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Valentina Cortese e Colombotto Rosso

Foto, dediche, lettere - Di Roberto Coaloa

Mercoledì 10 luglio è morta Valentina Cortese, nella sua sontuosissima casa, l’ex-conventino di piazza S. Erasmo, luogo magico di una Milano d’altri tempi (quella del commediografo Carlo Bertolazzi, autore di El nost Milan). A Milano, l’attrice era nata: il 1 gennaio 1923. Per decenni fu legata al Monferrato, dove viveva – a Camino – il pittore Enrico Colombotto Rosso (Torino, 7 dicembre 1925 - Casale Monferrato, 16 aprile 2013), suo adorato amico.

Valentina Cortese aveva conosciuto Enrico Colombotto Rosso a Roma, quando la pittrice Léonor Fini, nel secondo dopoguerra, aveva scelto la capitale come suo buen retiro. Léonor Fini è stata la maestra di Colombotto Rosso e la sua casa romana, frequentata dai suoi allievi e amici, era anche lo studio dove lei ritrasse Valentina Cortese. Di quel periodo si ricordano altri ritratti celebri di Léonor Fini, come quelli di Alida Valli e Anna Magnani.

Enrico Colombotto Rosso e Valentina Cortese avevano la comune passione per il teatro e il cinema. Nel dopoguerra furono entrambi dei giramondo: lei alla conquista di Hollywood, lui alla scoperta della nuova arte a New York. Entrambi amavano la vita mondana, essere delle star. E lo erano. Colombotto Rosso iniziò a collaborare con riviste ed editori americani e inglesi. Alcune copertine della “Penguin Modern Classics” sono sue.

Un quadro del Maestro, ad esempio, compare nella copertina di The children of Sánchez di Oscar Lewis, il romanzo da cui fu tratto il film The children of Sanchez di Hall Bartlett, con Anthony Quinn. Colombotto Rosso lavorò molto per il cinema. Noto è l’aneddoto sui quadri di Profondo Rosso, opere che non sono sue, ma ispirate a suoi lavori (di questa vicenda ho una testimonianza inedita del Maestro, registrata nel 2006 a Camino). Poco conosciuto, invece, il fatto che Colombotto Rosso collaborò con Maria De Matteis per realizzare i costumi del celebre film di John Huston, La Bibbia.

A Camino, Colombotto Rosso aveva conservato tutte le fotografie e le lettere che aveva ricevuto nei decenni dall’attrice milanese. Nell’ultimo piano della dimora monferrina facevano ben mostra alcuni ritratti di Valentina Cortese con dedica: «Applausi al mio grande sublime Enrico! Valentina» e «Al mio Enrico adorato, Valentina». Poi enormi fotografie dell’attrice in bianco e nero incorniciate col solito gusto eccentrico da Colombotto Rosso. Incuriosito gli domandai il perché di questa passione e lo intervistai, registrandolo, in diverse occasioni: nell’estate 2006, ottobre 2011 e marzo 2012.

A parte gli aneddoti personali, legati agli affetti e alle passioni, Colombotto Rosso, quasi “biografo” di Valentina Cortese, raccontava l’eccezionale carriera dell’attrice, non trascurando qualche critica e spiegandomi le sue scelte, spesso dettate da una sana voglia di divertimento. Per carattere, sensibilità e interessi, l’artista Colombotto Rosso e la diva Cortese erano somiglianti. A Torino avevano comuni amici, alcuni importanti per la loro vita, come Gustavo Rol. Lei era una specie di sorella maggiore, di due anni più anziana. Lui la ricordava sempre come l’attrice di tanti film italiani dagli anni Quaranta in poi e perciò memoria storica del nostro cinema, ma non solo.

Delle interpretazioni più famose di Valentina Cortese, il maestro ricordava i grandi ruoli in: La cena delle beffe di Alessandro Blasetti, Le amiche di Michelangelo Antonioni, Giulietta degli spiriti di Federico Fellini e le interpretazioni importanti nei film Fratello sole, sorella luna e Storia di una capinera di Franco Zeffirelli. A teatro Valentina Cortese si era dedicata a svariati ruoli, passando dalle opere di Pirandello a quelle di Čechov, sotto la regia di Giorgio Strehler.

