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  • 20 gennaio 2009
  • Casale Monferrato

La Passio di S. Evasio, "africana" sotto un testo medievale - La ricerca di Anna Cafissi (Università di Firenze)

Questo intervento (tenuto a un congresso ad Olbia, ndr.) è volto essenzialmente a far conoscere agli africanisti la recente scoperta di una nuova fonte, cioè di un testo finora sconosciuto ed appartenente alla letteratura martiriale africana. Si tratta di un’agiografia che ha per argomento alcune questioni storiche riguardanti l’Africa: la “Passio sancti Evasii”. PASSIO NASCOSTA Va subito chiarito che la passio africana è nascosta sotto un testo medievale, un’agiografia già nota e pubblicata in BHL 2792, ripubblicata da ultimo da Angelo Coppo (1965), che ne ha fatto anche in tale sede l’edizione critica. L’identificazione del testo non è stata semplice ed ha richiesto uno studio lungo ed approfondito, che ha portato alla pubblicazione di un mio articolo su “Hagiographica” 2007. I contributi sull’argomento non sono numerosi: ricorderò solo nel secolo scorso quello appena menzionato di Padre Coppo ed un’ampia trattazione del medievista Aldo Settia nel 1973. Siamo di fronte ad un’agiografia fuori del comune rispetto ad altre. Intanto si presenta articolata su due piani: nel primo si narrano infatti le vicende del passato, cioè la vita ed il supplizio del santo, che ho ritenuto riferibili al 259 d.C., circa, al tempo della persecuzione di Valeriano; nel secondo piano si narrano invece le vicende storiche più recenti, cioè la distruzione di Cirta, attorno al 310 d.C., e la sua ricostruzione al tempo di Costantino. A tal proposito, anzi, la narrazione risente pesantemente non solo della propaganda filo-costantiniana del periodo, ma anche della posizione dei letterati cristiani contemporanei a riguardo dell’imperatore. E’ stupefacente, ripeto, che un’agiografia presenti una tale struttura e che per certi versi, ripeto, rappresenti una vera e propria “fonte” storica. La Passio , nella sua forma definitiva (quella medievale) narra le vicende della vita e la morte di un vescovo martire, Evasio, che è ancor oggi il santo protettore di Casale Monferrato, città sul Po, in provincia di Alessandria, che nel medioevo (dal IX sec.) ebbe da lui il nome di Casale Sancti Evasii. L’agiografia è tramandata da alcuni codici medievali (casalesi, vercellesi e novaresi, datati dal Coppo dal X sec. in poi), il cui archetipo, stando ai risultati del mio studio, risale all’età carolingia, a una data successiva al l’838. Vi si narrano la vita, i miracoli ed il martirio di Evasio, che fu, stando a questa versione del testo, un vescovo di Asti, vissuto al tempo del re longobardo Liutprando. Il santo sarebbe stato originario di Benevento. Il suo episcopato durò per 28 o, stando ad alcuni codici, 38 anni, ma fu interrotto da una sollevazione popolare suscitata da Arriani. Cacciato dalla sua sede vescovile, Evasio vagò per le campagne, finchè giunse alla SEDULA CIVITAS, dove fu imprigionato e processato dal duca della città, ATTUBALUS, che lo mise a morte. La sentenza fu eseguita ed il santo fu decapitato insieme al suo diacono, Proietto ed altri 145 martiri. Successivamente il dux Attubalus si pentì e convertì al cristianesimo grazie all’intervento miracoloso di S. Evasio. Tempo dopo, ecco il piano più recente degli eventi, un altro dux, Gaunius, che si era ribellato al re, rase al suolo la Sedula civitas e cercò inutilmente la tomba del santo per distruggerla e dare alle fiamme le sue reliquie. Ma il re Liutprando vide in sogno Evasio che lo rassicurò sull’esito del conflitto. Il re riuscì così a vincere i suoi nemici e quale segno di gratitudine e di devozione fece ampliare la chiesa nella "sedula civitas", la dedicò al beato Evasio e fece una generosa donazione alla comunità dei canonici c he avevano cura di essa e delle reliquie. Dell’ampliamento della chiesa dedicata al martire si occupò lodevolmente il presbyter Natale, cui è dedicato il capitolo finale del testo (il XII). L’agiografia, che ha richiesto uno studio operato sia sul versante filologico, che