Notizia »

I novant'anni di Gribaudo

Legami col Monferrato - Risorgimento in maniera non retorica

Giovedì 10 gennaio 2019, l’artista torinese Ezio Gribaudo festeggia novant’anni. Al Museo Nazionale del Risorgimento italiano – Palazzo Carignano, alle 17.30, l’artista sarà onorato pubblicamente dal Direttore del Museo, Ferruccio Martinotti, dallo storico Roberto Coaloa e dalla figlia Paola in occasione dell’inaugurazione della mostra su Gribaudo e il Risorgimento nell’importante istituzione torinese. Dall’11 fino al 27 gennaio 2019, il Museo Nazionale del Risorgimento italiano esporrà al pubblico, in Sala Codici, le tre opere monumentali che l’artista torinese realizzò in occasione del Centenario dell’Unità d’Italia: «Sollevazione del popolo a Milano», «Gli impiccati di Belfiore» e «Pier Fortunato Calvi».

Ezio Gribaudo è certamente uno dei protagonisti della scena culturale italiana. Le sue mostre personali e collettive in gallerie e musei sono note in Italia e all’estero. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti alla sua attività creativa, fra cui anche la Medaglia d’oro ai Benemeriti della Cultura e dell’Arte dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Orari mostra: dal martedì alla domenica 10-18 (ultimo ingresso ore 17), lunedì chiuso.

Lo storico Roberto Coaloa ha redatto le schede storico-critiche del catalogo della mostra. Ospitiamo qui un suo intervento, dove, tra le altre cose, ricorda il legame di Gribaudo con il Monferrato.

 

Ho conosciuto il grande artista Ezio Gribaudo una domenica a Conzano, a Villa Vidua. Non poteva essere diversamente, considerando il suo amore per la storia e il nostro Monferrato. Era il 13 marzo 2011, il sindaco Emanuele Demaria mi aveva invitato a tenere una conferenza su Carlo Vidua, affidando la lettura di alcuni testi all’attrice Laura Curino. Avevo scelto uno scritto patriottico di Vidua, «Dello stato delle cognizioni in Italia», che aveva segnato la storia del primo Risorgimento italiano, colpendo le sensibilità di autori come Cesare Balbo, Vincenzo Gioberti, Niccolò Tommaseo. Vidua fu il primo a utilizzare la parola «primato» per indicare le “eccellenze” italiane nella storia e nella politica; parola poi resa celebre da Gioberti. L’occasione era rappresentata dal centocinquantesimo anniversario dell’Unità italiana. Fu una grande festa, il sindaco di Conzano fece preparare anche una gigantesca e buonissima torta con l’effige del conte viaggiatore.

Fu in quella domenica che Ezio Gribaudo mi parlò di tre suoi quadri dedicati al Risorgimento, eseguiti nel 1964, su commissione del Museo Nazionale del Risorgimento italiano di Torino. Tra le altre cose mi confidò il suo sentire per quell’epoca storica: «Appartengo ad una generazione che ancora ne ha sentito l’eco e respirato le atmosfere nei racconti dei propri nonni. Così, quando l’allora direttore del Museo Nazionale del Risorgimento, il professor Piero Pieri, mi propose il tema, accettai con il piacere di incontrare la storia per restituirla tramite il linguaggio interdisciplinare dell’arte visiva». Nel 2011 i tre quadri di Ezio Gribaudo erano nei magazzini di Palazzo Carignano e avevano bisogno di un restauro. Grazie alla figlia dell’artista, un manipolo d’amici si mobilitò per il restauro delle tre opere, «Sollevazione del popolo a Milano», «Gli impiccati di Belfiore» e «Pier Fortunato Calvi». Fu un grande successo l’esposizione delle tre opere restaurate alle Fonderie Limone di Moncalieri tra il 23 settembre e il 30 novembre 2011. Alla fine di quell’anno, il 16 dicembre, festeggiammo con Ezio Gribaudo anche nel piccolo borgo di Moleto la restituzione al pubblico dei tre grandi quadri, con la conferenza «Risorgimento e pittura. Arte contemporanea e memoria storica», nell’ambito della rassegna da me curata «Undicimila verbi». 

