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Domenica 24 al Cuttica di Alessandria
«I giochi di simulazione strategica oggi e il modo in cui è cambiata la guerra»
A Palazzo Cuttica di Alessandria, domenica 24 marzo, alle ore 17, gli storici Roberto Coaloa e Paolo Palumbo interverranno sul tema: «I giochi di simulazione strategica oggi e il modo in cui è cambiata la guerra». L’incontro fa parte della rassegna «Giocare con l’Imperatore» a margine della mostra «Crepax + Napoleone. Marengo e altre battaglie di carta». Questo appuntamento è l’ultimo della rassegna curata da Roberto Coaloa, storico e professore di Storia dei Paesi danubiani e dell’Europa orientale all’Università di Paris IV Sorbonne, collaboratore, con articoli sulle pagine culturali, di “La Stampa”, fondatore a Parigi di Sneige, associazione che si occupa di Relazioni Internazionali: «pour le rapprochement des peuples en froid». Il penultimo colloquio, che si è svolto domenica 17 marzo, con Coaloa e il giornalista Marco Zatterin, vicedirettore di “La Stampa”, è stato seguito da un numeroso pubblico e dal Sindaco di Alessandria, Giorgio Abonante. L’incontro di domenica 24 marzo con gli storici (a ingresso libero e gratuito) si terrà presso la Sala Napoleonica di Palazzo Cuttica. Seguirà una visita guidata di Coaloa e Palumbo alla mostra di Guido Crepax.
Ospitiamo dello storico Coaloa, nostro apprezzato collaboratore sulle pagine di “Il Monferrato”, un commento sull’ultimo capitolo della fortunata rassegna “Giocare con l’Imperatore”.
In questo periodo di nuove guerre, ricordare il passato, giocando con i soldatini di carta del grande artista Guido Crepax, può far riflettere sulle atroci follie dell’uomo, nel sovvenire di Solferino e di Jean-Henry Dunant, il padre della più importante organizzazione sanitaria internazionale, la Croce Rossa.
Con lo scrittore Lev Tolstoj (che aveva combattuto nella guerra d’Oriente, quella di Crimea, dove i russi lottavano, nel 1855, contro i piemontesi sotto le mura di Sebastopoli), ripetiamo che «ogni guerra, anche la più mite, con tutte le consuete conseguenze, la distruzione, le rivolte, i saccheggi, le rapine, gli stravizi, le uccisioni, con le scuse della necessità e della legittimità, con l'esaltazione delle gesta militari, con l'amor della bandiera e della patria, con le finte premure pei feriti, perverte in un sol anno più gente che non migliaia di saccheggi, d'incendi, di omicidi commessi durante un secolo da persone isolate spinte dalle passioni».
Lo storico ama il suo mestiere perché considera la storia come il testimone fedele della verità, la buona e prudente consigliera (Rollin diceva: la source des bons conseils et de la prudence), la regola della condotta e dei costumi. Eppure lo storico soffre perché nelle vicende umane si ripetono sempre gli stessi errori poiché gli uomini di tutte le epoche si rassomigliano. La storia, quindi, è utile non già perché vi si legge il passato, ma perché vi si legge il futuro. Non voglio essere un profeta di sventura, ma di tutti i presagi sinistri, il più grave, il più infallibile è l’ottimismo.
Ora assistiamo a guerre inaudite; i governi anziché fermarle gettano benzina sul fuoco, sperando nel prevalere delle loro giuste cause. Nessuno propone soluzioni pacifiche e, tuttavia, la maggioranza è ottimista, cioè cieca. Pochi si pongono domande urgenti: cosa succede in Ucraina? Soprattutto, cosa accadrebbe in Asia se la Cina dovesse invadere Taiwan?
SCENARI DI GUERRA OGGI
Cosa succederebbe se la Cina dovesse invadere Taiwan o attaccare con i suoi Chengdu J-20 (uno dei caccia di quinta generazione prodotti dalla Cina) un bersaglio nemico? La Cina è considerata una potenza militare regionale e una superpotenza sempre più protagonista a livello mondiale. Il suo esercito è immenso e conta su due milioni e duecentocinquantamila unità in servizio attivo e da una forza strategica denominata «Secondo Corpo di Artiglieria», che gestisce il deterrente nucleare cinese.
