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Scrivere o non scrivere? Di Elio Gioanola

Scrivere, non scrivere, questo è il problema, scrivere del non scrivere, potrebbe essere una soluzione, solo che è una soluzione solo apparente, perché se non scrivo non scrivo ed è finita lì.

Può sembrare un problema falso, cioè  inesistente, ma soltanto il fatto che me lo pongo, significa che esiste. Fino a trent’anni suonati non ho scritto niente e ormai credevo che tutto fosse finito, anche se nel lungo periodo che va dalla’infanzia dei dodici anni fino a quel punto avevo pensato al mio destino come a quello di uno scrittore, in potenza ovviamente, considerati i risultati, anzi i non risultati, di una così lunga fissazione.

Ricordo di essere ricorso, per tentare di togliermi dall’assoluta mancanza di risposte a quella che credevo tanto tenacemente una vocazione, all’aiuto di un mio compagno di liceo fissato con la letteratura, o almeno con la scrittura.

Infatti Mattia Ferraris, “quargnentinus natione non morbus”, come amava qualificarsi dantescamente pensando al divino autore della Commedia, che conosceva la mia fissazione essendomi compagno di classe al tempo del liceo, aveva prontamente esaudito la mia richiesta di approntarmi un canovaccio di non ricordo se di commedia o di romanzo, che io avrei dovuto rifinire con la mia scrittura. Ma ero talmente privo di ispirazione che invano tentai di trarre partito da quell’input, sempre  pensando alla grande ma in realtà riducendomi al nulla, come ci fosse un ostacolo che mi impediva di dare corso a quello che credevo il mio sogno creativo.

Giunto, come ho detto, alla trentina, mi ero finalmente arreso alla realtà. Sposato, con la prima figlia in arrivo, da quattro anni insegnante di lettere in un liceo genovese, ero quasi sicuro che non avrei mai potuto rispondere a quello che avevo tanto a lungo creduto il mio destino, tanto che misi da parte quel sogno mai approdato alla realtà. Eppure qualcosa sotto sotto mi tormentava e invano cercavo di cancellare quegli stimoli: spiegavo agli alunni Leopardi e mi rendevo conto che, alla mia età, quel genio aveva già scritto il più e il meglio della sua opera, né conforto mi veniva dagli altri grandi autori, per lo più fecondi di opere fin dagli anni giovanili. Un primo stimolo mi venne dalla parole di un mio preside meridionale che, appena mi vide mi chiese all’improvviso cosa stessi scrivendo. Non so se avesse ricevuto qualche informazione sul  mio conto, come di un insegnante particolarmente gradito agli  studenti, fatto sta che quella domanda ottenne il risultato di decidermi a tentare quello che fino a quel momento non avevo osato tentare, tanto più che quel preside era collaboratore di una pubblicazione napoletana diretta da una allievo di Benedetto   la “Rivista di studi crociani”, a cui mi sollecitò a mandare un saggio di prova, amico com’era del direttore della rivista, Alfredo Parente. In quale, alla lettura della mia recensione al romanzo “La cognizione della ragione”, di Vasco Pratolini, pensò di avere trovato un alleato nella sua polemica idealistica e continuò a sollecitare altri miei interventi.

Non si era reso contro del mio anti-idealismo strisciante e così iniziò l’ambigua collaborazione a quella incauta rivista, fin quando l’equivoco si chiarì.

Elio Gioanola

(nota pubblicata in cartaceo il 28 dicembre)