Notizia »

Contro i luoghi comuni

Di Elio Gioanola

Ho sempre odiato i luoghi comuni nella lingua parlata e scritta. Ero un ragazzo quando mi trovai ad assistere, alla Colonia solare del paese, alla cerimonia di chiusura  dell’attività, con la festicciola organizzata dalle maestre: la solita esibizione di canti e piccole recite d’addio dei partecipanti, con i debiti applausi dei presenti.

Si sa che normalmente in queste cose domina la retorica sentimentale, da me fin da allora cordialmente detestata, ma quella volta la regista, cioè  la maestra detta Zoccoletta (ricordo solo il nomignolo perché era forestiera), aveva francamente esagerato. Non resistetti e ad alta voce manifestai il mio dissenso, tra l’indignata riprovazione del pubblico presente. Ma la mia inclinazione era francamente irresistibile, ed è quella, a pensarci bene, che ha caratterizzato il mio mestiere di critico.

Ricordo ancora gli articoli di un giornalista della fu “Gazzetta del popolo” che scriveva di un suo cane nemico dei luoghi comuni, il quale, al sentirli nominare, abbaiava sdegnato per istintiva disapprovazione. Perciò, simpatizzando per quella bestia tanto sensibile, ho raccolto un piccolo campionario di quelle ripetizioni che infarciscono il linguaggio della gente che, per mostrarsi colta, ricorre volentieri al loro aiuto nel parlare e anche, ahimè, nello scrivere. Direi che veri specialisti di queste stantie risorse espressive sono i politici, che ne infarciscono i loro discorsi orali e scritti. Eccone dunque un piccolo campionario: portare avanti il discorso, tutto sotto controllo, non si va da nessuna parte, da prendere con le molle, la dinamica-la dialettica- la problematica, (e a proposito di “problema”) non c’è problema, il problema è un altro, abbiamo un problema, il problema è a monte. E poi, porre in essere, togliersi un sassolino dalla scarpa, senza se e senza ma, lanciare un appello, la ciliegina sulla torta, la cartina di tornasole, il bello della diretta, il silenzio assordante, il nocciolo o zoccolo duro, non sta né in cielo né in terra, non abbassare la guardia, aprire un tavolo, essere in grande spolvero, tutto sotto controllo, la doccia fredda o il pannolino caldo, porre in essere, la polpetta avvelenata, il paesaggio o spettacolo o qualsiasi altra cosa mozzafiato, le indagini a 360 gradi, nella misura in cui, un tiro o passaggio devastante, siamo tutti una famiglia, la leggenda metropolitana. E quant’altro, quantità industriale, tutto sommato, fare un passo indietro, una situazione kafkiana, il fil rouge, fare a fifty-fifty, il combinato disposto, tutto sommato-  monitorare- interfacciare- al di là che- alla grande- praticamente (da ripetere in continuazione, fino a quando di praticabile non resta più nulla). Ma continuare in un elenco di questo tipo è superfluo, tanti sono gli stereotipi che infiorano la lingua, al punto che bisogna stare attenti a dove si mettono in piedi, perché le strade espressive si fanno sempre più strette. Ormai è difficile parlare senza inciampare in qualche ostacolo, messo tra i piedi dalla pigrizia che sta riducendo il discorso a segnali criptati o, nei casi alti, inviati in inglese per coprire i vuoti linguistici sempre più forti.

Elio Gioanola