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Si salva la chiesa dell'insigne abbazia

L'abbazia di Lucedio è una delle più insigni istituzioni monastiche medievali. Venne fondata nel 1123, solo venticinque anni dopo l'istituzione dell'ordine di Citeaux in Borgona e la seconda in Italia dopo Tiglieto, prima della moltiplicazione delle abbazie cistercensi avvenuto nel decennio 1135-1145, in seguito al secondo viaggio di San Bernardo di Chiaravalle verso Roma. Purtroppo della antica chiesa abbaziale è rimasto ben poco. Anche se è noto, grazie ad una planimetria realizzata nel 1722, pochi anni prima della distruzione, il tipico schema lombardo adottato dai cistercensi, come attesta il volumetto intitolato "Abbazia di Lucedio. La storia. Visita guidata. Il restauro" pubblicato dalla Sangiorgio Editrice per conto della Provincia di Vercelli che ha curato i testi. «Dal grande cancello, che immette nel­la prima corte del principato di Lucedio, è visibile la facciata della chiesa sette­centesca di Santa Maria. La demolizio­ne della chiesa medievale originaria ini­ziò nel 1728 e solo dopo diversi anni si costruì il nuovo edificio religioso. I la­vori, che presero avvio nel 1766 e du­rarono circa tre anni, furono promossi dall'ultimo abate commendatario di Lu­cedio, il cardinale Delle Lanze, e furono diretti dal capomastro Giovanni Batti­sta Felli, su progetto di un monaco ci­stercense: l'architetto milanese Valente de Giovanni». E poco dopo si legge: «La pianta, di forma ret­tangolare, presenta gli angoli smussati. La navata unica è movimentata da cap­pelle laterali, poco aggettanti, sormon­tate da matronei, ed è coperta da una volta costolonata interamente affresca­ta. Tre gradini ed una balaustra divido­no l'aula dalla zona presbiteriale, chiu­sa da un'abside. L'interno è stato abbel­lito con decorazioni in stucco dall'arti­sta luganese Giuseppe Cappia, che en­trò nel cantiere nel 1768: egli impiegò un anno per completare le finissime de­corazioni sia delle pareti interne sia del portico esterno. Quest'ultimo, in stile ba­rocchetto, abbellisce l'elegante faccia­ta, suddivisa in due ordini, e sormonta­ta da un fastigio centinato». Resta, per fortuna, il campanile, ben visibile da lontano nella inconfondibile forma della torre ottagonale. Fu costruito a più riprese su una base a pianta quadrata coeva alla chiesa originaria, rinforzata da poderosi contrafforti sporgenti agli angoli esterni. La torre, che raggiunge l'altezza di trentasei metri, ha lati alterni di diversa lunghezza, è suddivisa in quattro ordini delimitati da fasce marcapiano con decorazioni in cotto tipiche dello stile romanico: eleganti archetti pensili e fregi dentellati. Anche i quattro ordini della torre si ispirano a sistemi costruttivi tipici dell'architettura romanica, con una progressiva apertura delle finestre: semplici feritorie nella prima specchiatura, monofore con strombature nelle due centrali, eleganti bifore sostenute da esili colonnine con capitelli a crochet nella cella, dove il nuovo castello di campane accoglie il visitatore ripagato della faticosa salita da un invidiabile panorama. - Dionigi Roggero- UNA SALITA PANORAMICA Centocinquantasei gradini e siamo sospesi sulle risaie...... La puntata di questo «viaggio» ci porta allo storico complesso abbaziale di Lucedio, in particolare alla chiesa di Santa Maria in corso di restauro in base a un «progetto pilota»: ce ne parla il vice presidente della Provincia (Vercelli) e assessore alle grandi opere Marco Frà (da Borgo Vercelli, per noi casalesi un «Borghino» che viene tutti gli anni in pellegrinaggio al Duomo di Casale in ricordo di un voto anti peste). Con un rogito del 2003 veniva risolto il nodo della proprietà della chiesa (che aveva ad esempio impedito l'utilizzo dei fondi Enel pro restauro) tra l'Arcidiocesi di Vercelli e i proprietari di Lucedio (la contessa Clara Cavalli d'Olivola) con una cessione per un simbolico euro alla Provincia della chiesa e 5000 metri di terreno circostante (che creano un accesso indipendente e un centroinformazione). Veniva costituito anche un Comitato promotore per lo studio e la valorizzazione dell'Abbazia e delle Grange di Lucedio con lo stesso Fra presidente (direttore l'arch. Gaietta). Partiva dopo appositi studi il primo cantiere di restauro ai tetti, lotto da 980 mila euro curato dall'arch. Andrea Megna con l'ing. Vito Loprieno. Poi era la volta degli esterni (con scavo archeologico) e del campanile ottagonale per un milione e 270 mila euro direttore dei lavori l'arch. Raffaella Rolfo di Trino che è anche co-progettista con l'arch. Carla Bartolozzi di Tetrastudio. La Rolfo ha al suo attivo il restauro del Duomo di Casale, del castello di Trino, della vicina Madonna delle Vigne, il