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Prelati monferrini di Aldo Timossi (57)
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Aldo Mongiano, nato a Pontestura il 1° novembre 1919, vescovo a Roraima
La diocesi di Roraima, nell’estremo Nord del Brasile, confine con Guyana e Amazzonia, con 225mila chilometri quadrati di estensione copre tutto il territorio dell’omonimo Stato brasiliano. Per raffronto, la superficie dell’intera Italia supera di poco i 300mila km. Su tanto territorio, attraversato dal lungo corso del Rio Branco, la cura pastorale è stata affidata, per oltre vent’anni, ad un coraggioso vescovo missionario partito dalle sponde monferrine del placido Po. E’ Aldo Mongiano, nato a Pontestura il 1° novembre 1919. Quinto di 8 fratelli (Dino, Rosa, Pietro, Luigi, Giulia, Giuseppe e Caterina), di cui 3 saranno sacerdoti e 2 suore.
Ultimata la scuola elementare, attraversa il fiume con il traghetto, in calesse alla stazione di Trino, quindi la vaporiera fino a Torino Porta Susa. “C’erano le primissime macchine della Fiat, ma quelle erano per la gente ricca” scriverà nell‘autobiografia “Roraima: tra profezia e martirio”, un condensato di umanità e fede (sul web:https://www.rivistamissioniconsolata.it/wp/wp-content/uploads/2020/04/Roraima_Mongiano-sm.pdf).
A Favria Canavese, il seminario della Missioni Consolata, e il 3 giugno 1943 l’ordinazione a presbitero nella chiesa di San Martino di Rosignano. Trascorre in Italia il periodo della guerra e subito dopo, nel 1947, viene mandato ad operare nel seminario di Fatima, crocevia di pellegrini provenienti da tutti i continenti, dove inizia a “sviluppare una visione pluralistica ed una coscienza pluriculturale” che avrebbe approfondito nelle sue esperienze di missione successive.
Dal novembre 1957 è in Mozambico, in due parrocchie alla periferia della capitale Maputo. Scriverà nelle memorie: “All’inizio non sapevo come muovermi, come parlare alla gente, capii che mi dovevo documentare, osservare i costumi delle popolazione senza giudicare, cercavo comunque di essere vicino alle persone non solo fisicamente, ma anche con il cuore e di vedere la presenza del mistero tra loro”. E’ testimone del processo di decolonizzazione di quella nazione, non immaginando che più tardi si sarebbe trovato ad essere coinvolto in un altro processo di emancipazione di un piccolo popolo oppresso.
La proposta di nomina a vescovo, nel maggio 1975, come titolare della diocesi di Nasai (Algeria) e della prelatura brasiliana di Boa Vista, futura diocesi di Roraima. La notizia cade su di lui come una bomba, pensa alla propria “limitata capacità”, si sente “profondamente inadeguato” al compito che gli si prospetta: “alla proposta stetti tre notti senza dormire, pregando e riflettendo, poi pensai che non accettando sarei rimasto tutte la vita con il peso di non aver ascoltato la voce di Dio, dissi che accettavo”. Il 5 ottobre, nella chiesa casalese di San Filippo, la consacrazione dal vescovo Carlo Cavalla, co-consacranti Giuseppe Angrisani, vescovo emerito di Casale, e Luigi Bettazzi, titolare di Ivrea.
Dopo due incontri con Papa Paolo VI, che lo incoraggia con “parole meravigliose”, arriva in Brasile all’inizio di novembre, domenica 9 prende possesso della carica nella nuova cattedrale di Boa Vista. Il governatore, colonnello Fernando Ramos Pereira, lo tratta freddamente, chiede con ironia se ha in animo di “liberare gli indios”, poi farà svolgere sul suo conto lunghe indagini, controllandone le attività. Intanto Mongiano risponde di essere arrivato per servire la Chiesa e la Missione, non per fare politica.
