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  • 27 gennaio 2023
  • Casale Monferrato

La storia

«Rischiai di passare per quel camino...»

Angela e Mariuccia Zavattaro raccontano le vicende di un Imi

Giovanni Steffenone. Medaglia d'oro al valore nel 2008

Una storia che insegna più volte ad “amare la vita”, così scrivono Angela e Mariuccia Zavattaro nel libro “Ho rischiato di passare per il camino”, la vicenda autobiografica di Giovanni Steffenone, cugino delle autrici che lavorava a Varese, ma era originario di Ozzano, dove abitava alla Cascina Savoia, “il Giovanni della Savoia”. Steffenone impiegò molto tempo prima di raccontare il periodo della prigionia al campo di lavoro di Kaiserslautern.

A 20 anni, da soldato dell’esercito italiano, dopo la firma dell’armistizio dell’8 settembre 1943, si è ritrovato a essere un nemico dei tedeschi. Il reggimento di Steffenone in quel momento era in Francia ed era senza ordini, non sapeva come comportarsi… all’alba arrivarono i tedeschi e quei soldati italiani vennero “caricati” su un carro merci. giunsero in Germania a Stalag. Da quel giorno quei militari sono stati definiti gli I.M.I. internati militari italiani (Giovanni ricevette una medaglia d’oro al valore nel 2008 a Varese). I nazisti consideravano i soldati italiani come prigionieri di guerra (Steffenone non accettò di entrare nell’esercito tedesco, come tanti italiani, compiendo una vera e propria Resistenza)… poi l’esperienza a Kaiserslautern.

Giovanni venne privato di tutte le libertà: l’unico bene prezioso che aveva era un orologio che immediatamente vendette per un tozzo di pane. La mansione di Steffenone nel campo di lavoro era quella di lavorare lungo la ferrovia. Giovanni vedeva molti suoi compagni morire per debolezza, incapaci di spaccare le pietre da utilizzare sotto le traversine. Steffenone riuscì ad aggrapparsi a piccoli episodi di speranza: un compagno di camerata morì e i tedeschi fecero entrare un cappellano francese (prigioniero dal 1940) che girava i lager tedeschi per dare un po’ di conforto. Proprio il prelato gli donò una coroncina del rosario (costruita dai prigionieri) che Giovanni teneva tra le mani, pregando intensamente. Un altro episodio è legato alla mansione lungo la ferrovia: Steffenone venne colpito in fronte da una pietra, che gli procurò un profondo taglio. Il guardiano tedesco lo portò dalla casellante, che lo vide magro e indebolito e allora gli diede un filone di pane con margarina e marmellata: «Il cibo più buono della mia vita».

In una fredda domenica di febbraio, i prigionieri, svestiti per la sterilizzazione degli abiti, uscirono dalla baracca per rivestirsi. Ma in quel momento Steffenone non ritrovò i suoi indumenti. Il lunedì Giovanni andò comunque a lavorare anche se aveva una febbre da cavallo, perché chi era malato finiva in infermeria e si sapeva che fine avrebbe fatto... «Ho rischiato di passare per il camino». Il caposquadra tedesco Muller capì che Giovanni non era in forma e per sette giorni lo portò a lavorare a casa sua, dove venne accudito dalla moglie. Medicinali, colazioni, pranzi e cene permisero a Giovanni di salvarsi. In quella settimana Steffenone avrebbe compiuto 21 anni e la famiglia Muller addirittura festeggiò il compleanno insieme a lui: «Lì ho trovato un’altra mamma, che ha rischiato la sua vita per salvare la mia. E quando a te mamma vera te l’ho raccontato mi hai detto: “Portamela qui”», scrisse Steffenone in una poesia nel 2012. Dopo lo sbarco in Normandia iniziarono i bombardamenti e quel gruppo di quindici prigionieri (su 120 soldati italiani) venne nascosto dai tedeschi in un edificio. Giovanni e gli altri prigionieri erano confusi perché i nazisti scappavano. L’esercito Usa propose a quelle persone di entrare nel corpo militare statunitense, senza combattere. Steffenone accettò ed ebbe una mansione nella cucina da campo. Nel gettare gli avanzi di cibo, Giovanni vide due bambini tedeschi che avevano fame e allora diede loro due pezzi di pollo: «Una volta ricevetti dai tedeschi una scudisciata per aver preso una crosta di formaggio e un mio compagno venne ucciso per aver rubato un po’ di melassa… loro erano bambini e non avevano colpe della guerra».

Un giorno di maggio, con gli americani, Giovanni andò a liberare Dachau: di notte, illuminate dai fari dei mezzi militari, si intravedevano tra gli alberi figure bianche. Erano morti assiderati, fantasmi con un pigiama a righe. Finisce la guerra, il primo camion di italiani arrivò a Bolzano. Poi Cinisello Balsamo, poi in Stazione Centrale a Milano. Un treno con le mondine che si sarebbero recate a Vercelli…un camion per Casale. La salita verso Ozzano: «L’emozione ebbe il sopravvento. Un pianto di gioia». Tutte le mamme accorrevano per sapere degli altri prigionieri. Lui era stato il primo a tornare in Monferrato. Steffenone morì nel 2014. I proventi del libro sostengono l’associazione Operò, Giovanni avrebbe voluto così.                    


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