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Prelati monferrini di Aldo Timossi -71-

Bartolomeo Aicardi Visconti, vescovo a Novara nel periodo 1429-1457.

 

Origini aristocratiche, prelato e ambasciatore, cardinale per poche ore. E’ la figura di Bartolomeo Aicardi Visconti, vescovo a Novara nel periodo 1429-1457.

Nasce nel 1402 a San Giorgio Lomellina, una manciata di chilometri da Casale, comunità non grande ma importante all’epoca perché baluardo del Ducato milanese verso il Marchesato monferrino. Il padre Domenico Aicardi, capitano di cavalleria (i “catafratti”) ha sposato Chiara de Berris, ed è al servizio dei duchi di Milano. Per aver scoperto una congiura ai danni di Filippo Maria Visconti, nel 1415 ha ottenuto il diritto di usare anche il cognome Visconti, nonché di inquartare nella propria arma il loro stemma, il noto biscione. I discendenti abbandoneranno il cognome Aicardi, fregiandosi solo del più ambito Visconti. Bartolomeo ha una sorella e tre fratelli, uno di questi, Giorgio chiamato Scaramucia o Scaramuzza, è pure lui collaboratore dei duchi di Milano, cosa che gioverà alla carriera del futuro vescovo.

Nel 1425 Bartolomeo ha già messo in naftalina gli Aicardi: nei documenti dell’università di Pavia appare infatti un “Bartholomeus de Vicecomitibus legum studens”, studente di legge. Il dottorato in diritto civile arriva alla fine dell’anno successivo. E arriva anche la chiamata al sacerdozio. Niente notizie sugli studi religiosi, di certo non è ancora sacerdote quando, il 4 novembre 1429, Papa Martino V lo nomina vescovo a Novara. Per quali meriti? Enea Piccolomini (futuro Papa Pio II) che anni dopo gli sarà accanto come segretario, nella sua carrellata “De viris illustribus” scrive che “arriva all’episcopato non tanto per suo merito” quanto per essere sponsorizzato dal fratello Giorgio, ben introdotto nella corte ducale. A conferma di una “spinta” da Milano, la cronaca “Novara sacra”, scritta da Carlo Bescapè, vescovo novarese nel 1593-1615, dove si può intendere del trasferimento/promozione a Genova di monsignor Pietro de Giorgi, per liberare la cattedra di San Gaudenzio!

Forte dello stemma mutuato dai Visconti, con il con motto “Vipereos mores non violabo”, non violerò le tradizioni del biscione, iniziano anni di vivace attività. Nel 1432 è a Basilea, per partecipare al concilio iniziato stancamente l’estate prima, destinato a trattare l'unione con la Chiesa ortodossa, estirpare l'eresia hussita e riformare la Chiesa. Ha subito l’incarico di ottenere l’adesione al sinodo da parte del re di Francia, Carlo VII, cui il Pontefice aveva dato una robusta mano durante la precedente guerra con l’Inghilterra. Di fatto, è anche rappresentante ufficiale del duca Filippo Maria Visconti.

La doppia veste di pastore e ambasciatore laico, se per un verso è motivo di orgoglio, d’altro canto gli crea problemi. Anno 1435, Papa Eugenio IV, sulla cattedra petrina da quattro anni, in urto con la potente famiglia Colonna è fuggito da Roma e si è rifugiato a Firenze, protetto dai Medici. Arriva in città anche il vescovo Bartolomeo. Qui la storia si fa poco chiara. Le cronache raccontano che, d’accordo con il capitano di ventura Niccolò Piccinino (signore di tanti luoghi, compresa Candia Lomellina), tenta di rapire il Pontefice per portarlo a Milano nelle mani dei Visconti. La congiura è scoperta, i promotori arrestati e condannati. Un recente saggio di Niccolò Capponi, “La battaglia di Anghiari”, così scrive di quella vicenda: “La congiura era, con tutta probabilità, un progetto campato in aria, il parto cerebrale di pochi compagni di merende aizzati dal vescovo di Novara”!

