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25 aprile

“Bella ciao” ricorda che nella vita ci sarà sempre «l’invasor»

"Mi piace pensare che Bella Ciao non sia una canzone di resistenza e, neppure, di resilienza" così Meni

Nell'anniversario della Liberazione che, quest'anno, da pochi mesi, ha visto tutti i popoli risvegliarsi all'alba di un nuovo invasor di nome Coronavirus, una riflessione sul significato del canto di "lotta" Bella Ciao, ce la offre Fabrizio Meni, docente di Storia e Filosofia all'Istituto Superiore Balbo.

"Mi piace pensare che Bella Ciao non sia una canzone di resistenza e, neppure, di resilienza, intesa come adattamento e attesa. Bella Ciao parla di altro: ci dice chiaro e tondo che nella vita di ognuno, prima poi, può arrivare l'invasor" esordisce Meni.
Fin troppo facile, oggi, pensare Covid19 come invasor della vita: invasore che ha seminato dolore e morte, costringendo tutti a stravolgere le abitudini e a ripensare al presente e al futuro.
"Ma l’invasore c’è da sempre", sottolinea il prof: "c'è quando muore un nostro caro, quando ci sentiamo traditi, quando perdiamo un'amicizia, quando manca il lavoro, quando cadiamo in depressione e non abbiamo la forza di sperare nel futuro e nella realizzazione dei nostri sogni. L’invasore è ogni calamità naturale o umana, è ogni catastrofe grande o piccola, che ci chiama a fare scelte coraggiose.  È l’emergenza, che nella vita che ci chiama ad emergere, ad alzarci e decidere, a volere che il partigiano ci porti con sé".
Per Meni, uscendo dal contesto storico, il partigiano è colui che sceglie di non essere indifferente, che decide di agire, di prendere posizione, di affrontare la calamità o la catastrofe, perché c’è sempre una strada, una via d’uscita, anche quando la notte si fa buia. "Il partigiano è chi si assume responsabilità e corre rischi. Chi si sente di morire" e precisa: "sentirsi di morire, non è sentirsi morire, ma cogliere che non siamo invincibili e immortali. E allora, dalla coscienza di questa nostra vulnerabilità, può capitare che nasca la forza di cui abbiamo bisogno: il coraggio di alzarci una mattina e, insieme, andare a combattere l'invasor".

Parla poi di emergenza, intesa come urgenza ad emergere dalla tranquillità, dall'attesa e dall'indifferenza, "prendendo atto della precarietà umana e della necessità di tornare ad essere umani, dando valore ai sentimenti, mettendo le relazioni al centro, anteponendo gli affetti, stando accanto a bambini e anziani e pensando a chi muore di fame, di guerra e di violenza".

Il Canto Bella Ciao vada, così, a tutti coloro che "una mattina, si sono svegliati e “sentendosi di morire” sono partiti, come partigiani; vada a medici, infermieri, operatori sanitari e della protezione civile, a sindaci, insegnanti, farmacisti, dipendenti dei supermercati e a tutti quanti fanno qualcosa, anche solo abbracciando uno strumento o cantando dai balconi. E non, a coloro che, inondano tutti i canali di comunicazione di discorsi, trattano la vita come se fosse solo il risultato di equazioni matematiche...".   
Dopo il Covid_19 ci saranno altri invasori. Parla di cambiamenti climatici Meni e richiama al coraggio di adoperare scelte responsabili per " meritarcelo davvero quel fiore sulla tomba lassù in montagna" e conclude "perché il ritornello Ciao, Ciao Ciao,  non è un addio e, questo, fin da piccolo lo avevo sempre capito".

 

 - nella foto la celebrazione del 25 aprile (repertorio)