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Disgrazie in Monferrato (5) - Malviventi

di Aldo Timossi
“1764 - Nel corso dell'inverno, sino al mese di aprile, Casale fu infettata da malviventi e ladri” scrive lo storico De Conti, nel volume 10 delle sue Cronache. Occorrono le “truppe d'ordinanza per liberarsi dall'infestazione dei ladri”, annotava già nel 1735.
Tra le disgrazie che flagellano una comunità, il ladrocinio è certo la più ricorrente.
A metà ‘800, tempo dal quale abbiamo notizie sul casalese “Il Carroccio” del 15 febbraio ’51 (visibile nell’Archivio storico di questo giornale) leggiamo che “gran furto fu commesso a danno del Capitolo del Duomo, assicurano che la somma derubata oltrepassi i trenta mila franchi” e peraltro, stranezza, i signori della Curia, non sappiamo per qual motivo, non .vollero dire verbo, ne fare alcun passo che potesse aiutare la giustizia nelle sue ricerche. Aggiunge che “parecchi anni sono, commettevasi un furto nella segreteria della Curia Vescovile”. Sarebbe stata buona cosa, commenta il cronista, se tanti denari, invece di stare in cassaforte, “fossero stati spesi per le zitelle che vanno a marito o per aiutare il ricovero di mendicità”!
Vent’anni dopo, 15 luglio 1871, esce il primo numero de “Il Monferrato”, ed ecco un primo tentativo di furto. A San Giorgio, un “Tizio” sottrae covoni di grano nel campo degli eredi Massaza, li nasconde, torna la sera per portarli via e trova ad accoglierlo, con robuste bastonate, i proprietari! Per i reati campestri c’è l’imbarazzo della scelta, accanto ad altre tipologie di furti ben definite. Cerchi la parola “ladri” nell’Archivio, dal 1848 a oggi, ed escono 6806 pagine sul totale di 129271.
Dai campi sparisce di tutto. Maggio 1872, ladre minorenni di Casale-S. Ilario, rubano erba per un valore di 20 lire nella cascina Pavone dei fratelli Oddone. Poche settimane dopo, mentre militari e civili ci danno di secchi e pompe contro un incendio alla cascina Malpensata dei fratelli Giordano, “ladri ignoti, calpestando ogni più sacro sentimento di carità e pietà, sottraggono parecchi involti di tela ed altro appartenente alla disgraziata famiglia”, ma sono bloccati dai Reali Carabinieri.
I pioppi lungo il Po diventano preda di squadre che viaggiano su barche, fingendosi cacciatori, e fan man bassa anche di meliga, e “la polizia non fa nulla” si lamentano i danneggiati, alfine “ti danneggia la brina, ti manomette la crittogama, ti flagella la grandine, t’impoveriscono le imposte, ti tormentano i bruchi, poi ti tocca dividere l’avanzo coi ladri”!
Son piene le pagine di barbatelle, alberelli di vite, uvaggi, solfato di rame, persino pali e canne di sostegno, tutti spariti. Talvolta i ladri sono bloccati (Tonco, ottobre 1876) e “condotti a meditare sulle teorie del comunismo in domo Petri” (così l’articolista usa definire la galera, con allusione alla prigionia di s. Pietro). Le guardie campestri fanno il possibile, come a Morano Po, dove (agosto 1878) la guardia GiovanBattista Marenzana ferma due individui che avevano raccolto 173 pannocchie, nel campo del medico Vanni in regione Raino.
Non cambia l’andazzo nel nuovo secolo. E’ il settembre 1913, quando sono arrestate a Casale Carolina Ferraris, anni 60, Vincenza Debernardi, anni 59, Angela Miglietta, anni 66, Francesca Gravida, anni 65, “sorprese con un fagotto ciascuna, contenente uva rubata”. Tre quintali di risone scompaiono (novembre ’14) ancora a Morano, nel campo di Antonio Coggiola. Nel marzo ’23, sulla collina di Casale, in più riprese spariscono ben diecimila barbatelle, la polizia indaga. Anche “il comando fascista diffida i ladri minacciando severe punizioni”, e c’è da crederci, il comandante delle milizia è il temuto tenente Giovanni Passerone, futuro Console Generale, Comandante il XXIII Gruppo di Legioni di Bari.
A Gabiano il frutticoltore Ettore Capretto denuncia (luglio ’29) l’”emigrazione clandestina” di pesche per ben 1200 lire, oltre mille euro di oggi, e i Carabinieri arrestano i ladri, Ugo Seggiaro e Francesco Calvo, che fanno ampia confessione. A San Germano, Federico Novarese, anni 69, denuncia (siamo ormai nel luglio ’41) che gli sono stati sottratti fagioli e patate per un valore di 160 lire.
Affini ai furti nelle campagne, in tempi nei quali la fame si fa sentire, le razzie nelle case e nelle cantine, alla ricerca di generi alimentari, pur non disdegnando soldi, vestiti, stoviglie! E tralasciamo per il poco spazio, le sparizioni di esplosivi nelle cave, pali della luce e del telefono, cavi elettrici, tubi in rame delle pompe idrauliche a mano, il furto di energia elettrica manomettendo il contatore (nel 1949 è condannato anche un sacerdote, che solo il condono salva da sette mesi di reclusione).