Arriva la grazia, Bartolomeo è libero per intercessione del potente cardinale Niccolò Albergati, amministratore apostolico di Bologna, ma viene privato del vescovato. Torna a Milano, la cattiva fama dell’ultima impresa gli ha creato qualche nemico, deve guardarsi intorno ed è autorizzato a girare armato. Nel 1438, anche per togliersi da un ambiente dove tira aria grama, viaggia nuovamente fino a Basilea, dove il concilio tiene l’ennesima sessione. In tale occasione ottiene da Alberto II, re dei Romani in attesa (vana) della proclamazione quale imperatore, la conferma di tutto ciò che i precedenti re e imperatori avevano concesso alla Chiesa novarese. La monumentale “Italia sacra” di Ferdinando Ughelli riporta il lungo diploma, nel quale tra l’altro Bartolomeo è definito quale “venerabile principe”, con ciò dando per scontata sul momento la nomina a tale dignità. Senza specificare nomi di località, Alberto “approva e ratifica tutti e singoli i diritti, privilegi, grazie, libertà, lettere ed indulti, possessioni, giurisdizioni, telonei, distretti, terre e luoghi, donazioni e beni, da qualunque dei Divi Romani Imperatori e Re, nostri predecessori ed altri fedeli di Cristo, indulti dati e concessi, o indulte date e concesse, e le lodevoli consuetudini … nel giorno 12 del mese di settembre l'anno del Signore 1438”.

Forte di tale conferma, quando nell’autunno dell’anno dopo, Amedeo VIII Savoia viene eletto antipapa Felice V, Bartolomeo sta dalla sua parte. E’ premiato nel concistoro del 2 aprile 1440 con la nomina a (pseudo)cardinale, ma vi rinuncia perché, folgorato sulla via di Damasco, “intende rispettare chi lo aveva consacrato vescovo”. Perdonato per la seconda volta, può tornare sulla cattedra novarese, previo consenso-raccomandazione del duca milanese. In cuor suo - scrive Piccolomini - la speranza, che mai perderà, di riavere la porpora.

Morto anzitempo (agosto 1447) Filippo Maria Visconti, tra i pretendenti alla successione ci sono gli Sforza, per i quali monsignor Bartolomeo non manca di evidenziare concreta simpatia. Li agevola nella conquista di Novara nel dicembre 1448, e l’anno successivo tratta la pace tra gli Sforza e i Savoia, costretti a dimenticare l’espansione verso est e a porre il confine ducale sulla Sesia. Trascorso il periodo della cosiddetta “repubblica ambrosiana” (al governo un gruppetto di nobili e giuristi), il Ducato passa nel 1450 a Francesco Sforza, di cui Bartolomeo diventa consigliere e dal quale viene nominato ambasciatore presso la Santa Sede. In tale veste, nel 1454 tratta con Papa Niccolò V ed Alfonso d'Aragona la ratifica della pace di Lodi e il loro ingresso nella Lega italica.

Prende parte al conclave dell’aprile 1455 concluso con l’elezione di Callisto III, Papa Borgia, qualche mese di permanenza a Roma, e nel luglio dell’anno successivo parte per accompagnare la truppa in marcia per difendere Siena dall’assedio dell’alleanza antisforzesca guidata dall’antico alleato Niccolò Piccinino (che tra una battaglia e l’altra ha sposato una certa Sara, indicata come figlia naturale del marchese monferrino Guglielmo VIII).

Tra imperatori, pontefici e duchi, non ha mai trascurato il governo della diocesi. Le cronache ricordano l’impegno con il fidato vicario Lancillotto dei conti di Mede, per mettere ordine in alcune collegiate: san Giulio sull’omonima isola di Orta, san Giuliano di Gozzano, santi Gervasio e Protasio di Baveno. Ci sarebbe da riformare anche il capitolo novarese, ma i canonici sono contrari e non ci riuscirà nemmeno il successore Jacopo Filippo Crivelli. Una robusta mano è data dal fratello Andrea, già preposito generale dell’Ordine degli Umiliati, e dal 1430 al 1457 feudatario della Brianza; fa le sue veci nella “Riviera” del Cusio ed è incaricato tra l’altro della parziale ricostruzione degli edifici del castello di Vespolate (si restaura la cosiddetta rocca vescovile), e del palazzo dei vescovi accanto alla basilica di San Giuliano di Gozzano.

Dopo una vita tanto movimentata, monsignor Bartolomeo Visconti compie l’ultimo cammino alla casa del Padre il 28 aprile 1457.

aldo timossi

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FOTO. Palazzo vescovile di Gozzano (NO) ampliato dal vescovo Visconti