Lo scenario che si aprirebbe sarebbe indefinibile, difficilissimo da prevedere date le numerose variabili in campo. È indubitabile che l’Asia intera si ritroverebbe ad essere l’epicentro di un conflitto regionale dalle conseguenze globali. Per questo motivo, per prepararsi ad un simile contesto, lo scorso 10 marzo, Stati Uniti d’America e Giappone hanno avviato un’esercitazione congiunta della durata di tre settimane, simulando una «emergenza Taiwan».
Si chiama «Iron First» il progetto di manovre annuali di Washington e Tokyo. Esso comprende energiche sedute di addestramento anfibio comune per lavorare congiuntamente in vista del contenimento delle molteplici minacce presenti sul grande teatro tra l’Oceano Indiano e quello del Pacifico. Gli obiettivi principali, in ogni caso, coincideranno con il miglioramento delle capacità americana e giapponese di risposta nelle isole Ryukyu, con un occhio di riguardo verso un’emergenza taiwanese. Il comandante del secondo reggimento anfibio a schieramento rapido del Giappone, il colonnello Hajime Tsuji, ha precisato: «Mettendo in pratica una serie di azioni complete, miglioreremo la capacità del Giappone e degli Stati Uniti di effettuare operazioni anfibie congiunte per la difesa delle isole nella regione sudoccidentale e dimostreremo la forza dell’unità dell’alleanza Giappone-Usa». Il Corpo dei Marines degli Stati Uniti e le Forze di autodifesa terrestri giapponesi hanno simulato la riconquista di un'isola remota a Okinoerabu nella prefettura di Kagoshima. Secondo quanto riferito dall'agenzia nipponica Kyodo News, questa è la prima volta che le forze giapponesi di autodifesa terrestre conducono un addestramento congiunto con l’esercito americano. L'esercitazione «Iron First», in ogni caso, si concentra su tiro avanzato, ricognizione anfibia, assalti di fuoco e manovra, sostegno logistico e medico bilaterale, operazioni antincendio e supporto aereo ravvicinato. Le unità e le navi statunitensi partecipanti includono il Combat Logistics Battalion 31, il Battalion Landing Team 1/1, il Marine Fighter Attack Squadron 121, lo Squadrone anfibio 11 della Marina statunitense e il molo di trasporto anfibio USS Green Bay. Il Marine Medium Tiltrotor Squadron 265 Reinforced sta supportando l'esercitazione con gli elicotteri CH-53 Sea Stallion, UH-1Y Venom e AH-1Z Viper, mentre gli MV-22 Osprey dello squadrone sono rimasti a terra (insieme a tutti gli Osprey militari statunitensi). Le unità e le navi giapponesi includono invece il secondo reggimento anfibio a schieramento rapido, la divisione navi da sbarco 1 e la nave da sbarco cisterna JS Kunisaki.
L’esercito della Cina, invece, sta conducendo pattugliamenti nei pressi di Taiwan in media ogni sette o dieci giorni, provando di «normalizzare le loro attività militari», sostengono i capi militari di Taiwan, che, lo ricordiamo, hanno un esercito atipico concentrato sulla difesa e sul contrattacco contro l’assalto anfibio e la guerra urbana. Se le esercitazioni «Iron First» avvengono in relazione a Taiwan, nei pressi dell’isola, negli ultimi giorni, la situazione è apparsa assai movimentata. Aerei militari cinesi, per un totale di diciotto velivoli, hanno infatti attraversato la linea mediana dello Stretto di Taiwan. Si tratta del numero più alto fatto registrare finora, secondo quanto riportato dal ministero della Difesa di Taipei. L'ultimo precedente risale al 2 novembre scorso, quando i caccia furono venti e ben quarantatré aerei e sette navi da guerra cinesi sono stati registrati intorno all’isola. Come ha notato il New York Times, «per mezzo secolo, gli Stati Uniti hanno evitato la guerra con la Cina per Taiwan, in gran parte attraverso un delicato equilibrio tra deterrenza e rassicurazione. Ora questo equilibrio è andato in frantumi». Si tratta di un pezzo di quella che papa Francesco ha, a più riprese, chiamato la «Terza guerra mondiale a pezzi», il tassello più inquietante e scabroso perché chiama in causa le due superpotenze.
