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Un “unconventional” cello

Il concerto di Sandro Laffranchini alla Filarmonica

 

Un concerto particolare per molti versi quello di venerdì 12 dicembre per la stagione dell’Accademia Filarmonica di Casale Monferrato. Non poteva che essere così, visto anche l’abbinamento con la classica cena degli auguri di Natale che riunisce i soci dell’Istituzione nata quasi 200 anni fa. Quindi cravatte scure, parure eleganti e qualcosa di insolito per soddisfare anche un raffinato piacere intellettuale. Tutti elementi che si sposano bene con l’arte violoncellistica di Sandro Laffranchini e la sua proposta di un “unconventional” cello. Il programma accostava classici dello strumento solista con composizioni originali e suggestioni più pop: Morricone, Paolo Conte e una suite dai Beatles…le cose, però, sono state ancora più interessanti delle premesse.

Ma andiamo con ordine, dopo i saluti di rito (e gli auguri) della presidente Serena Monina e del sindaco Emanuele Capra, Sergio Marchegiani introduce il concerto ricordandoci che stiamo ascoltando il primo violoncello dell’Orchestra del Teatro La Scala di Milano, incarico a cui lo destinò Riccardo Muti nel 1999. Sarebbe riduttivo, però, definire Laffranchini esclusivamente uno straordinario musicista, è, prima di tutto, un grande cesellatore di suoni.

Persino quando si cimenta con la parte decisamente più “conventional” del programma – la terza suite di Bach - si percepisce il suo modo di concepire ogni sezione dell’opera come un blocco di materiale da plasmare in maniera differente. Prima di affrontare ogni tempo, prende un grade respiro e cambia persino la propria postura. La sua è una riflessione sul valore dei singoli suoni e sull’originalità delle loro connessioni che diventa evidente nel cesello con cui destruttura melodie arcinote, come la colonna sonora di Nuovo Cinema Paradiso, “Via con me”, o le più canzoni di Lennon e McCartey. Attenzione: la sua versione di “Michelle” per violoncello non è certo quella che potrebbe accompagnare un evento per la fashion week milanese, qui si vola altissimi. Laffranchi smonta i brani nei loro mattoncini e li rimonta come i Lego. Siamo nel solco del neoclassicismo di Stravinsky, nei lavori Berio o in certi giochi che faceva il quartetto Kronos negli anni 90 con le canzoni di Elvis. Musica che costruisce musica.

Al contrario, quando propone le sue composizioni originali, Laffranchini è straordinariamente lirico. La sua “Karma nella foresta” è un viaggio di larghe arcate con tanto di uccellini cinguettanti. La vera gemma del concerto, però, è il bis richiesto a gran voce. E’ il Capriccio dalla Sonata per violoncello solo di Ligeti: difficoltà inaudite (è inspirato non solo ai capricci di un’amata, ma a quelli di Paganini) e un dialogo che occupa l’intero spettro sonoro, reso con straordinaria chiarezza. Si sfiora il trascendente. Quest’uomo può davvero suonare di tutto.

Alberto Angelino