su quello onomastico, toponomastico e storico, appare essere l’adattamento, effettuato in età carolingia in Casale, di una passio “epica”, secondo la definizione di Delehaye, africana scritta al tempo di Costantino, anzi più precisamente fra il 225 ed il 337 d.C. in Cirta-Constantina. La matrice africana del testo è rivelata dall’onomastica: Evasius ed Attubalus sono cognomina precipuamente presenti nelle province africane; il gentilizio Gaunius, anche se di origine etrusca secondo lo Schulze, è risultato esser stato portato da alcuni importanti personaggi romani storicamente attestati di Numidia e da altri elementi. La menzione degli Arriani, più volte ricordati nel testo, ci fa invece pensare al concilio di Nicea e ci aiuta, assieme ad altri elementi, a collocare la composizione della Passio in data successiva a tale evento. Siamo di fronte a uno di quei testi “stratificati” di cui ha parlato egregiamente Paolo Chiesa negli “Analecta Bollandiana” del 1998, a proposito della Passio Peregrini martyris in urbe Bolitana . L’evento narrato, cioè le vicissitudini della vita e la morte del santo, si colloca a nostro avviso, come ho già detto, al tempo della persecuzione di Valeriano (258-60 d.C.). La Passio , come si è detto, è estremamente importante e degna di segnalazione in questa sede per diversi motivi: 1°, si va ad aggiungere al numero piuttosto esiguo, ma di alta qualità, delle Passiones africane; 2°, ci fornisce non solo il nome di alcuni martiri africani finora sconosciuti (Evasio, Proietto), la cui storicità è però confermata anche dalla loro menzione sia nel martirologio di Gelolamo (nel mese di giugno), che nel più antico calendario di Cartagine, ma ci dà anche un’ ulteriore testimonianza relativa alla persecuzione di Valeriano in Numidia ed al numero estremamente alto di martiri (si parla di ben 147 vittime utriusque sexus, come riferisce il testo a VIII, 13). 3°, presenta una sorta di appendice, che occupa circa 1/4 della narrazione (IX-XII), dove si narrano gli eventi successivi alla morte del martire. Questa parte, che deve aver subito purtroppo dei tagli nella versione medievale, soprattutto al cap. X, è estremamente importante perché accenna alla rivolta africana di Domizio Alessandro ed alla distruzione di Cirta ad opera di Rufio Volusiano, attorno al 310 d.C. ( cap. X), nonché alla ricostruzione di Cirta, e costituisce, a nostro avviso, una vera e propria fonte sull’argomento, fornendo addirittura il nome di uno dei protagonisti della vicenda, un non meglio identificato al momento, dux Gaunius (personaggio non menzionato nella storiografia antica su tale evento, ma che di per sé meriterebbe uno studio a parte). COSTANTINO E' RE LIUTPRANDO A parte la sostituzione di alcuni personaggi, quale l’imperatore Costantino col re Liutprando, la passio mantiene gran parte del testo originale (dal III cap. in poi la narrazione è stilisticamente omogenea e dirò sin da ora che si tratta di una prosa estremamente ampollosa), l’onomastica (Evasius, Attubalus….) ed in parte la toponomastica dell’agiografia rivelano senza ombra di dubbio la matrice africana, anzi, più precisamente, numida del testo: si menzionano ad es. un locus Orrianus, un locus Volusiuanus, un locus Fabrianus; Cirta è definita sempre come sedula civitas, espressione che ben si adatta alla capitale numida, città cosmopolita e affaccendata, e la cui identificazione con Casale Monferrato ha dato luogo nel tempo alle più svariate ipotesi, fra cui quella che la città nell’alto medioevo si fosse chiamata Sedula.. La rivisitazione medievale, che, come si è detto, data all’età carolingia ed è avvenuta a Casale Monferrato (allora Casale Sancti Evasii) ha trasformato il santo africano in un vescovo di Asti, martirizzato al tempo del re longobardo Liutprando. Ma venendo più propriamente al tema del congresso (”I luoghi e le forme dei mestieri e della produzione nelle province africane”) ed al titolo della relazione, cioè “Attività industriali ed artigianali nella Passio S.Evasii”, va rilevato come nel testo in questione emergano alcuni elementi significativi: al cap. II, 1 sgg. si