Chi scrive spera che la Cina arresti questi giochi di guerra, restando così fedele alle parole del presidente Xi, che - nel 2014 – affermò: «La Cina intende perseguire la soluzione pacifica delle controversie con altri Stati sovrani sui diritti e gli interessi territoriali e marittimi». Così come è auspicabile una non provocazione americana e giapponese. Lo storico Niall Ferguson sostiene che su Taiwan non c’è bisogno di agire perché tra dieci anni la Cina sarà nel caos. D’altro canto gli Stati Uniti d’America, che hanno dotato Taiwan, un decennio fa, di armi per diversi miliardi di dollari, farebbero un errore colossale intervenendo in Asia, avendo svuotato gli arsenali militari per la guerra in Ucraina. Gli Stati Uniti, comunque, sono da tempo un attore interessato della crisi in Asia. Non solo. Il presidente Biden ha recentemente firmato un sostegno di ottanta milioni di dollari a Taiwan per l’acquisto di armi americane. Un tassello di una strategia ben più ampia. Taiwan ha già ordinato armi statunitensi per un valore di oltre quattordici miliardi di dollari. Da notare che gli ottanta milioni di dollari non sono un prestito. Essi arrivano direttamente dai contribuenti americani. Per la prima volta in più di quaranta anni, Washington sta utilizzando il proprio denaro per inviare armi in un luogo che ufficialmente non riconosce. Ciò che sta accadendo nell’ambito di un programma chiamato Foreign Military Finance, lo stesso che dall’inizio dell’invasione russa ha consentito di inviare quattro miliardi di aiuti militari a Kiev, dopo essere stato utilizzato in passato per l’Afghanistan, l’Iraq, Israele e altri Paesi. Un carico che si cala in una ombra impossibile da spiegare.
Dobbiamo aggiungere che la situazione e il teatro di guerra in Asia sono così sconosciuti ed estesi che si complicano maggiormente se notiamo come in Ucraina, ad esempio, gli osservatori militari siano rimasti spiazzati dall’uso dei carri armati, che parevano un capitolo chiuso della storia delle grandi battaglie almeno da trenta anni. In Ucraina, poi, alla vecchia maniera di condurre la guerra si è aggiunta quella nuova, con l’uso massiccio di droni. La Cina è al passo di questa mostruosa modernizzazione della guerra: da una parte ha aggiornato la sua forza terrestre, sostituendo il suo ormai vecchio parco di carri armati sovietici con numerose varianti del moderno ZTZ-99, con moduli di corazzatura a forma di cuneo e un periscopio per il capocarro, e sistemi per migliorare il command and control warfare. Soprattutto la Cina è diventato il terzo più grande esportatore al mondo delle principali armi con un incremento del 143% rispetto al periodo 2005-2009. Questa crescita davvero infinita ha portato la Cina negli ultimi dieci anni a dover rallentare e poi fermare le esportazioni di droni e supercomputers. La Cina ha rafforzato il controllo del suo settore tecnologico in quanto cerca di evitare infiltrazioni di spie straniere, puntando sulla costruzione di aziende competitive e non dipendenti dall’Occidente.
IL RUOLO DEI WARGAMES NELLE GUERRE ATTUALI
Le nuove esperienze di gioco, ad esempio "Call of Duty" o "Medal of Honour", tra i più popolari, permettano al giocatore di ignorare qualsiasi strategia. Così il gioco risulta più cruento: una corsa violenta verso l’obiettivo. Rispetto a un tradizionale gioco strategico da tavola, il nuovo wargame appare completamente fuori dalla realtà.
Nel corso dei secoli, il volto della guerra, ha drammaticamente mutato la sua fisionomia. Questi cambiamenti hanno avuto risvolti drammatici soprattutto perché, dal secondo conflitto mondiale in avanti, la guerra ha sempre più coinvolto nella sua brutalità degli attori estranei agli eventi bellici. Sono nati nuovi paradigmi, come quello della “guerra ibrida” o dei “conflitti asimmetrici” che ben spiegano quale sia stata l’evoluzione del combattere nel XXI secolo. In questa escalation di brutalità umana, di taglio cesareo dell’umanità, poiché questo significa la guerra, la tecnologia ha occupato sempre più uno spazio determinante, ma senza sostituirsi pienamente all’uomo. Una serie di innovazioni che poco sono servite ad eliminare i cosiddetti “danni collaterali”. Giacché si parla di wargame diciamo subito che questi nuovi paradigmi sono difficilmente trasferibili in un ambito ricreativo, di gioco. Il passatempo tradizionale, come nel caso delle battaglie di Crepax, o “board game” (gioco da tavolo) poco si adatta a rivivere conflitti recenti come quelli combattuti nel deserto iracheno o sulle montagne afghane, che hanno sprigionato con violenza ogni spirito nefasto.
