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«Era Schmidheiny il padrone dell’Eternit» - C’erano una sessantina di stabilimenti sparsi nel mondo e tutti seguivano le stesse direttive

Se tra il 1975 e il 1979 Eternit aveva un padrone, quel padrone si chiamava Stephan Schmidheiny. È una delle affermazioni centrali della lunga e articolata deposizione di Silvano Benitti (nella foto), ingegnere, che in quegli stessi anni ha lavorato per la multinazionale della fibra killer. Il quesito gli è stato posto dal magistrato Raffaele Guariniello nel corso del processo di Torino che vede imputati lo svizzero Stephan Schmidheiny e il barone belga Jean Louis Marie Ghislain de Cartier de la Marchienne accusati dalla Procura di Torino per disastro doloso continuato e inosservanza delle misure di sicurezza sui luoghi di lavoro. Benitti ha raccontato di aver iniziato il rapporto con Eternit nel 1975 e che il suo referente è stato sempre Hans Andreas Meier, allora direttore tecnico degi stabilimenti dell’Italia. «Cosa le diceva Meier di Stephan Schmidheiny? Si può dire che ne parlasse come se fosse il “padrone”»?, gli ha chiesto Guariniello. «Sì, senza dubbio», è stata la risposta immediata di Benitti La cupola dell’amianto Ma quello che è emerso in modo chiaro dalla deposizione di Benitti - che oggi si occupa di energie rinnovabili - è l’esistenza di una organizzazione mondiale per la lavorazione dell’amianto. E che la punta della piramide era proprio la famiglia svizzera. Quella “cupola” che il Comitato vertenza amianto ormai da molti anni indica come la vera responsabile del disastro provocato da Eternit. A quell’epoca gli stabilimenti del gruppo sparsi per il mondo - ha detto - erano una sessantina e Benitti inizia proprio a Casale il suo percorso di formazione che lo porterà poi anche a Genova, Reggio Emilia, all’amiantifera di Balangero, a Cavagnolo, e soprattutto in Svizzera a Niederurnen e in Germania a Neuburg e Neubeckum. E gli stabilimenti di Casale sono i peggiori. Oggi sappiamo che «l’amianto è una brutta bestia che non possiamo dominare», ma a negli stabilimenti tedeschi «sembrava di essere in un ospedale a Casale uscivi con i vestiti che puzzavano e la polvere addosso». Il voto? L’ex ingegner di Eterni assegnerebbe 4 a Casale e 8-9 a agli stabilimenti tedeschi. Là c’era un sistema automatizzato per caricare l’amianto nelle macchine, a Casale nel 1975 si faceva col forcone, «manutenzione carente, mansioni pesanti affidate a operai invalidi, polvere dappertutto...». Cose che Benitti segnalò a Meier in una relazione, ma il suo superiore «non si mostrò stupito». C’era anche un dirigente tecnico per tutti gli stabilimenti a livello mondiale e si operava con direttive e controlli di qualità standardizzati in tutti gli stabilimenti - ha spiegato il teste - per garantire uniformità del prodotto. E per far ciò si svolgevano incontri internazionali in cui si incontravano i manager delle varie organizzazioni mondiali. «Discutevano di argomenti tecnici e organizzativi dei vari stabilimenti del gruppo. Dal punto di vista organizzativo c’erano un duplice riferimento: quello tecnico rappresentato da Amiantus e quello finanziario, Amindus, che era quello predominante», secondo Benitti. I dirigenti spedivano relazioni periodiche a entrambe e «talvolta certe comunicazioni venivano trasmesse anche a Stephan Schmidheiny». Ma si minimizzava... Quanto alle informazioni sulla pericolosità dell’amianto Benitti non fu informato quando fu assunto: «Se davano impulsi di controllo e migliorie avevano coscienza della problematica. Ma non mi è mai stato esplicitato quali sarebbero state le conseguenze se non si osservavano determinate indicazioni». Anzi un dirigente dell’Eternit «mi dava copia di documenti per dirmi di non preoccuparmi, minimizzava il rischio. «Emilio Costa era un alto dirigente, il responsabile dell’acquisto materie prime a livello di gruppo, delegato per trattare con Canada, Urali e così via...». Ancora alla fine del 1977 in uno scritto - «In difesa dell’amianto-asbesto» - negava la relazione amianto-mesotelioma, ha detto Benitti. Quello stesso Costa che Nicola Pondrano aveva detto essere stato protagonista di un incontro pubblico svoltosi al Rotary di Casale - a inizio anni Ottanta - e nel quale aveva sosteneva che l’amianto non era nocivo. Mezzo litro di latte Ai lavoratori davano mezzo litro di latte al giorno, ha ricordato Benitti sottolineando che anche se non aveva le stesse consapevolezze di oggi la cosa gli era sembrata «una favoletta». La «diffamazione» dell’amianto Ma Eternit arrivò addirittura a parlare di «diffamazione» dell’amianto e a redigere un vero e proprio manuale in cui si descrivevano minuziosamente le varie casistiche che potevano verificarsi, situazioni che potevano gettare discredito sull’amianto e «mettere a repentaglio l’esistenza della nostra industria». L’avvocato che «ha iniziato una campagna privata contro l’amianto» e che «fa tanto scalpore perché suo zio è morto circa 20 anni fa per asbestosi», per esempio. Perché accanirsi per uno zio morto tanto tempo prima... Agghiacciante. E poi i vicini dello stabilimento, un cantiere (in Svezia) in cui i lavoratori rifiutano di posare prodotto in eternit, o ancora la decisione di non utilizzare più amianto da parte di un produttore di coperture pere edilizia (sempre dopo la messa al bando in Svezia), o il caso di un giornalista particolarmente attivo. Per ogni caso veniva indicato quale strategia utilizzare, passo passo, punto per punto. E si allegava inoltre una serie di domande e risposte standard sui principali aspetti e problematiche legate all’utilizzo dell’amianto che sono poi drammaticamente entrate nella coscienza collettiva, via via che si consuma la strage. La difesa degli imputati Secondo la difesa le direttive esistevano e in altri stabilimenti, come quello di Matera in cui operava lo stesso Benitti con incarichi dirigenziali, i livelli di pulizia e di prevenzione erano decisamente migliori. Parrebbe di capire che la responsabilità - dunque - non sarebbe stata dei massimi dirigenti quanto di quelli di stabilimento, già condannati peraltro nel processo svoltosi a Casale nel 1993 e in gran parte scomparsi, spesso uccisi dall’amianto. Resta però da chiarire se le segnalazioni fatte dallo stesso Benitti a Meier abbiano prodotto a Casale una inversione di tendenza. Mentre è storia che non si arrivò mai alla realizzazione di quello stabilimento, che si ipotizzò di costruire proprio a Casale, in cui si doveva utilizzare una fibra alternativa all’amianto, che sarebbe stata l’unica vera prevenzione.

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Monica Quirino

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