Notizia »

Mostra di Carlo Carrà

Di Giuliana R. Bussola

 

Il piccolo cartoncino a inchiostro e acquerello, che apre la mostra di Carlo Carrà a Palazzo Reale di Milano e che costituisce l’approdo di tanti disegni, schizzi e studi di anni precedenti sul tema della ”Strada di casa”, ha emozionato i visitatori dell’Unitre di Casale partecipi della stessa piemontesità radicata nella cultura contadina e nell’attaccamento alla propria terra.

Pur non avendo il valore artistico assoluto dei capolavori del periodo Metafisico, di cui Carrà fu uno dei massimi esponenti a partire dal 1917 dopo l’incontro con De Chirico, successivo ad una breve simpatia per il Divisionismo e una più intensa parentesi futurista, la piccola opera ha profondo significato contenutistico nel rivelare, più che l’artista, l’uomo che confessa senza pudore i propri sentimenti contrastanti nel momento stesso in cui abbandona la casa natale di Quargnento con un groppo alla gola perché sente confusamente che sarebbe stato per sempre.

Non compaiono ancora l’atemporalità, il distacco dalla realtà fenomenica e l’imperturbabilità del mondo delle Idee con l’innalzarsi nell’iperuranio platonico, che contrassegneranno i successivi capolavori come” Il pino sul mare”, piuttosto è espressione di due pulsioni emotive: la tristezza nel lasciare il mondo dell’infanzia è evidenziata dalla casa dai colori opachi con le finestre chiuse come fosse disabitata e dall’albero senza vita, mentre la trepidazione speranzosa di un avvenire di successo è data dal vibrante sfavillio di luci alla fine della strada.

Se il cuore lo fa soffrire il ragionamento lo spinge a prendere una decisione dolorosa ma necessaria poiché è consapevole che, confinato nel piccolo paese, non potrà avere contatti costruttivi.

Così è stato per Morbelli che si trasferì a Milano pur senza dimenticare la villa di famiglia alla Colma di Rosignano dove trovare serenità e spunti per dipinti realistici e meditativi sul rapporto natura-uomo e vita-morte.

Al contrario Pellizza non volle mai lasciare Volpedo, l’intero suo mondo, in quanto solo in campagna tutto gli parlava d’amore.

La stessa piemontesità si trova in scrittori come Cesare Pavese, malinconico cantore di Langhe e Monferrato, che in “La luna e i falò” dice” un paese ci vuole…. Paese vuol dire non essere solo, sapere che quando non ci sei resta ad aspettarti”; come Beppe Fenoglio le cui pagine sono permeate di vocazione della collina attraverso la particolare parlata ambientale e ancora Davide Lajolo che condivide il senso della terra con l’amico Pavese seppur con opposta concezione del vivere, per lui avventura, per l’altro fatica.

E che dire di Paolo Conte che, tra motivi esotici, tropicali, milonghe, jazz, tiene presente il lessico di provincia i costumi e le tradizioni della nostra terra di cui canta, avvicinandosi alla poesia onomatopeica,” Le notti più alte del nord ovest bordato di stelle, il buio che sa di fieno, le risaie, il verso delle rane, il profumo di ratafià”, a conferma della affinità tra le varie discipline dell’arte.

Giuliana Romano Bussola

 

FOTO. La strada di casa (a Quargnento, ndr)