Per chi scrive è quindi una grande gioia iniziare il 2019, festeggiando i novant’anni di Gribaudo, con i tre capolavori ritornati, finalmente, al Museo Nazionale del Risorgimento italiano di Torino. 

I tre grandi quadri di Ezio Gribaudo ricordano il Risorgimento in maniera non retorica. È un Risorgimento restituito alla Storia, rivissuto e palpitante, trasformato in carne viva e dolorante. L’artista cancella con un sol colpo di pennello, per così dire, le incrostazioni di due secoli che hanno reso quasi irriconoscibile, ai nostri giorni, l’avventurosa epopea romantica dell’Unità. Non c’è traccia del magniloquente canone ottocentesco, scritto dalla storiografia sabauda, che esaltò la «conquista regia», o dell’interpretazione parziale, ad esempio quella fascista, esaltante l’italianità di un processo d’incivilimento che precorre l’Italia di Mussolini. Non vi è traccia, infine, della più moderna corrente «revisionista», che in maniera molto accademica (e perciò assai noiosa) osserva le dinamiche di trasformazione economica, sociale o istituzionale. 

Gribaudo non trascura di focalizzare la sua attenzione sui personaggi chiave del Risorgimento (e per fortuna la sua sensibilità d’artista non ha ceduto alla facile tentazione di trattare le figure più popolari come Garibaldi, Cavour, Mazzini e Vittorio Emanuele II, spesso unite in un unico acritico pantheon dei padri della patria) e si concentra sui momenti cruciali della lotta risorgimentale.

I tre quadri di Gribaudo sono sorprendentemente intensi, parlano, gridano e fanno rumore, ricordando come il Risorgimento fu soprattutto un movimento politico-culturale centrale dell’Italia contemporanea, un’idea nobile, che spinse in maniera eroica intere popolazioni e singoli patrioti a un indicibile azzardo: opporsi, lottare e combattere contro un nemico più potente, l’impero d’Austria, sorretto all’epoca da un esercito forte e organizzato.

Per il movimento nazionale italiano gli Asburgo, e i loro regni in varie regioni della Penisola, sono stati il nemico numero uno. Non fu un caso che il volume Le mie prigioni di Silvio Pellico, l’intellettuale piemontese arrestato dalla polizia austriaca nel Regno Lombardo-Veneto, ebbe un grande successo e concorse in maniera decisiva a creare un’opinione favorevole alla «questione nazionale italiana». Le mie prigioni furono tradotte in Europa più dei Promessi sposi e denunciarono lo stato di polizia dell’impero d’Austria, tanto che si disse che il libro di Pellico costò all’impero più di una sconfitta sul campo di battaglia. Episodi come le “Cinque giornate di Milano”, la morte dei “Martiri di Belfiore” e l’impiccagione del patriota del Cadore Pier Fortunato Calvi, sono noti agli italiani quanto la cruenta morte di Cesare Battisti nella Grande guerra. Non è un caso che Ezio Gribaudo scelga quei primi tre clamorosi episodi della storia dell’Ottocento, che condannarono l’impero di Francesco Giuseppe nel cliché degli Asburgo tenaci conservatori dell’ordine stabilito, come peso di piombo della storia europea. I patrioti del Risorgimento, uccisi o impiccati dall’esercito imperiale, furono riesumati dai nazionalisti italiani della Prima guerra mondiale, che videro in quel conflitto contro l’Austria-Ungheria la «Quarta guerra d’indipendenza italiana». 

L’artista di Torino ritrae nei suoi tre grandi quadri la «Sollevazione del popolo a Milano», «Gli impiccati di Belfiore» e «Pier Fortunato Calvi», riportando à la page gli aspetti simbolici e antropologici della cultura nazional-patriottica. E ciò nella convinzione che sebbene i simboli del Risorgimento siano stati continuamente contestati, essi nondimeno hanno trasmesso un importante messaggio culturale ed emozionale alla società italiana del XIX e del XX secolo, cosicché dal loro esame dipende una comprensione equilibrata dello svolgersi del processo di unificazione e del fatto – assolutamente inaudito, “perturbatore” e rivoluzionario per i contemporanei – del crollo di antichi Stati (l’impero degli Asburgo e dei loro piccoli satelliti nella Penisola) e del formarsi, dalle loro ceneri, di un duraturo e nuovo Stato. 