Il wargame da tavolo era utile per simulare guerre napoleoniche, battaglie che si svolgevano in spazi relativamente ristretti. Anche perché le regole del gioco prevedevano spazi replicabili su un tavolo e movimenti limitati anche perché le capacità di tiro, ad esempio di un fucile, erano non paragonabili all’attuale lunghezza di tiro di un missile o di altre armi di oggi. A questo punto interviene il supporto virtuale e tecnico, dove, osservando i giochi di ultima generazione, l’obiettivo si sposta su una partecipazione individuale alla guerra, vissuta in prima persona, come se fosse un ludo esotico o una battuta di caccia. Esperienze come “Call of Duty” o “Medal of Honour”, titoli tra i più giocati, spiegano bene questo recente punto di vista dove il giocatore può ignorare qualsiasi strategia e concentrarsi esclusivamente sulla attività sul campo di battaglia. Ovviamente il gioco diventa cruento, una corsa violenta verso l’obiettivo e – rispetto ad un gioco strategico da tavola – completamente fuori dalla realtà.
Le guerre di oggi, con l’uso dei droni, in particolare, e il coinvolgimento dei civili, ha reso il wargame tradizionale ancora più inattuale. Resta un gioco sempre adeguato, però, ai molti che hanno una sensibilità storica e una grande passione per le battaglie del mondo di ieri. Il wargame del nostro recente passato, che appare assai lontano, però, se paragonato all’evoluzione delle armi, un gioco inventato nel 1780 da Johann Christian Ludwig Hellwig, entomologo, autore di giochi e Maestro di Corte del duca di Braunschweig, è ormai superato. Hellwig pubblicò la prima edizione del suo kriegspiel nel 1780 con il titolo Versuch eines aufs Schachspiel gebaueten taktischen Spiels von zwey und mehreren Personen zu spielen, che possiamo tradurre in italiano come: Tentativo di costruire sugli scacchi un gioco tattico che due o più persone potrebbero giocare. Lo scopo di Hellwig era la creazione di un gioco simile agli scacchi che riflettesse meglio la scienza militare dell'epoca, specialmente il comportamento della fanteria, cavalleria e artiglieria.
Durante la Seconda guerra mondiale, gli strateghi del Terzo Reich furono i principali utilizzatori di wargames. Dopo la caduta della Francia, un wargame dimostrò che molti ostacoli, probabilmente insuperabili, si opponevano all’invasione dell’Inghilterra, giudizio che oggi viene ampiamente confermato. Quando si decise di invadere l’Unione Sovietica, l’operazione fu spesso e attentamente simulata a tavolino.
Oggi, nel caso del conflitto tra Ucraina e Russia, è ancora attuale il moderno gioco di simulazione strategica?
Lo sarà per le guerre del futuro?
Torneranno, a mio modesto avviso, assai utili le considerazioni di Carl von Clausewitz sulla guerra, oltre a diversi giochi più sofisticati rispetto all’antico kriegspiel prussiano, come Diplomacy, wargame che si può giocare in sette. La crisi internazionale, infatti, può essere considerata come il territorio elettivo e deputato all’analisi sperimentale della “formula” di Von Clausewitz, che è fatta di un insieme di politica e di diplomazia.
Il trattato di Carl von Clausewitz, Vom Kriege (pubblicato postumo, nel 1832, da Marie von Brühl, moglie del generale prussiano) sfida ancora oggi il tempo per l’acume della teoria e della strategia militare. La guerra è la «prosecuzione della politica con altri mezzi». La guerra è «un atto di violenza per imporre all’avversario la nostra volontà». La guerra, infine, è soprattutto «un gioco di interazioni» tra incertezze, frizioni, casualità. È un atto di intelligenza politica, calcolo di probabilità e disponibilità al rischio.
