perché l’amianto è un killer paziente, spietato.
Disastro doloso e omissione volontaria di misure antiinfortunistiche sono le ipotesi di reato formulate a carico di Stephan Schmidheiny, miliardario elvetico, 61 anni, e Jean Louis Marie Ghislain de Cartier, 87, barone belga. «Gli imputati - recita il capo di imputazione - hanno omesso di adottare i provvedimenti per contenere l’esposizione all’amianto: impianti di aspirazione localizzata, adeguata ventilazione dei reparti, utilizzo dei sistemi a ciclo chiuso, limitazione dei tempi di esposizione, procedure di lavoro atte a evitare la manipolazione manuale, sistemi di pulizia degli indumenti di lavoro in ambito aziendale.
«Inoltre - prosegue l’accusa - non hanno informato i lavoratori sui rischi di una esposizione incontrollata».
Una situazione che a Casale tutti conoscono benissimo grazie ai racconti dei lavoratori, che ricordano benissimo mucchi di amianto movimentati senza nessuna precauzione, con pale e forconi e su vagoncini scoperti, e tanta, tanta polvere ovunque.
Polvere che restava sui vestiti e che è stata la condanna delle mogli che lavavano la tuta di lavoro dei mariti, persino di un parrucchiere che aveva il negozio nei pressi dello stabilimento e la respirava dai capelli degli operai; ucciso anche lui dal mesotelioma. E così tanta altra gente che non ha mai messo piede in fabbrica. Polvere che ricopriva balconi, davanzali, strade, automobili...
La seconda accusa infatti riguarda la «fornitura di materiali di amianto a civili... determinando un’esposizione altrettanto incontrollata, continuativa e a tutt’oggi perdurante, senza informare le cittadinanze dei rischi e, per giunta, inducendo un’esposizione di fanciulli e adolescenti anche nelle attività ludiche».
Sì perché quando la fabbrica del Ronzone era attiva, fino a primi anni Ottanta, l’amianto era ovunque: riempiva le strade e volava col vento, con le automobili, con le persone.
E non solo nelle «molazze» si tagliavano le lastre a secco, non si usava la mascherina, si spostava l’amianto con i forconi; l’Eternit «regalava» anche il polverino - gli scarti di lavorazione - a dipendenti e a chiunque ne facesse richiesta, per fare vialetti nell’orto, isolare i sottotetti.
Un altro scellerato contributo - se non fosse bastata l’attività ordinaria della fabbrica, della vendita e dell’utilizzo del famigerato eternit - al disastro ambientale.
Ma si sapeva che l’amianto faceva morire?
In base alle conoscenze scientifiche dell’epoca il nesso causale amianto-mesotelioma, ma anche asbestosi e cancro polmonare era già evidente, ritengono gli esponenti del Comitato vertenza amianto.
Ma si sapeva
cosa si rischiava?
E come conferma il ricercatore Luciano Mutti in prima linea per la ricerca di cure contro il mesotelioma - «l’evidenza scientifica è innegabile a partire almeno dagli anni Sessanta».
L’Eternit - insomma - «regalava» la morte in sacchetti.
E ad aggravare la responsabilità c’è il fatto che proprio quelle fibre lì, triturate, sminuzzate nella fabbrica per esigenze di lavorazione sono dannatamente più pericolose di quanto non sia l’amianto naturale, con fibre lunghe che volano meno e spesso non possono neppure essere inalate.
La cupola
dell’amianto
Il rinvio a giudizio rappresenterebbe una svolta perché finora sotto processo erano finiti (e condannati proprio per le omissioni nella tutela dei lavoratori, nel 1993) solo personaggi di secondo piano.
Dirigenti di stabilimento, dipendenti comunque, che spesso hanno pagato con la loro stessa vita i «privilegi» come - per esempio - la possibilità di dimorare senza oneri in alloggi all’interno degli stabilimenti. Estranei a qualunque vicenda giudiziaria invece quella che il Comitato Vertenza Amianto ha definito la «cupola» dell’amianto, la mente vera e propria della multinazionale, che ritiene responsabile della politica vera e propria delle singole unità in merito a tutti i processi produttivi.
«Una prenotazione
per la morte...»
È il primo processo per quella che è stata la più grande e potente multinazionale dell’amianto al mondo, dice Bruno Pesce del Comitato Vertenza Amianto. «E si tratta di un processo che avrà riflessi importanti a livello globale per far cessare questa prenotazione alla morte per centinaia di migliaia di persone, perché oltre la metà del mondo usa ancora l’amianto: Africa, Asia, America Latina, Canada, Russia, estraggono utilizzano e commercializzare l’amianto».
Quante sono
le vittime?
Ma quanti sono le persone uccise dall’amianto nel Casalese?
Secondo i dati contenuti nell’indagine della Procura sarebbero in tutto circa 1600 (1300 tra gli ex dipendenti - pare - dipendenti e 300 tra i cittadini), ma si tratta di dati incerti nei prossimi giorni il Comitato Vertenza Amianto e le organizzazione sindacali cercheranno di capire con maggiore precisazione quale sia il quadro.
L’Associazione familiari vittime amianto e le organizzazioni sindacali rappresentano circa 1500 casi - spiega Pesce - di cui oltre 1000 deceduti. In tutto saranno circa 2800 persone che si costituiranno parte civile contestualmente al processo penale.
Ma si costituiranno anche la stessa associazione e le organizzazioni sindacali, così come Comune, Provincia e Regione, per ottenere la restituzione di tutte le spese sostenute con il denaro pubblico per le bonifiche dei danni ambientali causati dall’Eternit.