progetto di recupero della chiesa di Gazo per citare posti a noi vicini. Tornando alla chiesa abbaziale per fortuna si continueranno gli interventi: lunedì a Vercelli in Provincia verrà firmato un accordo di programma per il restauro della facciata (spesa prevista mezzo milione di euro) con la regione rappresentata dalla presidente Mercedes Bresso che poi visiterà Lucedio. Noi la «battiamo» martedì pomeriggio accompagnati dallo stesso arch. Rolfo e della sua collaboratrice arch. Marta Buffa di Pertengo. Lucedio si raggiunge facilmente da Trino. La chiesa bianca (oggi) e il campanile-torre spiccano sul verde delle risaie. Parcheggiamo a lato dell'edificio sacro all'ombra del porticato che ospita un piccolo box informativo. Primo giro esterno che ci permette di ammirare, oltre agli accurati restauri che hanno tolto i tamponamenti ed esaltato i decori, anche una cosa che ci ha sempre intrigato i «bacini ceramici» in questo caso sopra la colonna delle bifore (quando saliamo i ponteggi di restauri li fotografiamo da vicino, ad esempio l'ultimo «piatto» sul Duomo di Casale raffigura S. Evasio). Questi bacini oltre a svolgere una funzione di alleggerimento architettonico hanno un valore rituale legato ai pellegrinaggi nei luoghi santi (qui troverete ristoro, un piatto), a Lucedio un bacino del lato Sud presenta caratteristiche orientaleggianti e la mente corre a quando nel XIII secolo era un importante centro di potere economico e religioso con influssi fino a Salonicco e in Antiochia. Da aggiungere che il ceramista Carlo Bernat di Albisola ha oggi realizzato con tecnica antica la copia di un bacile del lato Est in sessanta pezzi numerati, una chicca ricordo. Entriamo da una porticina laterale e arriviamo al transetto a fianco della salita alla torre, notiamo gli scavi archeologici (e per farli era stato rimosso un sarcofago, nella sepoltura solo gli speroni e un cartiglio che parlava di una ricognizione del 28 ottobre 1933), i resti di un altare (dietro si apriva la «porta dei morti») e di un affresco datato XV secolo, una «Maddalena». Il restauro della torre è stato completato da una scala interna in struttura metallica ancorata da quattro pendenti alla volta, saliamo: dalla porta un totale, appunto, di centocinquantasei gradini, otto piani di un condominio. All'arrivo dalle bifore (le colonne più antiche sono in arenaria) la vista spazia subito sotto sul complesso dell'abbazia (ma bisognerebbe sostituire una porzione di tetti in eternit...), poi da una parte arriva a Madonna delle Vigne nel verde del Bosco della Partecipanza, ai colli del Monferrato, dall'altra alle risaie fino al Rosa (anche qui bisognerebbe non vedere le due torri circolari della centrale di Leri...). Ha il suo fascino la cella campanaria in legno con due grandi campane. Suggeriamo a Raffaella Rolfo di creare nella fitta rete antipiccione un piccolo oblò per l'obiettivo delle macchine foto. Da aggiungere che i turisti possono salire fin qui alla prima domenica del mese. Ancora un salto in chiesa, vi entrammo a nostro rischio molto tempo fa per la cortesia del conte Paolo Salvadori. Rimane l'impressione di grandiosità e di «tristezza» per l'intuizione di come doveva essere splendida di affresch, tele, statuei e stucchi dorati. In ogni caso dopo tanti anni di pioggia dai tetti rotti ora che il primo salvataggio è compiuto è urgente fissare dipinti e decori che stanno cadendo. Ancora la visione di un grande ambiente da risanare: la cappella dell'abate o sacrestia nuova e ultima foto alla facciata dove due lapidi ricordano sei sepolture di marchesi del Monferrato. Quanta storia che (per fortuna) riprende vita... Luigi Angelino COMITATO Il «Comitato per lo studio e la valorizzazione dell'Abbazia e delle Grange di Lucedio» è presieduto da Marco Fra, diretto e coordinato dall'architetto Giorgio Gaietta, e costituito da: Paolo Salvadori di Wiesenhoff, Gisella Cantino Wataghin, Riccardo Nelva, Francesco Pernice e Gianni Bergadano, Carla Enrica Spantigati e Massimiliano Caldera, Marina Sapelli Ragni e Filippo Maria Gambari. Il recupero della chiesa abbaziale è stato accolto nell'ambito dei progetti finanziati dall'Unione Europea con il coinvolgimento dell'Università del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro e del Politecnico di Torino, Facoltà di Ingegneria di Vercelli. Info: visite al campanile e all'area della chiesa abbaziale, ogni prima domenica del mese (ad eccezione di agosto e gennaio); prenotazioni, Provincia di Vercelli: tel. 0161 590262. FOTO. Nel lancio la copertina del libretto con il campanile ottagonale. La chiesa, a sinistra la restauratrice arch. Rolfo, la cella campanaria e un bacino ceramico architettonico

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