Sulla guerra in Ucraina, la rilettura di Della guerra è illuminante e attuale: «La guerra non scoppia mai in modo del tutto improvviso, la sua propagazione non è l’opera di un istante». Ancora più drammaticamente moderna è un’altra frase del libro che mette in luce la natura della guerra come incontro di tre forze inseparabili, il cieco istinto (inimicizia, odio, atavismo di violenza), la libera attività dell’anima (valore militare e strategia) e la pura e semplice ragione (politica), che è l’unico elemento razionale. Spiega Von Clausewitz: «Il primo di questi tre aspetti riguarda particolarmente il popolo; il secondo, il comandante in capo e la sua armata; e il terzo il governo».
Per concludere notiamo che il termine wargame oggi significa diverse cose, indica ovviamente i giochi tradizionali da tavolo, ma anche le simulazioni sul campo, le vere e proprie esercitazioni su larga scala, che da sempre gli stati maggiori delle varie potenze organizzano per saggiare la loro preparazione ma anche quella dei soldati sul campo, come nel caso che abbiamo citato di Taiwan. Il discorso è abbastanza complesso, ma cerchiamo di renderlo fruibile con definizioni semplici, grazie all’ausilio prezioso dello storico militare Paolo Palumbo, che lavora presso il Consorzio delle Residenze Reali Sabaude (Reggia di Venaria) e fa parte dell’associazione Souvenir Napoléonien, dell’International Napoleonic Society e della Società di Storia Militare Italiana.
IL DESIDERIO DI PACE, NONOSTANTE TUTTO
Mi auguro che questi incontri, nati in un contesto artistico – la mostra sulle battaglie e dei soldatini di carta di Crepax – possa far riflettere sui rischi dei nostri tempi e possa avvicinare a una cultura di pace, di fratellanza tra popoli apparentemente diversi, ma dall’origine comune. Ad esempio, ritrovo una fratellanza ancestrale nel Talmud babilonese quando afferma che «La pace è per il mondo quello che il lievito è per la pasta». In passato ha sempre vinto il “partito della guerra”, come nel caso delle due guerre mondiali. Mai ci siamo chiesti perché non ha potuto vincere il “partito della pace”! Forse perché per secoli si sono fin troppo sbeffeggiati gli operatori di pace e di dialogo, considerandoli semplici sognatori di un pacifismo utopico, dall’abate Charles-Irénée Castel de Saint-Pierre, autore del Projét de Paix Perpétuelle, ai pacifisti delle lotte nonviolente del Novecento.
Bisogna rimanere dalla parte della pace, nonostante il ritorno di una inaudita barbarie. Se ci fosse ancora con noi il caro Umberto Eco (scomparso il 19 febbraio 2016), tra l’altro fraterno amico di Guido Crepax, amerei citare, proprio qui, a Palazzo Cuttica di Alessandria, il “suo” Tommaso d’Aquino, in occasione anche dei 750 anni dalla morte del Santo, che per la prima volta nella storia del pensiero dedicò alla pace una rilevante e autonoma riflessione. L’etica ha concretezza storica: riguarda i mezzi, non solo i fini. La vera pace richiede mezzi pacifici e uomini pacifici. Se è così c’è un filo di completezza umana che viene dalle sapienze antiche, attraversa Tommaso, e arriva a Tolstoj e Gandhi e alla ricerca del nostro tempo. Il filosofo Eco, però, mi romperebbe le orecchie, tirandomele di santa ragione, citandomi il Tommaso delle cause giuste di guerra, «quelli che fanno guerre giuste tendono alla pace», ma potrei ribattere, con le orecchie ben rosse, che in Tommaso non c’è alcuna esaltazione della guerra, pur in tempo di Crociate, come c’è, ed è sconvolgente, in Bernardo di Chiaravalle. La guerra può essere in concreto necessaria per la giustizia e per il bene comune, mai per interessi privati, ma in linea di principio è doverosa la difesa nonviolenta indicata dal Vangelo. Tommaso non parla mai di pace cristiana. L’amore di Dio è diffuso nell’umanità intera e quindi la pace riguarda tutte le persone. Per Tommaso d’Aquino la pace è il bene delle persone sul solco delle celebri parole di Sant’Agostino del De civitate Dei: «Tale bonum est bonum pacis, ut in rebus humanis nil laetabilius concupisci, et nil utilius provideri possit» (che traduciamo in: «La pace è tal bene che non si può desiderarne uno più caro, né possederne uno più utile»).
Roberto Coaloa
FOTO. Coaloa e Zatterin al Cuttica in un precedente incontro