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A Casale Monferrato

Servizio mai sospeso per le cure palliative

Personale medico e paramedico, volontari

I due medici Paola Budel e Alma Kasa del team delle cure palliative

Con 26 anni di attività in campo e malgrado la pandemia, a Casale Monferrato le cure palliative continuano ad essere una punta di diamante, grazie al team altamente formato del dirigente di struttura semplice Paola Budel, coadiuvata dalla dottoressa Alma Kasa e dalla coordinatrice infermieristica Paola Ballarino.

Le cure palliative sono un approccio clinico specialistico che, attraverso la prevenzione e il sollievo dalla sofferenza fisica, psicologica, sociale e spirituale del malato, mira a migliorarne la qualità della vita nelle ultime fasi di una malattia inguaribile. Dalla riapertura post lavori di ristrutturazione del novembre scorso, i pazienti seguiti in Hospice e al domicilio dall’Unità Operativa Cura Palliative (UOCP) di Casale Monferrato sono stati circa una settantina. Più precisamente, quelli in linea sono mediamente 8 in Hospice e una quarantina al domicilio (nei primi 5 mesi del 2020 ossia ad inizio pandemia, ne erano stati rispettivamente registrati 72 e 269). Inoltre, tra le varie attività collaterali organizzate in collaborazione con Vitas, pandemia piacendo, presto riprenderanno l’arte terapia e la pet therapy.

Il personale operante presso l’UOCP, sia internamente all’Hospice sia al domicilio, è in continua formazione/aggiornamento, sia sui temi clinici ed etici sia su quelli generali riguardanti le cure palliative. L’organico, decisamente sottodimensionato, è attualmente composto da 2 medici (contro i 4 in forza ad inizio 2020), da 4 infermieri sul servizio domiciliare e da 7 in Hospice, ai quali si aggiungono 6 operatori socio sanitari, 2 fisioterapisti, 2 psicologi, 1 assistente spirituale (don Oscar) e una trentina di volontari operativi grazie alla stretta sinergia con Vitas. Tra i pazienti, poi, vi sono anche quelli interessati dall’approccio di cure palliative Simultaneous Care (patologie avanzate e in terapia attiva), rispetto ai quali, proprio per carenza di organico, negli ultimi tempi, si è dovuti ricorre a riduzioni importanti. 

Turni di lavoro faticosi

«Obiettivo principale delle cure palliative è dare senso e dignità alla vita del malato durante tutto il percorso della malattia, alleviandolo dal dolore e da tutti gli altri sintomi, anche nel corso del trattamento oncologico chemio-radioterapico, con una attenzione particolare agli aspetti psicologici, sociali e spirituali della persona malata, ma anche della sua famiglia», spiega la Budel che, insieme alla Kasa, negli ultimi tempi osserva turni da 10 ore al giorno tra Hospice e domicilio (area territoriale molto vasta che va dal moncalvese al valenzano e dalla valcerrina al vercellese). Ritmi che, inevitabilmente, arrecano stanchezza ripercuotendosi sulla vita privata e, potenzialmente, anche professionale. Fondamentale, dunque, il riposo, per una maggiore e migliore resa lavorativa, oltre che per il benessere psicofisico.

Inoltre, proprio in considerazione della tipologia di impegno e dedizione, che va oltre la dimensione routinaria dei tradizionali protocolli, non è pensabile standardizzare i tempi e metodi che definiscono gli organici. Ancora nessuna novità circa i bandi promessi dalla direzione per rafforzare l’organico, ma solamente l’invito “a tenere duro”. Nel frattempo, medici e infermieri, spinti dal loro grande senso di responsabilità per una professione che è una vera e propria missione, non si esimono dal mettere quotidianamente a disposizione tutto il tempo e l’energia possibile, per garantire la necessaria assistenza, la dovuta strategia e l’immancabile empatia umana che, spesso, per il malato, ha una valenza di primaria importanza. Il valore aggiunto dell’Hospice è, infatti, racchiuso proprio nell’etica di fine vita, che consente ai malati terminali di morire con dignità. Un approccio che va oltre l’aspetto clinico e che, entrando in empatia col malato, fa suoi tutti quegli accorgimenti che contribuiscono a sollevargli l’anima fino all’ultimo respiro.

Tra gli altri, anche John, il giovane ghanese diventato “famoso” dopo essere stato menzionato da Papa Francesco all’Angelus, ha potuto beneficiare di questo particolare percorso, che gli ha permesso di interiorizzare la sua condizione e di poter contare su un piano terapeutico (comprensivo del controllo del dolore) messo a punto durante il ricovero e grazie al quale ha potuto affrontare un viaggio di 10 ore per raggiungere la sua terra e riabbracciare la sua famiglia. 

Era stato durante la sua breve permanenza in Hospice che, grazie al lavoro di tutta l’equipe e dello psicologo Fabrizio Pace, John aveva espresso il desiderio di tornare a casa; desiderio esaudito in collaborazione con un gruppo di vignalesi a lui vicini. 


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