Nel 1848, Milano fu il teatro di una clamorosa insurrezione contro l’impero d’Austria. Tra il 18 e il 22 marzo 1848, i cittadini della capitale del Regno Lombardo-Veneto, parte dell’impero degli Asburgo, si liberarono dal dominio straniero. Il feldmaresciallo Josef Radetzky intimò il disarmo della Guardia Nazionale milanese: «Senzadichè porrò mano al bombardamento, al saccheggio ed a qualsiasi altro mezzo per sottomettere una città ribelle. E ciò mi tornerà agevole, avendo a mia disposizione un esercito agguerrito di centomila uomini e duecento pezzi di cannone». I milanesi combatterono, e costrinsero con la loro iniziativa popolare a porre fine alle esitazioni del re piemontese Carlo Alberto, che entrò in Lombardia per sfidare l’Austria (Prima guerra d’indipendenza).

Il biennio 1848-49 fu sfortunato per la causa italiana; l’impero tornò a governare il Lombardo-Veneto, ostentando sicurezza e volontà di ordine e ignorando il significato politico di quello che era finora accaduto. Per i patrioti italiani, però, il Quarantotto, iniziato in Lombardia, doveva continuare grazie alla creazione di una rete di comitati rivoluzionari. La loro funzione era di organizzare la circolazione delle cartelle del prestito nazionale. Per le autorità austriache la scoperta di queste cartelle provocò uno stato di allarme che diede il via a una delle pagine più tragiche del Risorgimento.

I comitati furono scoperti dalla polizia imperiale; s’identificarono i patrioti che facevano capo a sacerdoti liberali, a militari, a professionisti borghesi. I sacerdoti Enrico Tazzoli, Bartolomeo Grazioli, Giovanni Grioli, con Carlo Poma, Tito Speri, i cinque fratelli Lazzati di Milano e altri cento «congiurati», furono arrestati e accusati di cospirazione. Ne seguì un processo a Mantova la cui conclusione fa parte del martirologio del Risorgimento. Il 5 novembre 1851 fu fucilato don Grioli a Belfiore; tra il 7 dicembre 1852 e il 19 marzo 1853 furono innalzati i patiboli e impiccati Enrico Tazzoli, Bartolomeo Grazioli, Carlo Poma, Tito Speri, Bernardo de Canal, Giuseppe Zambelli, Angelo Scarsellini, Pietro Frattini, Carlo Montanari. L’ombra del patibolo di Belfiore si prolungò fino al 4 luglio 1855 con l’impiccagione di Pier Fortunato Calvi. Egli militò nell’esercito dell’impero asburgico; si dimise con la rivoluzione, diventando un intrepido capitano a Venezia, quando il 23 marzo 1848 fu proclamata la Repubblica di San Marco. 

Si deve alla testimonianza dell’allora vescovo di Mantova, Luigi Martini, chiamato a consolare i condannati di Belfiore, il ricordo più vivo e commosso del loro sacrificio; il suo libro, Il Confortorio di Mantova, mette in luce la nobiltà e bontà d’animo dei prigionieri, il loro essere uomini senza rimorsi, gentili anche verso i carnefici. Emergono le figure straordinarie e leggendarie di Tazzoli e di Calvi, epicamente cantato quest’ultimo in un’ode famosa di Carducci: «d’Austria la forca or ei guarda / sereno ed impassibile […] Belfiore, oscura fossa d’austriache forche, fulgente / Belfiore, ara di martiri. / Oh a chi d’Italia nato mai caggia dal core il tuo nome».

I tre quadri di Gribaudo rievocano con gusto teatrale, semplicemente splendido, il percorso politico e culturale, spesso doloroso, che portò 150 anni fa all’Unità. Un’interpretazione del Risorgimento che affronta diversi modelli di pittura, secondo un’impostazione destinata a distinguere l’opera del pittore di Torino, da altre iniziative artistiche dedicate alla Storia. Gribaudo prospetta un modello nuovo di conoscenza e divulgazione del passato,  grazie alle notevoli dimensioni delle opere e al richiamo delle esperienze artistiche più importanti dell’Ottocento e del Novecento, attingendo dai grandi maestri come Goya e Bacon.

Roberto Coaloa

FOTO. Coaloa e Gribaudo