racconta il miracolo compiuto dal santo nei confronti di un certo Eugenius, sapinorum percussor, alla lettera “tagliatore di abeti”, e della sua domus. Si ricava dal passo che non si tratta non del laboratorio di un semplice taglialegna, ma di una vera e propria segheria con 78 dipendenti, in gran parte schiavi, che costituivano appunto la domus del percussor Eugenius. NELLA NUMIDIA ROMANA E’ una testimonianza importante a riguardo di questo tipo di attività nella Numidia romana, non foss’altro perché ci dà un’idea sia pure approssimativa del numero di lavoratori addetti al taglio del legname e del tipo di legname, l’abete, che veniva tagliato e lavorato. Infatti, come è noto, i boschi di cedro e di abete rappresentarono un nodo importante dell’economia fenicio-punica: non solo il loro legno serviva per la costruzione di navi agili e robuste, ma era anche largamente esportato, anche in epoca romana. Non stupisce inoltre il riferimento all’abete: ne esiste una varietà, detta abies numidica, che cresce sui monti dell’Atlante, negli attuali Marocco ed Algeria (Cirta-Constantina era una città numida), nel massiccio del Babor ed anche sul monte Aurès (Aurasius Mons) a meridione. Aggiungo inoltre che ho motivo di credere che nello stabilimento lavorassero anche dei condannati ai lavori forzati, come dovette essere, appunto, il vescovo-martire. STUDIO DELLE RELIQUIE EVASIANE Infatti nel novembre 2003, in occasione di un congresso dedicato a S.Evasio tenutosi a Casale, le reliquie del martire, conservate nel duomo della città, sono state oggetto di uno studio anatomo-patologico da parte di una équipe dell’Università di Milano (Labanof), guidata da Cristina Cattaneo. Fu proprio la studiosa in tale occasione a rilevare come le ossa del martire mostrassero dei segni di usura alle spalle e agli arti superiori, tipici di chi sia stato sottoposto a notevoli sforzi per un lungo periodo: un dato molto significativo se ricollegato ad una eventuale condanna di Evasio ai lavori forzati. CONDANNATO AI LAVORI FORZATI Potremmo forse addirittura ipotizzare che la condanna ai lavori forzati in Numidia non si scontasse solamente ad metalla, cioè nelle miniere o nelle cave, ma che i condannati fossero talvolta inviati a a tagliare il legname. Ancora si menziona un locus Orrianum antiquitus nominatus, una località cioè dove esistevano granai (horrea). Ora nell’Africa romana, in effetti, troviamo diverse località con tale nome: Horrea Caelia, Horrea Anicensia sono del resto ancor oggi ben conservati. Ricordo come Rostovzev abbia messo in rilievo come gli imperatori del II e III sec. mostrarono un grande zelo nel costruire magazzini frumentari nelle province, soprattutto quelle che producevano grano: naturalmente con lo scopo principale di facilitare l’approvvigionamento della capitale e delle truppe. Nel 199, ad es., la città numida di Cuicul edificò ampi horrea. Anche Cirta fu centro di un ampio distretto agricolo che produceva ed esportava gran quantità di grano. Non meraviglia dunque che la passio, la cui azione si svolge appunto nel territorio di Cirta, ricordi tale locus Orrianum. Ancora, a VI, 1 ss., si parla del miracolo compiuto dal santo vescovo nei riguardi di un certo Diogenius, un artifex che viveva in loco Fabriano. Questo prediale, evidentemente derivato per contrazione da Faberiano, non si connota necessariamente come africano. Ma nell’edictum de pretiis di Diocleziano ci ha tramandato la notizia curiosa dell’esistenza di bulbi afri sibae (i.e. sive) Fabriani maximi. Si trattava di quelle grosse cipolle che, preparate con olio, aceto e salsa di pesce, rappresentavano un cibo pregiato. La Passio S. Euasii, in conclusione, risulta estremamente importante sul piano storico e ricca di informazioni e di spunti per la ricerca. Anna Cafissi Università di Firenze -sintesi di una relazione tenuta a un recente convegno di Olbia organizzato dall'Università di Sassari. FOTO. Nel lancio il viso di S: Evasio in una ricostruzione della dottoressa Cattaneo dallo scheletro conservato in DUomo e Anna Cafissi

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