Per Colombotto Rosso, artista per il cinema e cinefilo appassionato, quattro film emergevano incisivi per decifrare il metodo recitativo di Valentina Cortese, dopo i grandi film con James Stewart, Spencer Tracy, Ava Gardner, Humphrey Bogart, Kim Novak, Peter Finch e Anthony Quinn. Sul finire degli anni Sessanta, dopo l’esperienza teatrale, Valentina Cortese decise di essere - come attrice cinematografica - una gregaria di lusso, una diva dagli occhi e dalla bocca indimenticabili, in ruoli drammatici o assai divertenti. I quattro film esemplari, non trascurabili nella carriera di Valentina Cortese, sono: L’iguana dalla lingua di fuoco di Riccardo Freda, del 1971, La nuit américaine (Effetto notte) di François Truffaut, del 1973, Appassionata di Gianluigi Calderone, del 1974, e Il cav. Costante Nicosia Demoniaco ovvero Dracula in Brianza di Lucio Fulci, del 1975. Indimenticabile la dimora di Enrico Colombotto Rosso: nella sala dove campeggiava la porta segreta con il ritratto di The Queen, nell’andito occupato da un grosso letto matrimoniale, spuntava il manifesto originale della versione italiana di La Nuit américaine di Truffaut (dove il volto di Valentina Cortese appare con quelli di Jacqueline Bisset e Jean-Pierre Aumont). Con in mano una coppa di champagne e sul tavolo un piatto di patatine fritte (era di solito la cena del Maestro), Colombotto Rosso esponeva in maniera surreale la storia di quegli anni di cinema “minore” per l’attrice. Possediamo con questi quattro film, diversi generi cinematografici: l’horror, il metacinema per antonomasia, il melodramma erotico e la commedia-farsa, quasi b-movie. 

Nel film di Freda, Valentina Cortese è la signora Sobiesky, moglie di un ambasciatore mellifluo e diabolico, abbandonata in una villa di Dublino, attorniata da inquietanti servitori. Indaga, su uno strano assassinio avvenuto nella villa, il detective “duro”, interpretato da un bravissimo Luigi Pistilli. L’attore e Valentina Cortese, dal gesto drammatico esagerato, sono sublimi. 

In La nuit américaine il personaggio di Séverine, attrice smemorata, in un ruolo memorabile, che le fece ricevere una nomination all’Oscar, funge da prototipo assoluto, toccando le corde caricaturali dell’attrice. Nel 1975, l’Oscar fu assegnato all’amica Ingrid Bergman per il suo ruolo in Murder on the Orient Express; improvvisamente, il discorso di ringraziamento dell’attrice svedese fu esclusivamente basato sulle lusinghe alla Cortese, star del film di Truffaut, sottolineando quanto la sua vittoria non fosse meritata.

In Effetto notte, Cortese corrisponde a determinati standard recitativi e ne ha esteso ogni caratteristica, passando da star a parodia di una star: maschera alla Pierrot che sa interpretare ogni attore di fronte a quell’altra vita che è il cinema, consapevole della propria fine incontrollabile.

La fisicità esile, quasi fragile della diva, la voce, il gesto e la drammaturgia rimangono sul filo dell’esasperazione anche nei film di Calderone e Fulci. Nel primo (personaggio di Elisa Rutelli), tradita dal marito Gabriele Ferzetti (Emilio Rutelli), mal sopportata dalla figlia Ornella Muti (Eugenia Rutelli), l’attrice diviene maschera dannunziana, simile a una Eleonora Duse o Sarah Bernhardt, che alimenta una psicosi ondeggiante pronta a scatenarsi da un momento all’altro, facendo rieccheggiare quei fantasmi di un passato ormai remoto, esasperati dalle ore trascorse a suonare il pianoforte. È una Norma Desmond italiana! Nel secondo (personaggio di Olghina Franchetti) troviamo una maschera anch’essa nobile e decadente, ma dai toni più comici e frizzanti (complice un vampiresco Lando Buzzanca, con occhiali da sole anche di notte), mescolati da una ninfomania bestiale («lei dice che se non sono mostri non si diverte», avvisa prontamente il barman a un curioso Cavaliere Costante Nicosia, che la guarda giocare a carte, vestita elegantemente), ritmata attraverso l’uso di un vocabolario che alterna un gustoso italiano démodé alla Gozzano a un divertente dialetto milanese alla Bertolazzi. Dinanzi a un Lando Buzzanca vampiro che fa sessualmente cilecca, se ne esce con un «Ehi te, disgraziato!», congedandolo: «Và a dà via i ciapp… te, le tue vittime, le tue menate…».

Valentina Cortese era spiritosa. Lo sapeva essere, nonostante una vita spesso non facile, a volte atroce. Sarebbe un regalo per ogni cinefilo pubblicare la corrispondenza con Enrico Colombotto Rosso, artista dalla grande cultura.

Roberto Coaloa

FOTO - A Casa Colombotto a Camino foto con dedica di Valentina Cortese