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Terza edizione
Tutti i premi e i titoli di “SanSalvaStorie”
In concorso 14 pellicole

La scorsa settimana, durante le serate di giovedì e venerdì, Piazza Carmagnola è stata teatro della terza edizione del festival di cortometraggi “SanSalvaStorie”, appuntamento ormai consolidato nel panorama culturale del territorio. Anche quest’anno la direzione artistica è stata curata dai fondatori Stefano Careddu e Ilaria Briolini, che hanno guidato una rassegna ricca di contenuti di qualità e, come sempre, accolta con grande partecipazione. La serata d’apertura ha visto la proiezione di corti d’animazione, mentre il resto del programma è stato dedicato alle produzioni live action. In concorso 14 pellicole, con tematiche che hanno spaziato dall’attualità a riflessioni sull’impatto della controversa intelligenza artificiale.
Non sono mancate le proiezioni fuori concorso, tra cui tre video selezionati dal “Premio Libera Connessione”, nato all’interno del progetto Monferrato DanzArte. A introdurre i lavori è stata la direttrice artistica Patrizia Campassi, che ha presentato “Romeo and Juliet”, “Nina” e “Tableau - l’Aurora”, sottolineando l’obiettivo di coniugare danza e linguaggio audiovisivo. Altri tre video dal Premio, non sono stati proiettati durante il festival, perché già attenzionati dall’Alessandria Film Festival per la loro qualità.
Nel corso della serata è intervenuta anche Sarah Sclauzero, presidente del centro antiviolenza “me.dea”, accompagnata da Fabio Manavella, tastierista del gruppo torinese Uds Rock. Insieme hanno presentato il videoclip “Sa di Plastica”, realizzato per sensibilizzare sul tema della violenza di genere. «La plastica rappresenta ciò che spesso non si vede, ma soffoca - ha spiegato Manavella - Volevamo lanciare un messaggio forte e trovo che sia importante che parta proprio da un gruppo di soli uomini.» Il videoclip, ambientato nel territorio monferrino, è stato sostenuto dai comuni di Casale Monferrato e Moncalvo, vedendo anche la partecipazione simbolica di Drusilla Gucci, nipote dello storico fondatore della maison di moda, e di alcune comparse del centro “me.dea”.
La manifestazione si è poi conclusa con la cerimonia di premiazione. La Giuria di Qualità, composta dai membri dell’associazione culturale “Tantasà” - Lorenzo Vespoli, Elisa Molina, Enrico Beccaria, Luca Monti, Caterina Testa e Fabio Prevignano - ha assegnato il premio per il miglior corto d’animazione a “Playing God” di Matteo Burani (2024) e quello per il miglior corto live action a “L’Acquario” di Gianluca Zonta (2024). Entrambi i premi hanno finito per convergere con i premi del pubblico. Due le menzioni speciali: una all’attore Pino Calabrese, protagonista di “Mercato Libero” (2024) di Giuseppe Cacace, per la migliore interpretazione; l’altra a “Treelude” di Marco Zingaretti (2025), premiato per la forte carica espressiva e riflessiva della sua opera.
Playing God di Matteo Burani
Su piedistalli di legno si ergono figure umane deformate, create da un’entità ambigua, simile a loro ma che resta nascosta nell’ombra. Uno di questi esseri nasce davanti a noi e, dopo un contatto, con il creatore viene pervaso dalla grazia che, però, si spegne un attimo dopo lasciando angoscia e disorientamento. Poi, la creatura di plastilina tenta di ribellarsi, ma cade e rimane irrimediabilmente sfigurata. Gli altri lo accolgono, anch’essi segnati dalla caduta. Il cortometraggio colpisce per l’intensità visiva delle animazioni, crude e materiche, che creano un’atmosfera disturbante. L’ambiente è cupo, asfissiante, costruito con precisione simbolica. Burani riflette sul rapporto tra creatore e creatura, sull’assenza di senso e sull’abbandono. Il divino non è guida ma origine cieca e silenziosa. L’esistenza, senza più fondamento, si consuma tra aspirazione e fallimento. Un’opera breve ma densa, che parla soprattutto per immagini e lascia allo spettatore il compito di dare un senso a ciò che vede.
Casti quel che costi di Michelangelo Gregori
Con: Pietro Benedetti, Cesare Cesarini. In un teatro sospeso tra ombra e memoria, due figure danno voce e corpo a Giovanni Battista Casti. I versi di Casti affiorano dalla penombra, nitidi e sospesi, mentre i fogli che abitano la scena sembrano frammenti dimenticati, presenze mute di un canto che resiste al tempo. Già le prime inquadrature regalano un inizio fortemente evocativo, dove suono, parola e immagine si intrecciano per aprire un varco sensibile tra passato e presente.
Gregori non costruisce un semplice omaggio né un ritratto biografico: ciò che mette in scena è un’evocazione poetica, un richiamo immaginativo che sottrae Casti all’oblio e lo restituisce al presente come figura viva. La sua voce, lontana e attuale, risuona con sorprendente intensità. Il cortometraggio attraversa registri diversi: lirico, teatrale, grottesco. Le vie che portano il suo nome diventano segni di un’eredità dimenticata, che il film rianima con leggerezza e profondità. “Casti quel che costi” è anche una riflessione sull’arte come gesto gratuito e resistente, non soggetto al mercato né alla visibilità.
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