Il territorio della prelatura è vastissimo, oltre al capoluogo, otto parrocchie, cappelle nella “malocas”, i villaggi più lontani; più del novanta per cento dei quasi 50mila abitanti è battezzato. L’ambiente naturale è bello, “un panorama incantevole, il silenzio della savana, il vento dolce nei giorni più caldi e il clima più fresco dell’inverno, un ambiente di serenità”. La sensazione di essere giunto in un luogo gradevole scompare quando inizia a toccare con mano i problemi della società: poche famiglie di ricchi condizionano la vita della maggior parte della popolazione, povera. Pochi mesi dopo l’insediamento, si reca per la prima volta in area indigena. Un bagaglio con gli oggetti di culto e alcune vettovaglie, l’amaca per la notte, un piatto caldo quando capita. In un piccolo villaggio si lamentano che un signore arrivato da fuori ha costruito casa e mandato via chi coltivava i terreni fertili, proibendo di allevare animali perché li alleva lui, e li vende ai residenti. In realtà è stato il modesto aiutante di un facoltoso fazendeiro, quindi un oppresso, che di fronte agli indios si è fatto oppressore!
Il 16 ottobre 1979 la prelatura territoriale di Roraima viene elevata a diocesi con la bolla “Cum praelaturae” di Papa Giovanni Paolo II, e il 4 dicembre monsignor Mongiano è il primo vescovo. Tanti episodi, molte conquiste, qualche minaccia e tanti momenti di persecuzione poliziesca, i contrasti con il potere politico, che ad un certo punto vieta ai missionari di entrare nei villaggi indios, ma “dalla cui acquiescenza tutta la Chiesa brasiliana ha deciso di liberarsi per essere più vicina agli interessi del popolo”. Conosce sempre meglio la realtà locale, “c’erano due società una bianca e dominatrice e l’altra, degli Indios, dominata, sfruttata ed umiliata”.
Tra le molteplici iniziative, portate avanti secondo i principi dell’enciclica “Populorum progressio” (1967) e dell’esortazione apostolica “Evangelii nuntiandi” (1975) resta negli annali storici la campagna di solidarietà “Una vaca paro o Indio”, una mucca per l’Indio, che può avere la terra solo se proprietario di bestiame: regalandogli mucche e tori ha la possibilità di ottenere terra. Grazie anche ad uno sponsor d’eccezione, l’arcivescovo di Ravenna Ersilio Tonini, arrivano generose donazioni, addirittura dal Papa; anche la Caritas diocesana di Casale contribuisce, con dieci milioni di lire.
Monsignor Mongiano lascia la carica di vescovo, per età, il 26 giugno 1996. Commenterà nelle memorie: “Posso dire di essere stato amato dalla popolazione e mal visto da un piccolo gruppo detentore del potere, per aver cercato di modificare la situazione di sfruttamento esistente. Corse voce che avevo conti in banca, ma il potere e il denaro che ho ricevuto dalla Chiesa, l’ho sempre messo a servizio della popolazione; quando sono partito per Roraima avevo con me solo il passaporto, il biglietto di viaggio e il documento di nomina a vescovo, quando venni via non avevo neanche più quello”.
I tanti anni da vescovo emerito li trascorre nella casa natale a Pontestura, assistito dalla sorella Caterina, con qualche viaggio nella sua vecchia diocesi, in occasioni particolari. Molteplici le sue presenze pastorali in paesi e città della diocesi casalese, per celebrazioni e conferenze. La missione terrena termina la sera del 15 aprile 2020, a Villa Serena di Moncalvo, dopo una banale caduta con frattura del femore e successive complicazioni. Dal 2017 era il più anziano vescovo italiano vivente. All’ultimo passo si era preparato da tempo. Nel febbraio 1990, più volte oggetto di minacce di morte, aveva scritto il testamento spirituale: “Penso di dover essere preparato e vigile, per potere in qualsiasi momento presentarmi a Voi, mio Dio e Signore. Scrivo queste righe come le ultime della mia vita. Vivo in mezzo a così tante persecuzioni che posso facilmente immaginare che la morte per me sia molto vicina”. Quindi un pensiero ai suoi Indio: “Vorrei che non si scoraggiassero e cercassero i loro diritti alla vita e alla cultura, e chiedo alla società circostante di non macchiare le pagine della storia di questa fine secolo con delle ingiustizie”. Un’ultima richiesta di perdono, “a chiunque possa aver offeso o ferito, e perdono anche a tutti, come io ho perdonato lungo tutta la mia vita”. E l’invocazione finale, dettata dalla pericolosità del momento: “Vieni, Signore, salvami”.
aldo timossi