Già nell’estate 1871 la prima notizia: “A Villamiroglio nel mattino del 26 luglio, ladri più o meno pratici, profittando dell’assenza di casa di certo Maina Giuseppe, penetrarono dal solaio nella camera sottostante e lo depredarono di 300 lire”, ora circa 1300 euro. Un mese dopo, spariscono tessuti per 2000 lire dal negozio di Raffaele Luria, a Moncalvo.
Cinque anni dopo, il negozio del casalese Rizzi, commerciante in carta sulla piazza Castello, vede sparire dodici bottiglie di “eccellente Barbera”, insieme con alcune balle di stracci. Una forma di cacio prende il volo dalla bottega di Evasio Mossone, al Ronzone. Nel novembre ’81 tocca al parroco di Brusaschetto, don Giovanni Bestoso, alleggerito di “20 bottiglie di quel buono”. E’ di ben cinquanta bottiglie il bottino prelevato a Rosignano nel 1912, in casa di Emma Lepini, e due anni dopo, tocca a don Domenico Coppo, parroco del Ronzone, essere derubato di trenta bottiglie, due chili di carne cruda e un pacco di sardine. Eugenio Bausano, abitante al Valentino di Casale, denuncia il furto di una damigiana da 50 litri e otto bottiglie (siamo nel 1920), e passando per altre ruberie finiamo nel ’41 con “diverse bottiglie di vino bianco e nero” sottratte a Vignale, nella cantina di Federico Gaudio.
Lunga la sequela di animali domestici che cambiano proprietario. A fine ‘800 i più ambiti sono polli, tacchini e galline, che spariscono dai recinti un poco dappertutto, da Serralunga di Crea a Mombello (ironia, il derubato si chiama Felice Gallina), da Terruggia (coltivatore Carlo Barbano) ad Alfiano Natta (a Giuseppe Delù spariscono anche dodici bottiglioni di buon vino rosso).
Stessa musica nel secolo successivo. Vigilia di Natale 1911, a Cerrina, Enrico Domenico trova il pollaio vuoto, e il cronista avverte: “Siamo vicino alle feste, ai signori ladri fanno gola i grossi capponi e le pingui galline, attenti ai vostri pollai”! Per il Capodanno 1912, volano via tre tacchini dalla cascina di Luigi Montiglio fu Pietro, a San Germano, e altri due spariscono dal cortile di Giuseppe Sapelli, a Serralunga di Crea.
Due “giovanotti” di Villanova finiscono in carcere (febbraio 1913) per aver rubato una coppia di colombi a Domenico Avonto, anni 27, che ha fatto intervenire la guardia comunale Paolo Spinoglio. Nel maggio 1914, a Morano Po, ignoti rubano due cavalli (valore 1200 lire) a Tomaso Ottavio, quindi un basto e finimenti a Paolo Piotta. Altri ladri prendono di mira il riso nel magazzino di Quirico Piletta, e il risone nel campo di Antonio Coggiola. Dalla stalla di Pietro Caprioglio, a Rosignano, spariscono due buoi, valore 1800 lire.
Giugno 1920. Man bassa a Roncaglia, in casa di Valerio Raiteri, bottino per 600 lire in biancheria, stoviglie, posaterie, salumi, vino! Forse gli stessi ladri entrano nel magazzino della locale stazione tramviaria, e se ne vanno con una cassa di sapone e una di sardine.
Passano gli anni, la fame, quella vera, la fa da padrone, specie in tempi di guerra. Spariscono anche i gatti, tanto che l’Autorità si preoccupa, più per la mancata caccia ai topi che per il felino in sé, vietando il commercio e l’utilizzo di carne, pellicce, grasso del prezioso animaletto!
Il cronista rampogna l’Arma dei Carabinieri: “Possibile che non riesca mai a scoprire gli autori di tanti furterelli che avvengono nei diversi comuni? Raccomandiamo di approfondire le indagini, è questione di maggior zelo e più accurata attività”.
Quando i militari e le guardie campestri bloccano il furfante, anche per piccoli furti c’è la reclusione, il codice penale del Regno Sardo è molto rigido, punisce con la reclusione di mesi, anche solo l’essere riconosciuti come mendicanti abituali, vagabondi, oppure oziosi (“coloro i quali, sani e robusti, e non provveduti di sufficienti mezzi di sussistenza, vivono senza esercitare professione, arte o mestiere, o senza darsi a stabile lavoro”). In caso di recidiva, la pena può estendersi fino a cinque anni. Ovvia la cosiddetta “ratio”: se uno vive senza lavoro o denari da parte, è presumibile sia o possa essere ladro!
Tante le sentenze, anche per minuzie. Nel 1930, V. B. di Casale Popolo è condannata in Pretura a due giorni di cella, per aver sottratto qualche cespo d’insalatina, mentre il compaesano G. C. si prende tre giorni, avendo rubato foglie di gelso. Per entrambi, la condizionale. Niente sospensione della pena per Guido Cei, di Frassineto, condannato nel ’34 a un mese e mezzo di reclusione e 450 lire di multa per furto di otto chili di lumache.
A tanti condannati, il giornale dedica (aprile 1874) una filastrocca amaramente ironica: “Se mano rapace / Distesa al pollaio / Turbava la pace / D’un vivere gaio / Il triste briccone / Marciva in prigione”
aldo timossi
FOTO. G. Passerone