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La grande traversata - di Elio Gioanola

Scritte sui muri delle case e una torre sfregiata dal DUX... Un confronto favorevole ai nostri tempi
A ottantasei anni sì è definitivamente vecchi, quali che siano le condizioni di salute, e io con tutte le riserve che posso addurre in proposito, mi trovo appunto in questo frangente. Vengo da tanto lontano che non è quasi credibile quello che sono riuscito a vedere e che ancora posso raccontare: ho assistito a cose che hanno del fantastico, ho vissuto esperienze che sembrano appartenere ad un’era da lungo tempo defunta, ho insomma la sensazione di avere vissuto due vite, in due mondi diversi.
Essendo nato quando il duce era nel momento del suo massimo trionfo e Pirandello vinceva il premio Nobel per la Letteratura, ho passato l’infanzia nel momento più tragico della nostra storia e ho cominciato a frequentare la scuola nell’anno in cui due folli scatenati mettevano a ferro e fuoco lì Europa e il mondo intero.
Allora, quando avevo cominciato a leggere, i muri delle case erano tappezzate da scritte di questo genere: “L’Italia desidera la pace, ma non teme la guerra”, “Vincere e vinceremo”; “Molti nemici, molto onore”; “L’aratro traccia il solco e la spada lo difende”, “Il Duce ha sempre regione”.
Persino la torre storica, che dal quindicesimo secolo sovrasta il mio paese (San Salvatore, ndr), era sta sfregiata da un enorme scritta che occupava i suoi quasi trenta metri d’altezza con un DUX gigantesco in caratteri indelebili (ci vollero decenni e molti tentativi di cancellazione perché svanisse). Da bambino andavo qualche volta a mangiare, molto malvolentieri, dalla nonna materna che per tutto pranzo preparava delle orrende minestre di cavoli, condite con un cucchiaio di grasso di maiale. A casa sua non c’era ancora la luce elettrica e la cucina, in cui si prendevano i pasti, era o fiocamente illuminata da un lumino a olio (fu un evento la sostituzione con l’acetilene) e per così dire riscaldata dal fuoco del camino, fino a quando almeno, durante l’inverno, si passava direttamente alla stalla, attraverso una porta vacillante che lasciava passare le tiepide e odorose folate dei due buoi e delle loro deiezioni. Ma là almeno si stava bene, faceva caldo e c’era sempre la presenza delle vecchie più o meno coetanee della nonna e del barba Salvino che, quando era in vena, raccontava della Grande Guerra vissuta prima da fante e poi da prigioniero in Austria. Il lume veniva portato lì dalla stanza vicina e io potevo dimenticare le pene dell’orrido pasto, catturato dalla vera perizia narrativa dello zio.
Allora le vecchie vestivano sottane lunghe fino a terra e a un certo punto una di loro tirava fuori la corona e attaccava il rosario, con mio dispetto perché interrompevano i racconti di guerra e delle altre disgrazie capitate in paese. Gli uomini frequentavano poco la stalla perché d’inverno facevano per il municipio i lavori nelle strade di campagna, preparandole per l’attività della buona stagione: così non dovevano pagare la taglia e tenevano in ordine il circondario del paese. Soltanto chi, come me e come i pochi sopravissuti di quel tempo tanto lontano da sembrare leggendario, ha potuto sentire dal vivo queste cose può testimoniare del loro sapore, tanto opposto a quello non più avvertibile in questa epoca in cui non si sa più cosa mai sia stata la vita di non moltissimi anni fa. Non più buse per le strade, non più l’aspro sentore del letame. Non più gli inverni di neve e gelo per lunghi mesi, tanto che mi mettevo a piangere quanto capitava, rarissime volte, che piovesse per qualche ora (ma subito quell’acqua senza ragioni diventava ghiaccio, con mio grande conforto). Non più contadini coi ciabot pieni di paglia per la strada a raccontarsi storie tanto per passare il tempo, che tornavano prima del vespro nelle stalle, chi le aveva, o all’osteria chi poteva contare su qualche soldo in saccoccia per pagare la povera consumazione.
Il confronto tra le due vite è chiaramente a favore dei nostri tempi, ma nessuno può farmi credere che allora, quando più o meno si era tutti poveri (i quattro o cinque padroni delle terre avevano tutto e non erano mai contenti), si fosse meno felici e tutti cantavano nei campi e nei cortili, perché la felicità è fuori dal circuito proprietario.
So bene di rischiare un discorso reazionario, ma non posso dimenticare la breve stagione della mia infanzia, vissuta in un mondo e in un modo pieni di incanti, che ho avuto la fortuna di vedere e di godere, malgrado la miseria, le paure, la guerra, l’impero funesto di Mussolini e del suo compare Hitler.
Elio Gioanola